Antitesi n.15Editoriale

Legare la lotta di classe alla lotta contro la guerra imperialista

“Editoriale” da Antitesi n.15 – pag.3


Il 25 settembre, per la prima volta, F-35 italiani hanno scortato fuori dallo spazio aereo della Polonia due velivoli da combattimento russo. Il 13 settembre, un aereo senza pilota di stanza nella base di Sigonella, in Sicilia, ha eseguito una missione di controllo lungo il confine tra Russia e Finlandia, appena entrata nella Nato. A Trieste, dopo la portaerei statunitense Truman, approdata a maggio del 2022, è arrivata, sempre il settembre scorso, la portaerei Ford, ancora più grande della precedente, accolta da un corteo di protesta al grido “yankee go home”.
Il vortice della guerra, in bilico sul baratro della guerra mondiale, trova ogni giorno alimento da una miriade di nuovi e sempre più gravi avvenimenti e il nostro paese ne è direttamente coinvolto. I tre episodi citati dimostrano il ruolo diretto dell’Italia come soggetto belligerante e come piattaforma logistica della Nato e dell’esercito statunitense nel Mediterraneo.
Il contesto generale che stiamo vivendo è quello determinato dalle scelte della borghesia imperialista a base Usa che, in vista del match Biden/Trump (fine 2024), punta a utilizzare senza scrupoli il primato di potenza militare della sua sovrastruttura imperialista per tentare di uscire dai suoi guai. Guai dovuti all’evidente instabilità a livello economico sul fronte interno, da dove giungono anche inediti segnali di lotta di classe come lo sciopero congiunto degli operai della Ford, della General Motors e della Stellantis e, su quello esterno, dove si aggrava la crisi della sua egemonia mondiale.
La guerra, quindi, non trova via di soluzione a breve periodo e rischia di trascinare con sé il mondo intero. In primo luogo l’Europa privata ormai di ogni sogno di autonomia basato sull’asse franco-tedesco. Il regime di Macron è messo alle strette dallo scotto nel Niger e nel resto dell’Africa in politica estera e dalla crescita del malcontento e delle esplosioni di rivolta delle masse popolari in quella interna. La Germania è già in recessione conclamata (-0,4% del Pil nel 2023); da grande locomotiva dello sviluppo economico europeo inverte la sua marcia e traina la recessione di tutto il continente.
La guerra in Ucraina, impantanata in una controffensiva mai decollata, continua a fare da mantice al keynesismo militare che detta l’agenda dei vari governi e padroni e viene usato come arma per tentare vanamente di risollevarsi dalla crisi strutturale del sistema capitalistico nella quale essi sono immersi.
Il summit dei Brics in Sudafrica di agosto e il suo allargamento ad altri 6 paesi (Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) rafforza il processo di dedolarizzazione e segna una svolta del corso della storia mondiale con l’affermarsi, pur contraddittorio, di un nuovo blocco di potenze.
Il vertice Russia-Africa a San Pietroburgo del 2 luglio scorso, i colpi di Stato e le mobilitazioni di massa nel “continente nero”, hanno fatto emergere sia lo spirito antimperialista e anticoloniale mai sopito dei popoli depredati dal colonialismo, sia il protagonismo delle borghesie ribelli locali che quello delle nuove potenze in ascesa.
Ma il mondo ribolle anche molto vicino a noi e l’imperialismo italiano ne viene direttamente colpito. Esemplare la crisi in Kosovo dove a maggio sono stati feriti 30 militari Nato tra i quali 14 alpini italiani, durante la sollevazione delle masse serbe, determinando l’esclusione della repubblica secessionista dalle successive esercitazioni dell’Alleanza Atlantica.
Tutte queste notizie vengono o oscurate o mistificate dall’odierno “Istituto luce”, la tv italiana, che vaneggia sui successi dell’esercito ucraino, tace o mistifica i movimenti di protesta in Francia, Belgio, Germania Inghilterra, movimenti che, pur non esprimendosi direttamente contro la guerra, sono espressione delle contraddizioni generate dalla crisi e dalla guerra.
In Italia siamo al massacro sociale, emblematica la gestione privata dei pronto soccorsi e la carneficina degli “infortuni” sui posti di lavoro. L’inflazione galoppa nonostante le politiche europee di rialzo dei tassi, i salari sono al midollo e la recessione, foriera di nuovi licenziamenti e disoccupazione, è incipiente. Intanto viene tolto il reddito di cittadinanza, si grida contro la criminalità dei giovani dei quartieri proletari, incentivando il carcere a già per i quattordicenni e si mettono in atto politiche di guerra agli immigrati.

La nostra classe dominante inveisce contro il “dittatore” Putin, mentre qui da noi autoritarismo e repressione la fanno da padroni nella gestione delle contraddizioni sociali. I violenti sgomberi agostani come quello dello studentato a Firenze e l’inchiesta contro la rivista anarchica Bezmotivny, con la combinazione del reato associativo con quello di opinione, coronano il metodo della repressione preventiva e della censura largamente e “democraticamente” adoperate nel fronte interno, in connessione con la propaganda di guerra. Fanno da contraltare al massacro sociale i fiorenti affari dell’industria bellica e aerospaziale largamente legata a quella militare (vedi la Leonardo di Cingolani) che naviga a gonfie vele e anche quelli della big pharma di marca Usa, che vede come affezionato azionista il ministro della salute Schillaci.
Nel contempo le scuole promuovono l’educazione militare, con l’intervento dell’esercito fin dalle elementari e le università vanno alla guerra con decine di accordi sottoscritti con Usa, Nato, Israele e il complesso militare industriale nostrano.
E le masse popolari? Col contentino agli operai del taglio del cuneo fiscale da parte del governo e con la collaborazione corporativa dei vertici sindacali, in primo luogo da quelli della Cgil, prosegue il tentativo di tenere buona la classe operaia. Ma la calma è solo apparente, sotto la cenere covano le braci del malcontento, che si esprime già diffusamente in una molteplicità di proteste locali a livello aziendale e che emerge solo nei casi di aziende più conosciute come la Stellantis o l’Electrolux. Le lotte nella logistica non conoscono tregua come pure le lotte sociali e territoriali che subiscono repressione in stile fascista con manganellate, processi e sanzioni amministrative pesantissime.
É imperativo per i comunisti rompere l’egemonia riformista nelle lotte e nei movimenti ingabbiati dall’influenza Pd/sindacati. Va denunciato l’opportunismo di chi si rintana nelle lotte specifiche, senza considerare la questione della guerra da cui oggi tutte le politiche specifiche derivano. Va combattuta la diffusa ideologia di sfiducia nelle masse.
Il piano generale della guerra imperialista, nella propaganda e nell’analisi delle contraddizioni, deve essere posto al centro da noi comunisti per raccogliere compagni che alimentino la costruzione di organizzazione comunista e rivoluzionaria. E nell’agitazione, dentro al sostegno militante alle mobilitazioni e alle lotte, bisogna partire dal particolare delle contraddizioni specifiche per andare al generale delle cause oggettive che le determinano, ovvero la crisi che porta alla guerra che a sua volta causa l’inasprimento della crisi.

Contro lo Stato di guerra e il keynesismo militare i comunisti devono sviluppare l’antimilitarismo e l’antimperialismo.
Contro lo scetticismo nella capacità di mobilitazione delle masse va diffuso lo spirito dell’unità e la coscienza della loro forza.
Unire la resistenza ai padroni alla lotta contro la guerra imperialista!
Sostenere le lotte anticoloniali e ogni forma di resistenza antimperialista, dall’Africa al Medioriente, dai Balcani all’America Latina!