Contro la guerra imperialista per una linea rivoluzionaria
“Editoriale” da Antitesi n.17 – pag.3
Ad un anno dal 7 ottobre tocchiamo con mano quanto abbia significato l’operazione Diluvio di Al Aqsa, condotta dalla Resistenza Palestinese. Per il popolo palestinese ha rappresentato la possibilità di invertire la tendenza alla normalizzazione del colonialismo d’insediamento sionista che, fino al giorno prima, sembrava procedere quasi indisturbata nel soffocare il lager a cielo aperto di Gaza, nell’espansione coloniale e nello stillicidio di omicidi dei palestinesi in Cisgiordania. Tutto questo nel silenzio più assordante.
L’araba fenice, risorta dalle sue ceneri, ha rimesso al centro il fatto che la questione non è conclusa, anzi, l’ha messa al centro del corso degli eventi mondiali. Il Diluvio di Al Aqsa è stata un’azione di offensiva all’interno della guerra popolare di lunga durata che i palestinesi combattono da oltre settant’anni per la propria liberazione.
Le massicce manifestazioni in tutto il mondo hanno sottolineato la distanza tra il sostegno al sionismo e al genocidio del popolo palestinese dei propri governanti e il sostegno alla Resistenza delle masse popolari, le quali hanno trovato nel 7 ottobre un simbolo ideale di riscossa, un emblema della lotta quanto mai necessaria contro l’oppressione dei popoli e il colonialismo che il proprio imperialismo conduce quotidianamente. Il sostegno alla lotta di liberazione del popolo palestinese ha messo in moto enormi masse a livello mondiale, aprendo una fase che non si vedeva dalla guerra in Iraq o addirittura da quella del Vietnam.
Il Diluvio di Al Aqsa si è abbattuto principalmente contro “l’unica democrazia del Medio Oriente” facendole gettare la maschera, o quel pezzetto che le era rimasto, per cercare di riaffermare la propria invincibilità. Ha definito una nuova equazione ovvero che il nemico sionista può essere colpito in profondità e quindi può essere sconfitto. La capacità della Resistenza Palestinese di continuare a tenere il nemico impegnato sia a Gaza che in Cisgiordania fa tremare il progetto coloniale. L’egemonia sionista si regge sulla capacità di difesa ed espansione del colonialismo d’insediamento, la sua esistenza è legata alla garanzia di proteggere i coloni. Senza questa assicurazione, le basi del progetto coloniale sono in discussione, come possiamo vedere dalla crisi politica che attraversa il governo di Tel Aviv, aggravata dal contrasto tra chi vorrebbe un accordo sui prigionieri sionisti, nella speranza di ritornare ad una normalizzazione dell’occupazione, e chi vorrebbe che Netanyahu spingesse l’acceleratore sul piano di pulizia etnica, mentre c’è chi invece scappa, abbandonando la nave che imbarca acqua.
La vulnerabilità dell’entità sionista, avamposto degli interessi imperialisti occidentali nell’area, aggrava la crisi di egemonia degli Usa e dei loro alleati. La Resistenza Palestinese assestando un colpo contro l’entità israeliana ha colpito anche il sistema imperialista nel suo complesso, in particolare coloro che stanno spingendo sul piano della tendenza alla guerra, quindi non solo gli yankee, ma anche la Nato nel suo complesso.
Gli Usa, in questo quadro, hanno dovuto posticipare e rivedere i propri piani sull’indopacifico in funzione anti-cinese per correre in aiuto alla propria fedele canaglia, dirottando una grossa fetta della marina statunitense nel Mediterraneo. Non solo, l’aggravamento del terrorismo sionista contro i palestinesi ha portato le forze antisioniste della regione – l’Asse della Resistenza – a convergere su un obiettivo unico: l’imperialismo statunitense e i suoi alleati. Questo ha determinato un salto di qualità nel coordinamento e nella capacità operativa in grado di rappresentare un nemico credibile non solo per i sionisti, ma anche per gli yankee. Oggi il governo di Tel Aviv, con l’attacco terroristico al Libano e i massicci bombardamenti contro Hezbollah e la popolazione mira a contenere la capacità della Resistenza Libanese, in grado di tenere occupate un terzo delle forze militari sioniste da ormai un anno e 60 mila coloni lontano dai loro insediamenti, bersagliati ogni giorno dai razzi.
Il 7 ottobre si inserisce all’interno della tendenza oggettiva alla guerra divenendone fattore prima di rallentamento e poi di ulteriore aggravamento. I 95 miliardi finanziati dagli yankee verso Ucraina, Taiwan e il regime sionista sono una dichiarazione di guerra ad ogni ordine alternativo alla supremazia statunitense, ma al contempo rivelano la crisi di egemonia dei guerrafondai di Washington, che li costringe ad assumersi la responsabilità di tutti i maggiori fronti di conflitto attuale e potenziale a livello globale.
La tendenza alla guerra è la direttrice strutturale del capitalismo in crisi di sovraccumulazione, il suo divenire capitalismo di guerra è l’unica strada possibile per l’oligarchia finanziaria di puntellare la caduta di profitto e la valorizzazione del capitale da un lato e per riaffermare e difendere la propria egemonia dall’altro.
Il “piano Draghi” presentato al parlamento europeo mette nero su bianco la necessità per l’Ue di superare le rivalità interne e rompere i freni che non permettono lo sviluppo competitivo del complesso militare-industriale. La parola d’ordine è concentrazione e centralizzazione del capitale finanziario e produttivo in funzione della guerra. Quanto abbiamo visto fin’ora, come i fiumi di miliardi versati verso l’Ucraina senza un piano di lunga durata, deve essere superato. Ci deve essere una centralizzazione, innanzitutto politica, che metta al riparo da possibili elementi di contraddizione, come ad esempio la possibile elezione di Trump a novembre o la presenza di “franchi tiratori” all’interno della stessa casa europea, come Orban. Il “piano Draghi” segue, infatti, la firma dell’Ucraine Compact, ovvero una serie di accordi bilaterali e multilaterali che vincolano gli oltre 20 paesi firmatari e l’Ue al sostegno bellico e finanziario. L’Ucraine Compact, firmato durante l’ultimo vertice Nato di Washington, compatta i paesi aderenti e li vincola all’interno di un piano di lunga durata che prepara l’esercito di Kiev all’ingresso nell’Alleanza. Questa nuova architettura e la costituzione del comando militare di Wiesbaden in Germania consegneranno ai paesi europei firmatari dell’Ucraine Compact la responsabilità del fronte est della guerra.
I monopolisti e la burocrazia imperialista hanno chiara la direzione da prendere, ma devono scontrarsi con l’opposizione delle masse all’egemonia di guerra. Le ultime elezioni hanno espresso l’opposizione verso questi piani: in Italia il malcontento si esprime con l’astensionismo di massa, in Germania e Francia con l’erosione dei consensi ai partiti di governo e la crescita delle formazioni di opposizione. Al punto che Macron, in Francia, ha fatto una sorta di “golpe bianco” per continuare a controllare il governo.
In questo quadro il passaggio al capitalismo di guerra spinge verso un salto di qualità nella struttura e nella sovrastruttura e nella loro relazione dialettica. Un passaggio che determinerà il peggioramento generale delle condizioni di vita delle masse popolari. Il taglio della spesa pubblica per dirottare le risorse verso le esigenze belliche è ciò che salta subito agli occhi, visto anche lo stato già comatoso nel quale versano sanità e scuola pubblica.
Non solo, il ddl 1660 introduce un “diritto di guerra” che va a colpire le lotte popolari, dei lavoratori e dei movimenti. La volontà Editoriale di ridefinire come “delitto penale” il blocco stradale e ferroviario rappresenta un monito e una risposta specifica alle pratiche più incisive delle mobilitazioni dei facchini, degli operai, come quelli dell’Ansaldo o dei portuali di Genova e dei giovani solidali con la Resistenza Palestinese. Quello che abbiamo di fronte è uno Stato che non solo sta modificando la sua forma istituzionale in funzione di guerra e crisi, vedi le riforme del premierato e dell’autonomia differenziata, ma che assume il volto di regime della “guerra interna”, per blindarsi le retrovie mentre promuove e partecipa al processo di guerra imperialista globale.
Il ministro Crosetto che attaccava le chiusure estive delle fabbriche di armi e le raffrontava a quelle del nemico, Cina, Russia e Iran, che lavorano 24 ore su 24, sette giorni alla settimana, segna in quale direzione deve ristrutturarsi la produttività industriale e la condizione dei lavoratori. Tutto quello che può frenare la produzione bellica, e di riflesso l’industria intera, deve essere superato in funzione delle necessità della guerra. Sarà interessante vedere come Federmeccanica e Confindustria recepiranno queste indicazioni all’interno della contrattazione del Ccnl dei metalmeccanici che entrerà nel vivo in autunno.
Se questa è la tendenza alla guerra, con il suo precipitare dobbiamo essere in grado di legare il peggioramento delle condizioni di vita delle masse alla sua causa profonda. Le mobilitazioni in solidarietà alla Resistenza del popolo palestinese hanno aperto spazi importanti per lo sviluppo nel nostro paese di un movimento contro la guerra imperialista. Di fondamentale importanza sono quelle lotte che cercano di fermare e mettere in discussione le basi e le installazioni militari, come la lotta No Muos, che durante il campeggio di quest’estate, raccogliendo l’appello all’azione della Resistenza Palestinese, ha marciato contro la base, buttando giù metri e metri di rete.
Come comunisti, all’interno di questi movimenti e di tutte le lotte che mette in piedi la classe per difendersi dal peggioramento delle sue condizioni di vita, dobbiamo coltivare la linea della sconfitta del nostro imperialismo, dobbiamo coltivare la linea rivoluzionaria, consapevoli che non c’è nessuna possibilità di fermare la guerra nel quadro del capitalismo. Sconfiggere il nostro imperialismo significa legarsi ai popoli che lottano, iniziando dall’indicare la nostra classe dominante, il suo sistema economico, il suo Stato, come nostri nemici. La loro disfatta può spalancare spazi alla prospettiva della rivoluzione proletaria: noi intanto oggi dobbiamo ritorcergli contro le contraddizioni che la guerra imperialista apre.
O la rivoluzione fermerà la guerra, o la guerra scatenerà la rivoluzione!
Resistere per vincere!