Antitesi n.12Controrivoluzione ed egemonia di classe

L’impalcatura attorno al drago

Recovery Plan e democrazia governante

“Controrivoluzione ed egemonia di classe” da Antitesi n.12 – pag.63


I controlli di polizia nelle scuole secondarie e le migliaia di schedature di minorenni, “colpevoli” di attraversare i centri cittadini nei fine settimana, stanno sempre più investendo la quotidianità di giovani e giovanissimi. Gli studenti, in particolare, hanno provato sulla propria pelle la democraticità dello Stato, a suon di manganellate, nel momento in cui sono scesi nelle piazze ricordando Lorenzo Parelli, contro i Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, l’ex alternanza scuola-lavoro). Le cariche violente per disperdere le mobilitazioni di piazza, gli sgomberi degli spazi occupati, i divieti di manifestare in determinate piazze e strade, l’aumento dell’uso di fogli di via e delle misure di sorveglianza speciale sono alcuni dei principali fenomeni che investono la nostra quotidianità da militanti.

Non possiamo non constatare quanto questa escalation repressiva sia anche il frutto delle cosiddette misure di contenimento del virus, dal governo giustificate da un punto di vista sanitario, ma totalmente fallimentari su questo piano. Strumenti repressivi tanto più necessari ora per fermare preventivamente ogni possibile opposizione alla guerra imperialista e alle ricadute economiche e sociali che si ripercuoteranno sulla classe operaia e sulle masse popolari.

Conosciamo le forme dello Stato di polizia di cui il capitale si serve nella fase di crisi strutturale: sappiamo quanto il modello sionista faccia da apripista, non solo in quanto inventore dello strumento del green pass, ma in generale in termini di sorveglianza e repressione preventiva.

Quelle che continuiamo a vivere sono imposizioni e restrizioni oppressive, la cui messa in discussione non può reggere solo su una base sociale o sindacale, bensì è indispensabile una lotta principalmente politica.

Lo strumento di controllo del lasciapassare verde segna un passaggio epocale, nella vita quotidiana, nel rapporto cittadino/Stato e continua a creare innumerevoli contraddizioni interborghesi e negli stessi apparati dello Stato. Tutti i lavoratori, di ogni categoria, sono obbligati al possesso del green pass per accedere alla sede lavorativa, pena l’applicazione di una sanzione pecuniaria che varia dai 600 a 1.500 euro.

Se l’autoritarismo politico e il controllo dei rapporti sociali ci investono in pieno è perché lo Stato plasma la propria forma, adattandosi alla fase che attraversa, per mantenere ed assolvere la sua funzione di dominio della borghesia – quale classe egemone – sulle altre classi.

Difatti possiamo definire l’emergenzialismo come “il terreno per modificare lo Stato come organizzazione della classe dominante e soprattutto verificare la strategia di controrivoluzione preventiva, che connatura il potere politico statuale e il complesso dell’egemonia borghese nella fase imperialista. Lo Stato, che è l’organizzazione dell’oppressione di una classe sulle altre, il prodotto dell’antagonismo inconciliabile tra le classi, per dirla con Lenin, è pure un prodotto degli eventi storici e fa i conti con la lotta di classe, rispondendo alla dialettica delle contraddizioni e dei rapporti sociali di ogni determinata fase: non esiste un tipo di Stato unico per tutta la fase di dominio della borghesia, esso ha dovuto modificarsi”1.

Da due anni i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm), entrati immediatamente in vigore, hanno concretizzato un massiccio e inedito controllo del territorio e delle nostre vite, che oggi torna oggettivamente funzionale a gestire l’emergenza nell’emergenza: quella del piano della guerra imperialista.

Oggi infatti assistiamo ad una repentina e pesante accelerazione dell’uso delle misure repressive, che risultano funzionali ora contro coloro che si oppongono alla guerra imperialista: un fenomeno, quello dell’affinarsi delle strategie e degli strumenti della repressione, che è necessario inquadrare all’interno di un quadro complessivo, che includa anche le trasformazioni della sovrastruttura dettate dal Recovery Plan di cui ci occupiamo in questo numero della rivista.

Democrazia governante: un’accelerazione di tendenza

Come scrivevamo, i Dpcm e in particolare le continue proroghe dello stato d’emergenza hanno sorretto un’escalation autoritaria in termini di accentramento politico di poteri.

Nello scenario politico dell’ultimo decennio si è fatta strada una tendenza particolarmente evidente: quella del ricorso al voto di fiducia. Dal proprio insediamento, il Governo Draghi ha posto la fiducia mediamente due volte al mese2.

Non si tratta di una novità, ma di un modus operandi consolidatosi nelle ultime legislature.

Già nei numeri trascorsi, avevamo evidenziato come il Governo Renzi fosse quello con il maggior ricorso al doppio voto di fiducia per blindare i provvedimenti (22). Sono poi seguiti il Governo Conte Bis (con 15) e quello Gentiloni (con 11). Facendo un passo indietro e considerando insieme i dati dei governi Berlusconi, Monti, Letta e Renzi risulta che una legge su 4 (il 25%) sia stata approvata con un voto di fiducia.

Quella di ricorrere al voto di fiducia è una tendenza che, nella fase attuale, riguarda sostanzialmente progetti di legge specifici ritenuti fondamentali per l’attuazione del programma di governo e, non essendo presente in costituzione, il suo funzionamento è normato dai regolamenti di Camera e Senato. Nello specifico, dal suo insediamento nel febbraio dello scorso anno, il Governo Draghi è ricorso alla fiducia per rispettare quella corsa imposta dai diktat europei per le riforme che garantiscano l’ottenimento degli oltre 191 miliardi di euro nell’ambito del Next Generation Eu, di cui ci siamo occupati nello scorso numero.

Infatti, se un’ampia maggioranza doveva essere la garanzia alla tenuta di questo governo, vediamo come invece l’esecutivo ricorra spesso al doppio voto di fiducia per convertire decreti legge come il Dl sostegni e il Dl sostegni bis e, soprattutto, il decreto sulla governance del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). In generale, quella in corso è una ristrutturazione che si accompagna ad una torsione autoritaria ben dimostrata dalla stessa approvazione del Pnrr, se pensiamo che il testo del Piano, di alcune centinaia di pagine, è stato consegnato ai gruppi parlamentari con solo pochi giorni di anticipo rispetto alla giornata scelta per il voto.

Ciò significa che la discussione è stata nulla e, in continuità con quanto scriviamo nella prima parte di questo contributo, il Parlamento si è limitato a ratificare delle decisioni prese in ben altre sedi ristrette.

Politicamente che tipo di conseguenze possono derivare da questa tendenza? Sicuramente una progressiva esautorazione del Parlamento delle sue prerogative e, quindi, una torsione autoritaria, che si traduce in un accentramento dei poteri tipico della cosiddetta democrazia governante.

Di quest’ultima abbiamo trattato fin dai primi numeri della nostra rivista, indicandola come una tendenza già in atto: “(…) nella deriva autoritaria dello Stato borghese degli ultimi anni pur mantenendo la forma democratica esteriore, essa non è una singola politica del singolo governante di turno, ma una tendenza generale della borghesia imperialista che integra la strategia della controrivoluzione preventiva. La democrazia governante l’abbiamo vista all’opera in senso reale in questi anni, nella impermeabilità delle politiche reazionarie alle lotte di massa, nelle blindature istituzionali delle politiche strategiche della classe dominante, nella distruzione progressiva del ruolo dei corpi intermedi come i sindacati. Corollario di tutto ciò è ovviamente la repressione dei movimenti di lotta e il tentativo di annientamento dell’istanza rivoluzionaria”3.

Infatti questo termine, poco approfondito in Italia, talvolta viene invocato dagli analisti borghesi come soluzione alla debolezza dell’esecutivo di turno, alla frammentazione partitica, alla disaffezione dei cittadini rispetto alla sfera politica, come fonte di maggiore garanzie, di “più efficienti e salde riforme”.

Di fronte all’aggravarsi della crisi del sistema capitalista che porta la classe dominante alla necessità di modifica dello Stato, la democrazia governante indica quella forma di governo che mantiene la facciata democratica a livello di forma, ma rafforza nella sostanza la dittatura di classe, per rispettare la tabella di marcia dei programmi della borghesia, per tacitare le contraddizioni interborghesi e contrastare le spinte antagoniste che possono venire dalla lotta di classe. Si produce così una blindatura del potere della classe dominante attorno all’esecutivo, come prassi autoritaria per gestire la crisi del sistema capitalista e tutte le politiche che ne sono conseguenti, dalle controriforme antipopolari al riarmo militarista.

La deriva autoritaria dimostra che, sostanzialmente, dal fascismo la borghesia non è mai tornata indietro. Di fronte a questo assunto, i sinceri democratici si appellano ai valori della costituzione, dimentichi che nemmeno il fascismo abolì la carta costituzionale allora in vigore, lo Statuto Albertino.

La forma della democrazia governante rappresenta una tendenza di fatto, in termini di rapporti e relazioni già esistenti, a cui già il governo Renzi aveva cercato di dare una forma istituzionale compiuta, attraverso la proposta di controriforma costituzionale e della legge elettorale. Questo ci permette di inquadrare il ruolo del Pd, come il più organico alla classe dominante e idoneo alla tendenza di orientarsi ad una forma di governo che centralizzi il massimo dei poteri. La sinistra borghese non solo si è fatta Stato, ma è diventata il tallone di ferro dello Stato cioè delle politiche strategiche della classe dominante compresa la guerra imperialista. Oltre alle posizioni politiche guerrafondaie, rileva la compenetrazione del Pd con i vertici del complesso politico-militare-industriale e i circoli strategici dell’imperialismo italiano. Pensiamo al monopolio dell’industria bellica Leonardo – Finmeccanica, il cui amministratore delegato è Alessandro Profumo, in quota Pd, la Fondazione Med-Or, per promuovere l’influenza italiana nel Mediterraneo allargato, il cui presidente è l’ex ministro degli interni Minniti, la Fondazione Leonardo, con a capo il boia Violante, la Difesa Servizi S.p.a. Il cui amministratore delegato è Fausto Recchia del Pd e l’Agenzia Industria Difesa il cui direttore generale è Nicola Latorre, anche lui del Pd.

Dal governo Renzi ad oggi, possiamo registrare un salto autoritario attuato con i governi succedutisi, che ha visto il tentativo di ridimensionare il ruolo della magistratura, potenzialmente in grado di innescare terremoti nell’assetto politico. La dialettica tra ceto politico e ceto giudiziario, entrambi strumenti della classe dominante, ha assunto talvolta carattere antagonistico (vedi i casi di tangentopoli e dell’ultimo governo Berlusconi) ma ha sempre prodotto una sintesi reazionaria, perché il rafforzamento dell’una o dell’altra ha sempre significato rimodulazione dell’egemonia e del regime della borghesia imperialista contro il proletariato e le masse popolari. Dopo lo “scandalo” Palamara, che ha evidenziato i “segreti di pulcinella” dei gruppi di potere interni alla magistratura e delle connessioni strette con la politica, vige una sorta di tregua generale tra la fazione politica e quella giudiziaria della classe dominante. Anche in questo caso, prevale la linea dell’esecutivo come organo politico generale e strategico della classe dominante – la “democrazia governante” per l’appunto – come dimostra il fatto che non vi siano state grosse messe in discussione, da parte della magistratura, dell’impianto normativo creato con lo stato di emergenza. In ogni caso, la tregua potrebbe saltare se la magistratura si sentisse attaccata, come è sempre stato quando governi e maggioranze parlamentari hanno provato a limitarne i poteri, ad esempio con la separazione delle carriere, riforma da sempre bloccata con inchieste ad hoc che ne hanno colpito i promotori politici (Berlusconi, Renzi, Salvini…).

In sintesi il fallimento di alcuni tentativi di controriforme e in generale il balletto dell’alternarsi dei governi tecnici dell’ultimo decennio ci restituiscono un’incapacità attuativa di ristrutturazione istituzionale da parte della classe dominante. Cause principali sono le contraddizioni interborghesi che investono il campo di classe nemico, non perché le fazioni borghesi non vogliano concorrere al rafforzamento della democrazia governante, ma perché temono una chiusura dei loro spazi di manovra.

Ancora una volta, necessariamente, serve inquadrare la realtà considerando che la classe dominante, ricca di contraddizioni al proprio interno, cerca di compattarsi laddove ha la necessità di rinsaldare la propria egemonia, per mantenere il proprio dominio. La continua proroga allo stato d’emergenza è stato un esempio eloquente di egemonia che ci regala un assaggio della possibile reazione dello Stato di fronte a chi mette in discussione i suoi piani di riforme lacrime e sangue sul fronte interno e guerra sul fronte esterno.

Se oggi, infatti, nelle scuole e nella comunicazione massmediatica, ogni voce contraria all’intervento Nato in Ucraina viene tacitata è perché la borghesia ha la necessità di rinsaldare la propria egemonia, nel tentativo di far passare l’appoggio bellico al governo ucraino come uno strumento necessario per portare la pace, in barba alla lunga scia di sangue in Jugoglavia, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Donbass, e ai finanziamenti agli armamenti possibili grazie ai tagli a sanità pubblica, istruzione e stato sociale.

L’architettura politica che il Recovery Plan rafforza

Andiamo ora ad analizzare degli esempi pratici che ci permettono di comprendere come il Recovery plan rafforzi la tendenza all’autoritarismo, al controllo sociale e alla “democrazia governante”.

Fin da subito questo piano ha fatto della digitalizzazione il suo cavallo di battaglia, investendo il 27% delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) proprio nella cosiddetta transizione digitale.

Non è quindi un caso che il mondo del lavoro e della scuola pubblica vengano investiti dalla tecnologia 4.0, in cui impianti e macchinari e i relativi processi sono posti in comunicazione tra loro con l’obiettivo di aumentare i profitti.

Un processo, quello di Industria 4.0 – ora Transizione 4.0 – la cui suddivisione dei fondi è stata decisa dalle raccomandazioni della Commissione Ue.

In tempi di “pandemia”, poche e confuse sono le indicazioni su salute e sanità, ma numerose e dettagliate sono quelle relative alla promozione di tecnologie per la digitalizzazione della pubblica amministrazione, per la diffusione di banda larga e 5G, per lo sviluppo di processori più efficienti, per l’aumento delle competenze digitali e della formazione sul lavoro.

Come si può visualizzare dal portale governativo: 900 milioni di euro sono destinati alle infrastrutture digitali con la creazione di un’infrastruttura cloud denominata “Polo strategico nazionale”; 1 miliardo di euro per abilitazione e facilitazione migrazione al cloud; 556 milioni per la piattaforma nazionale digitale dati; 90 milioni per il Single Digital Gateway, ovvero lo sportello digitale unico; 613 milioni per l’esperienza dei servizi pubblici; 80 milioni destinati all’accessibilità; 750 milioni per l’adozione di PagoPA e App IO; 285 milioni per l’adozione identità digitale; 245 milioni per la digitalizzazione degli avvisi pubblici; 40 milioni di euro per il Mobility as a Service (Maas); 623 milioni per la Cybersecurity; 611, 2 milioni per la digitalizzazione delle grandi amministrazioni centrali; 60 milioni di euro per il servizio civile digitale e 135 milioni per i centri di facilitazione digitale4.

La digitalizzazione dei servizi pubblici, oltre che essere un affare per il capitale privato5, corrisponde a vari interessi dello Stato borghese: risparmio materiale (la dismissione di uffici, sedi, personale…), la creazione di un ulteriore baratro tra pubblica amministrazione e masse popolari, nei settori meno informatizzati, nella fruizione dei servizi sociali e la determinazione di nuove forme di controllo, ad esempio a livello fiscale, con la continua tracciabilità dei dati e il loro incrocio tra diversi settori pubblici.

Un altro perno fondamentale è costituito dalla favola del capitalismo green che, nel Pnrr, viene farcita da enormi finanziamenti per le grandi opere inutili e dannose per il territorio, come il Tav, che viene addirittura presentato come “trasporto pulito” in presunta alternativa al trasporto su gomma. L’emergenza climatica viene usata per imporre impianti che presentano più funzioni speculative, che non di tutela del territorio, dell’aria e delle acque. Grandi imprese, ora riciclatesi nella produzione di energie rinnovabili, stanno già mettendo gli artigli su territori che ne usciranno ancor più martoriati. Parliamo quindi di un nuovo emergenzialismo che, nei fatti, passa per le imposizioni dello Stato ai territori e alle masse popolari, anche con la militarizzazione e la repressione politica, come sta continuando a verificarsi in Valsusa.

Lo stesso Draghi aveva propagandisticamente parificato l’emergenza climatica a quella pandemica. Il terreno a livello normativo per gestirla politicamente è stato approntato a partire dalle modifiche costituzionali agli articoli 9 e 41 in materia di “tutela dell’ambiente”. Nel primo caso viene aggiunto un terzo comma, ovvero “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali” e, nel caso della modifica all’articolo 41, si aggiunge al secondo comma, “che l’iniziativa economica privata non può recare danno alla salute e all’ambiente”; e al terzo comma, “che l’attività economica pubblica e privata può essere indirizzata e coordinata a fini anche ambientali”.

Si tratta di modifiche costituzionali nelle quali l’ipocrisia la fa padrona, ma è chiaro che da un lato viene così legittimata la “socializzazione” dei costi della ristrutturazione green del capitale e dall’altro possibili forme di disciplinamento dei rapporti economici e sociali, come già fatto con l’epidemia, ma stavolta con la giustificazione della tutela ecologica. Ad esempio la proposta di direttiva Ue del 15 dicembre prevede la possibilità degli Stati di imporre sanzioni per i proprietari di immobili che non gli adeguino a livello di efficienza energetica, il che equivarrebbe ad una estorsione “ecologica” di Stato per una buona fetta di masse popolari del nostro paese (si stima che il 75% delle famiglie viva in casa di proprietà).

Il portato del Recovery Plan presenta anche un livello di ristrutturazione dello Stato. Esso infatti si accompagna ad una ridefinizione di forme istituzionali che ne blindano politicamente la gestione, per assicurare proprio quella massima sintesi tra formalismo democratico e autoritarismo sostanziale che vuole connaturare la “democrazia governante”. Vengono infatti create, rispetto al Pnrr, organi come la “cabina di regia”, la “segreteria tecnica”, il “tavolo permanente” e le “unità di missione”. Si tratta di nuove strutture burocratiche che dovrebbero governare l’attuazione del Piano, restando in carica fino al 31 dicembre 2026, aldilà di tutti gli scenari politici, blindando in senso tecnocratico la sua attuazione.

Sul fronte della riforma della “giustizia”, la ministra Marta Cartabia intende rafforzare, con le risorse del Pnrr, l’ulteriore compressione delle garanzie processuali, a favore della velocizzazione dei processi, utilizzando anche lo strumento della digitalizzazione. In questo contesto, se pensiamo come la “pandemia” sia stata usata come pretesto per arrivare all’assenza dell’imputato e dell’avvocato nella fase del processo penale d’appello, appare chiara la direzione che la borghesia imperialista ha intrapreso: “giustizia sommaria” per i proletari, garanzie processuali riservate ai padroni che possono comprarsele con i soldi, quando non possono direttamente comprarsi i giudici. Infine, se nei numeri passati scrivevamo di quanto il linguaggio bellicista connaturasse l’emergenzialismo autoritario nella gestione dell’epidemia, ora lo stesso tono informa tutto il dibattito pubblico – nel contesto della guerra tra Russia e Ucraina – attraverso pratiche ancora più totalizzanti, con le quali la comunicazione massmediatica schiera senza mezzi termini due poli l’uno contro l’altro senza possibilità di sfumature: il “democratico e pacifico Occidente” e il cosiddetto invasore russo.

Ogni voce contro la Nato subisce il tentativo di tacitarla, in particolare nelle scuole, da anni investite da una progressiva militarizzazione dei propri spazi. Sul piano della didattica l’eco della guerra imperialista fa il paio con il rafforzamento di sentimenti nazionalisti. Lo vediamo a livello di contenuti nei libri di testo e nelle iniziative, nelle commemorazioni e nei progetti di alternanza scuola lavoro in caserme e basi militari.

Più di prima, la propaganda massmediatica sull’escalation del conflitto in Ucraina sta tacitando ogni voce antimperialista che si opponga all’espansione della Nato e che denunci le ricadute sui lavoratori del nostro paese delle politiche guerrafondaie del governo Draghi. Parliamo di un’escalation repressiva in cui l’aggravarsi della guerra imperialista è causa principale: una guerra che, nella sua gestione sul fronte interno, porterà ancora più repressione, a cui servirà rispondere con l’opposizione politica alla guerra imperialista, individuando nella Nato e nell’imperialismo italiano i nemici principali da denunciare e contrastare.

Il nostro piano: resistenza e lotta di classe

Nell’immediato il Recovery plan rappresenta in modo palese uno strumento funzionale a scaricare i costi della crisi sui proletari, a erodere i diritti conquistati dalle masse in lotta, alla svendita del patrimonio pubblico, al completamento del processo di aziendalizzazione dei settori pubblici come quello dell’istruzione.

Ma quella in corso non è una semplice ristrutturazione economica, bensì, come abbiamo scritto, il Recovery plan è politicamente uno strumento utile alla ristrutturazione degli assetti e dei metodi politici della borghesia imperialista per governare al meglio il corpo sociale.

Il Recovery plan non è un terreno neutro, è un prodotto del nostro nemico di classe e, in quanto tale, dobbiamo rifiutarlo, senza pensare nemmeno per un secondo che possa essere fonte di benessere per le masse.

Quello in corso è una spinta alla ristrutturazione da parte del capitale, in termini politici e sociali, che risponde alla propria crisi e alle sue contraddizioni interne, sottraendo ogni diritto conquistato grazie a decenni di lotte, per posizionarsi nella competizione internazionale sempre più agguerrita.

La tendenza alla “democrazia governante” va quindi contrastata principalmente con la lotta di classe, a partire dalla scuola, dalla sanità, dall’agibilità politica nello spazio pubblico, dalla raccolta di un “ceto medio” che va proletarizzandosi, per accumulare rapporti di forza. Dobbiamo rifiutare le misure di ricatto e di controllo, come il green pass, imposte dalla borghesia imperialista, sostenendo e coltivando rapporti politici e sociali che se ne sottraggono.

Possiamo contrastare la tendenza alla “democrazia governante” in senso tattico generale sui terreni di lotta nei quali, come comunisti, siamo militanti, promuovendo coscienza di classe e resistenza alle politiche della classe dominante, “ma in senso strategico la potremo sconfiggere solo nello scontro rivoluzione/controrivoluzione”6.

Ridurre la nostra analisi alla governance, ad una sua riproposizione “dal basso” è illusorio, perché la sovrastruttura che analizziamo rispecchia la struttura e, in quanto tale, non può essere riformata a favore della nostra classe. Se il Recovery Plan è il piano strategico della classe dominante, l’unico piano che il proletariato deve perseguire è quello immediato della resistenza all’offensiva capitalista e alla guerra imperialista e quello strategico della trasformazione di quest’ultima in guerra civile fra le classi.


Note:

1 Vedi Antitesi n° 0, Cosa intendiamo per controrivoluzione preventiva, pp 54-56

2 A. Carli, Dall’insediamento il Governo Draghi ha posto 12 volte la fiducia, in media due al mese, 8/8/21, IlSole24ore.com

La democrazia governante, Antitesi n° 3, pp 60-70

Le misure del PNRR, padigitale2026.gov.it

5 Vedi supra, Sul capitalismo della sorveglianza, pp. 54 ss.

6 Vedi Antitesi n° 3, La democrazia governante, pp 60-70


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