Il movimento No Green Pass
Ovvero sulle varianti della lotta di classe
“Classi sociali, proletariato e lotte” da Antitesi n.12 – pag.16
A due anni dalla “pandemia” fare un bilancio di cosa è stato e cos’è ancora oggi tutto questo periodo non è difficile: una malattia che andava affrontata in termini sanitari è stata trasformata in una strategia di gestione della crisi del capitalismo1, in un’emergenza autoritaria grazie alla quale è stato possibile un aumento grandioso dei profitti di Big Pharma, oltre che far ricadere sui lavoratori questioni come la sicurezza sul lavoro, introdurre strumenti di controllo e di disciplinamento sociale, aumentare ancora di più la frammentazione delle masse, creando una paura dell’altro e una guerra di tutti contro tutti, nella quale lo Stato borghese si erge a ente salvifico.
Come ogni cosa, anche questo clima di disciplinamento e di terrorismo di massa è frutto di un’elaborazione nel tempo. Si pensi all’operazione “strade sicure” che ha visto le nostre città riempirsi di militari, la concessione di pezzi sempre più ampi del nostro territorio all’installazione di basi militari, la presenza pervasiva delle forze dell’ordine, persino nelle scuole, e, sopratutto, le misure di repressione sempre più gravi contro chi si opponeva a questo sistema.
Ma il salto di qualità operato dai governi Conte bis e Draghi è consistito nello stratagemma dello stato d’emergenza, istituito il 31 gennaio 2020 e più volte prorogato fino ad arrivare alla scadenza del 31 marzo 2022. Una condizione che ha permesso, nascondendosi dietro la questione “pandemica”, di lasciare le mani libere allo Stato per varare ogni misura che gli fosse congeniale.
Infatti, lo Stato d’emergenza non solo si è dimostrato la soluzione migliore per la classe dominante al fine di affrontare le questioni interne, ma è diventato anche il miglior modo per affrontare le questioni estere. Non appena l’esercito russo ha attaccato l’Ucraina, Draghi ha prontamente varato un nuovo stato d’emergenza fino al 31 dicembre con la copertura del dovere di accoglienza per i profughi, accompagnandolo però con l’invio di 250 soldati in Lettonia, di 130 soldati e 14 aerei per il pattugliamento in Romania e di 2 navi, un aereo e 235 marinai per il pattugliamento del Mar Nero. Inoltre, sono state attivate le “forze ad alta prontezza”, ovvero un gruppo di 1350 soldati, 77 mezzi terresti, 2 navali e 5 aerei pronti ad agire, e sono stati inviati ulteriori soldati in difesa delle zone Nato di confine con l’Ucraina, per un totale di 1970 unità. E ancora ha deciso l’invio di armi all’esercito ucraino, coprendone la tipologia e la spesa sostenuta con segreto di Stato. In linea con tutti i precedenti governi ha aumentato le spese militari, puntando ad arrivare allo standard richiesto dalla Nato del 2% del Pil.
La gestione della “pandemia” nel nostro paese è stata un disastro, anche in termini di morti dichiarati, perché anni e anni di assenza di politiche sanitarie, di tagli alla spesa pubblica a favore della spesa militare, di favori alla sanità privata hanno determinato un impoverimento generale del sistema sanitario. L’assenza di presidi territoriali e il mancato adeguamento delle terapie intensive hanno rappresentato l’elemento di difficoltà maggiore per la risoluzione delle conseguenze del Covid. Così come, fuori dal contesto strettamente sanitario, le debolezze in altri settori hanno dimostrato l’incapacità di trovare risposte efficaci alla “pandemia”, si veda il caso della scuola.
Da anni si denuncia la condizione pietosa in cui versano le scuole, edifici fatiscenti, locali inadeguati, classi pollaio… Ridurre i contagi in un contesto come questo risulta impossibile. Inoltre, la dimostrazione di quanto questi settori continuino ad essere di poco interesse per il governo italiano si palesa nel fatto che i fondi di ristrutturazione concessi in questi mesi, di cui tanto si vanta il governo Draghi, sono diretti ai padroni, ai monopoli privati e di Stato e non alla costruzione di infrastrutture pubbliche come scuole o presidi ospedalieri.
Aldilà dell’epidemia, non possiamo non mettere in luce come lo stato emergenziale sia stato creato ad hoc per perseguire altri scopi. I confinamenti, il tracciamento elettronico, il coprifuoco, il green pass e le altre misure di controllo messe in atto hanno rappresentato un fallimento generale sul piano del contenimento del Covid-19, implementando in aggiunta un modello poliziesco di controllo e repressione. Inoltre sono stati il campo nel quale i grandi monopoli capitalistici hanno potuto ingrandire i propri profitti a spese delle masse popolari e togliendo spazi alla piccola e media borghesia.
Pfizer, BioNTech e Moderna, per citare solo le principali case farmaceutiche, a dicembre 2021, hanno aumentato enormemente il proprio valore in borsa. Rispetto a marzo 2020, Pfizer ha avuto un incremento del 79.3%, BioNTech del 720,8% e Moderna del 1033,8%. Profitti fatti sulla pelle di tutti noi, e non è una metafora, visto l’odioso ricatto della vaccinazione estorta! Peraltro, senza nessun pudore, Pfizer ha deciso di licenziare 130 lavoratori dello stabilimento di Catania, prospettandone la possibile chiusura.
La “pandemia” è stata insomma utilizzata a fini di gestione della crisi capitalista e di rafforzamento della controrivoluzione preventiva. Fortunatamente non tutti sono caduti in questa trappola “sanitaria” e dopo tantissimi anni un nuovo movimento di massa si è costituito e ha preso parola in questi mesi, non solo in Italia ma anche in altri parti dell’Europa e del mondo, con caratterizzazioni anche più conflittuali di quelle italiane. Ne sono un esempio il Canada e la Francia con convogli di migliaia di persone concentratisi nelle capitali, o la Romania, dove i manifestanti hanno assaltato il parlamento contro l’approvazione della misura del green pass sul lavoro.
In generale, la risposta dei vari governi è stata dura, così come è accaduto in Italia, dove il movimento No green pass ha subito oltre alla repressione dello Stato, anche l’indifferenza, lo screditamento e l’ostilità di chi non ha riconosciuto in questo movimento una risposta di massa alle contraddizioni reali del sistema.
La “sinistra” contro il movimento No green pass
Abbiamo riportato sulla quarta di copertina dello scorso numero di Antitesi un’esemplare citazione di Antonio Gramsci: “Trascurare e peggio disprezzare i movimenti così detti «spontanei», cioè rinunziare a dar loro una direzione consapevole, ad elevarli ad un piano superiore inserendoli nella politica, può avere spesso conseguenze molto serie e gravi (…). La concezione storico-politica scolastica e accademica, per cui è reale e degno solo quel moto che è consapevole al cento per cento e che anzi è determinato da un piano minutamente tracciato in antecedenza o che corrisponde (ciò che è lo stesso) alla teoria astratta. Ma la realtà è ricca delle combinazioni più bizzarre ed è il teorico che deve in questa bizzarria rintracciare la riprova della sua teoria, «tradurre» in linguaggio teorico gli elementi della vita storica, e non viceversa la realtà presentarsi secondo lo schema astratto. Questo non avverrà mai e quindi questa concezione non è che un’espressione di passività”2. Queste parole illustrano bene la miopia di buona parte della cosiddetta sinistra di movimento rispetto alla lotta No green pass.
Sin dalle sue origini, questo movimento è stato disprezzato e i suoi componenti sono stati definiti complottisti, terrapiattisti, antiscientifici, assassini, in definitiva, folli appestati da cui stare lontani. C’è chi poi ha voluto dare anche una colorazione politica precisa al movimento e, approfittando della presenza di alcuni elementi di estrema destra, ha definito l’intero movimento fascista, giustificando in questo modo il proprio atteggiamento di repulsione. Fa riflettere che molti di quelli che dicevano di non “volersi sporcare le mani” mischiandosi in un corteo in cui potevano esserci dei fascisti, oggi in molti casi sono estremamente ambigui rispetto alla guerra in Ucraina e al regime di Zelenski, dimentichi che il suo potere scaturisce da un golpe orchestrato da Ue e Usa e attuato dalle bande nazifasciste Pravy Sektor e Svoboda, che dirigevano la piazza di Euromaidan, poi integrate nell’esercito attraverso il famigerato Battaglione Azov.
Il movimento No green pass in quanto movimento di massa è ovviamente un movimento eterogeneo e non potrebbe essere altrimenti trattandosi di un movimento concreto. Intendiamo qui il termine concreto nell’accezione marxista per cui “il concreto è concreto perché è sintesi di molte determinazioni ed unità, quindi del molteplice”3. È un movimento reale e come tale ricco al suo interno di combinazioni bizzarre, riprendendo Gramsci. Non potrebbe certo essere la riproduzione nella realtà di uno schema astratto. E come ci si comporta dinnanzi ad un movimento reale e concreto? Probabilmente l’assenza di movimenti di massa negli ultimi decenni ha disabituato la “sinistra militante” a cercare delle vie per rapportarsi alle masse. È stato molto più facile per alcuni gruppi, non trovando nelle piazze di ogni sabato da agosto ad ottobre (per citare solo il periodo più caldo delle mobilitazioni, ma in molte piazze ancora oggi il movimento è attivo) la riproduzione del proprio schema astratto di azione, dire che “altre sono le nostre piazze”, espressione questa di quella passività di cui parlava Gramsci. Del resto, mentre si scendeva in piazza ogni settimana e si bloccavano porti, questa parte di sinistra è rimasta immobile e tacita, aspettando che passasse il momento e si potesse ritornare a indire delle piazze con le parole d’ordine chiare ai militanti e confuse per le masse, piene di bandiere ma vuote di persone. La mobilitazione del No Draghi day del 4 dicembre in diverse città di Italia, per esempio, è stata proprio questo: un momento autoreferenziale per gli addetti ai lavori. Altri gruppi di “sinistra” hanno invece preferito assumere una posizione ondivaga, cercando in questo modo di non distinguersi dal clima di terrorismo “sanitario” pompato dalla classe dominante, ma provando allo stesso tempo a mettere bocca sui temi posti dal movimento No green pass.
Ciò che accomuna tutti questi gruppi è sicuramente il ricercare la soluzione alla crisi della società borghese nel sistema borghese stesso. In sostanza la “pandemia” sarebbe una situazione così grave per le masse popolari che quest’ultime non possono opporsi alla narrazione e alle misure che lo Stato borghese implementa nella sua presunta gestione “sanitaria”. Una concezione tipicamente riformista per cui, per dirla ancora con Gramsci, “nella valutazione dello Stato borghese occorre distinguere la funzione di oppressione di una classe sull’altra dalla funzione di produzione di determinate soddisfazioni a certe esigenze generali della società”. In sostanza, l’epidemia e la sua gestione sono ridotti a terreni neutri, interclassisti, dove la lotta contro lo Stato borghese e le sue politiche sono di fatto “sospese” in nome di quel “comune nemico” che sarebbe il virus. Questo assioma teorico implicito in parte della sinistra antagonista (appunto, non rivoluzionaria) “è fuori dalla concezione marxista della Stato” e inoltre rivela “un orientamento a concepire la soluzione della crisi della società borghese all’infuori della rivoluzione”4.
Nel caso della gestione della “pandemia” proprio questa distinzione consente al governo di aprire spazi per lo sviluppo dell’egemonia borghese in campo proletario: il green pass diventa una misura con copertura ideologica sanitaria, ma in realtà di controllo sociale, legittima un clima di autoritarismo sui luoghi di lavoro e di epurazione dei lavoratori coscienti, diventa strumento di disgregazione della classe operaia.
Quello che è mancato a buona parte di questa sinistra antagonista è: da un lato, la capacità di vedere nel movimento No green pass l’unica forma concretamente messa in campo di dissenso e lotta reale al governo Draghi e dall’altro, la volontà di fare inchiesta tra le masse che si mobilitavano come se “l’analisi concreta della situazione concreta” si potesse fare in astratto o seduti davanti alla tastiera di un computer. Noi abbiamo scelto di scendere in piazza per entrambe le questioni, per stare dentro un concreto movimento di mobilitazione contro il governo e per fare inchiesta, e solo così poter aver diritto di parola. Il fare inchiesta è solo il primo passaggio dell’agire politico che come comunisti dovremmo mettere in atto. L’inchiesta sulle condizioni oggettive delle masse, poi su quelle soggettive, focalizzandone gli aspetti negativi, legati all’egemonia della classe dominante sfruttatrice, e quelli positivi, dai quali l’avanguardia comunista deve imparare. Il secondo passaggio è quello della rielaborazione delle acquisizioni fatte tra le masse in linea politica, quindi analizzando il movimento delle masse nella fase precisa e dando indicazioni per lo sviluppo dell’azione politica comunista e dell’azione stessa delle masse. A questi due passaggi segue il momento in cui le indicazioni vanno riportate fra le masse per verificarle nella pratica e soprattutto nel rapporto che, tramite tali indicazioni, i comunisti possono stabilire con le masse stesse, orientato a trarne gli elementi migliori per formare nuovi compagni. Si realizza così “una spirale senza fine”, che determina come “le idee ogni volta saranno più giuste, più vitali e più ricche”5.
Le piazze No green pass di Trieste, Milano, Catania
Il lavoro di inchiesta e di partecipazione attiva alla vita del movimento No green pass ci ha dato la possibilità di poter prendere parola sul più grande movimento di massa nato negli ultimi anni e molte delle considerazioni fatte in questo articolo vengono fuori proprio da questo lavoro. In particolare, siamo stati nella piazza di Trieste, luogo emblematico della lotta contro il green pass, che è riuscito a portare grandi settori di classe in piazza e ha dimostrato una forte combattività e tenacia nel resistere alla dura repressione messa in campo. Siamo stati nella piazza di Milano, contraddistinta per il numero di manifestanti che ogni sabato partecipavano alla mobilitazione e per essere riuscita a portare alla luce la contraddizione specifica che vivono gli studenti, per i quali l’adozione del green pass ha significato un’ulteriore compressione del diritto allo studio dopo quasi due anni di negazione degli spazi universitari e di implementazione di forme di didattica informatizzata, classiste e alienanti. E infine, siamo stati anche nella piazza di Catania, la piazza contro il green pass più numerosa del Sud Italia, che ha visto un forte, genuino e spontaneo protagonismo della classe lavoratrice, mobilitatasi contro i ricatti sul lavoro del governo Draghi in aggiunta a tutti gli altri ricatti che affliggono soprattutto il proletariato meridionale, come la disoccupazione, l’emigrazione, la precarietà e il lavoro nero.
Trieste: il ruolo della classe lavoratrice
A Trieste, le mobilitazioni contro l’obbligo vaccinale iniziano nella primavera del 2021, in risposta all’obbligo vacinale per i sanitari, disposto a partire da aprile da parte del governo. Si tratta di piazze animate perlopiù dall’Associazione per la Libertà di Scelta delle Terapie (Alister) e dal Movimento 3V, su posizioni fortemente critiche nei confronti dei vaccini in sé dal punto di vista della loro pericolosità per la salute e della gestione autoritaria dell’epidemia da parte dell’esecutivo, in nome della difesa delle garanzie costituzionali.
Il crescendo di misure restrittive e di ricatto da parte di Draghi e della sua cricca, tra cui l’istituzione del green pass preso dal modello israeliano, continua a spingere la mobilitazione popolare per tutta l’estate, con comizi partecipati da centinaia di persone nella centrale Piazza della Borsa. In particolare, a galvanizzare l’attenzione e l’indignazione è l’allargamento dell’infame certificato verde, già introdotto per i luoghi di consumo, ai lavoratori della scuola, a partire dal primo settembre 2021. Proprio in risposta a questo ulteriore allargamento del green pass, un gruppo di compagni e compagne decide di prendere l’iniziativa con un presidio organizzato il 31 agosto del 2021, alla vigilia del nuovo allargamento del green pass. Durante gli interventi alla manifestazione si determina un salto nelle argomentazioni poste, passando dalla questione della libertà individuale alla denuncia dei ricatti contro i lavoratori, ponendo cioè il lavoro e dunque una questione di classe al centro della contestazione del green pass. Inoltre, la questione della critica ai vaccini viene ridimensionata in favore dell’unità tra lavoratori vaccinati e non vaccinati, individuando nel green pass un’ulteriore strumento di oppressione degli sfruttati, in una fase nella quale il governo sblocca i licenziamenti, avvia la ristrutturazione capitalistica finanziata dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza6 e, in generale, si aggrava la crisi del capitale.
L’intuizione dei compagni e delle compagne promotrici dell’incontro del 31 agosto è quella di convocare un’assemblea popolare aperta a tutti coloro che intendono mobilitarsi contro il green pass e l’obbligo vaccinale, che successivamente si definirà Coordinamento No green pass. Quest’ultimo sarà in grado, da settembre 2021, di condurre una serie di partecipatissime e continue mobilitazioni popolari, sopratutto in forma di corteo, con una presenza popolare e proletaria come da tempo non si vedeva a Trieste. È nell’ambito di questo percorso di lotta che, tra settembre e ottobre, nasce il rapporto con il Coordinamento Lavoratori Portuali di Trieste (Clpt), organismo sindacale nato nel 2014 in rottura con la passività e i tradimenti dei confederali e per rivendicare l’attuazione dell’Allegato 8° al Trattato di Pace di Parigi del 1947, che prevede l’extradoganalità al porto di Trieste e l’assetto autonomo dell’intera città (il Territorio Libero di Trieste).
Si entra così in una fase di protagonismo dei lavoratori portuali: il primo e l’undici ottobre la loro presenza ai cortei organizzati dal Coordinamento è massiccia, al fianco anche di altre categorie con i propri striscioni, come ferrovieri, autisti del trasporto pubblico locale, tassisti…
E così il Clpt, assieme al Coordinamento No green pass, alza il tiro della lotta: il 15 ottobre, data di entrata in vigore del green pass per l’accesso a tutti i luoghi di lavoro, annuncia il blocco del porto di Trieste. Il governo prova a fermare la mobilitazione con un’apposita circolare nella quale esorta le imprese del porto a pagare i tamponi di tasca propria, puntando soprattutto a evitare che l’esempio dei portuali triestini si allarghi ad altri scali.
Nonostante molti padroni del porto di Trieste siano costretti ad acconsentire, i portuali non mollano: il 15 ottobre il porto entra in sciopero pressochè totale, con un presidio presso uno dei due varchi di ingresso. Nella prima mattinata, a presidiare sono alcune decine di manifestanti, ma nelle giornate successive il luogo diventerà meta di migliaia di lavoratori non solo triestini, ma giunti da tutta Italia e anche dall’estero, accampati notte e giorno “fino al ritiro del green pass”. Il presidio durerà fino al 18 ottobre, quando la polizia interverrà con idranti, lacrimogeni e manganelli, scatenando una guerriglia urbana nelle zone limitrofe al porto che durerà tutta la giornata.
Lo sgombero del porto segna un momento di aggravamento della repressione nei confronti del movimento, che reggerà ancora con altri quattro cortei partecipati da migliaia di persone, per poi cedere temporaneamente nel periodo invernale, anche a causa dei divieti di manifestazioni in movimento dovuti all’entrata del Friuli Venezia Giulia nelle zone colorate. Una nuova fiammata di lotta si determinerà con l’entrata in vigore dell’obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni, nel febbraio scorso, con il ritorno di manifestazioni molto partecipate, colpite dalla questura con decine di sanzioni per “blocco stradale” poiché svoltesi nonostante il divieto di corteo della “zona arancione”.
Milano: il ruolo degli studenti
Della piazza di Milano, come dicevamo, ci sembra assai interessante la capacità dimostrata dagli studenti nell’aver evidenziato la connessione tra green pass e negazione del diritto allo studio.
A Milano i piani della mobilitazione sono stati due. Il primo, quello cittadino, frutto di iniziative spontanee, ha visto fino a 15 mila persone in piazza per un arco temporale abbastanza lungo (dalle prime piazze di luglio ad oggi). A differenza di quanto ci è stato riportato dai mass media, la presenza di elementi di estrema destra è stata molto minoritaria e senza nessuna reale presa tra le masse, al punto tale che via via è scomparsa.
L’altro piano è quello universitario composto da studenti della Statale, Bicocca e Politecnico che sono riusciti a mettere in piedi dibattiti sul tema abbastanza partecipati e che hanno avuto risvolti pratici nella partecipazione in maniera compatta e rappresentativa alle manifestazioni cittadine.
In comune i due piani, quello cittadino e quello universitario, hanno la caratteristica di essere movimenti di massa eterogenei. Nel caso del movimento degli studenti, si tratta di un gruppo tendenzialmente orientato a sinistra (nel senso reale del termine) che è riuscito a scendere in piazza con parole forti e ben schierate, come nel caso del corteo successivo all’attacco della Cgil a Roma, quando gli studenti passando sotto la sede milanese del sindacato hanno lanciato lo slogan “Noi siamo antifascisti e voi servi del padrone”.
L’eterogeneità del movimento degli studenti ha fatto sì che portassero il dibattito sul lasciapassare in diversi luoghi della città e che aprissero anche una riflessione più larga sul green pass e su altri strumenti, come nel caso dell’assemblea sulla strage di Piazza Fontana.
Per i compagni e le compagne presenti nel movimento lavorare al suo interno è stata una palestra per comprendere in che modo dialettizzarsi su queste questioni, su come individuare le contraddizioni principali e non cadere vittime della retorica governativa che è riuscita a distorcere la vera natura di tutte queste manifestazioni no green pass, riducendole a delle manifestazioni di no vax in modo da alimentare l’odio tra le masse divise dalla scelta vaccinale. Stare in questo movimento per i compagni studenti ha significato riuscire a spostare il dibattito anche oltre la questione del green pass e ragionare assieme su questioni prettamente universitarie, ad esempio la digitalizzazione della didattica e i processi di aziendalizzazione delle università, fino a tematiche meno specificatamente studentesche.
Così, la tendenza alla guerra, che ha recentemente manifestato una sua palese concretizzazione nell’acuirsi del conflitto in Ucraina, ha trovato un movimento maturo in grado di poter ragionare su guerra e “pandemia”. Questo è potuto accadere a partire dalla riflessione sulla gestione della comunicazione da parte dei mass media che abbiamo subito durante i mesi della crisi sanitaria, con la propaganda sugli ospedali pieni o vuoti di malati Covid, i numeri di contagi alti o bassi in base alle necessità dei padroni e del governo di dire che tutto andava bene o che tutto andava male, e che quindi bisognava aprire tutto o chiudere tutto, e l’identificazione in un settore di massa del nemico comune: i no vax e i no green pass.
Pratiche che si stanno ripetendo rispetto alla guerra, con la mostrificazione dei russi e di Putin in particolare e la narrazione di parte sulle dinamiche del conflitto, con lo schierarsi acritico dalla parte della Nato e dei paesi ad essa subordinati. Del resto, ad unificare guerra e pandemia contribuisce la dinamica dell’istituzione dello stato d’emergenza, previsto per i profughi ucraini, e dell’emergenzialismo in generale, utilizzato come strumento per rafforzare l’autoritarismo governativo e delle istituzioni locali.
In definitiva, abbiamo scelto di raccontare del movimento degli studenti No green pass milanese perché ci premeva da una parte ribadire, contro tutta la narrazione falsificata dai media, la mole di lavoro politico fatto in questi mesi e il numero di studenti coinvolti in tale lavoro. Inoltre ci premeva raccontare il lavoro che i compagni hanno fatto all’interno di questo movimento di massa, riuscendo a mettere in pratica la linea di massa di cui parlavamo nel paragrafo precedente. Hanno fatto inchiesta tra gli studenti, hanno raccolto e riportato alle masse indicazioni adeguate, riuscendo così a intervenire nel più vasto movimento cittadino No green pass, riuscendo a costruire momenti di avanzamento della lotta condivisi da tutto il movimento.
La scelta del racconto della situazione milanese, non sminuisce il valore che riconosciamo a tutto il movimento nazionale degli studenti no green pass che continua ancora a mantenere alta l’attenzione sulla questione e che prova a darsi anche una struttura interna più definita per organizzarsi e continuare la lotta. Si tratta di una rete di studenti molto numerosa che sorprende se consideriamo, come detto prima, il fatto che gli studenti sono appena usciti da una fase in cui hanno subito l’isolamento forzato e la conseguente disgregazione. Gli studenti No green pass hanno dimostrato, realizzando una rete nazionale, di essere in grado di riprendersi i propri spazi, di rilanciare il dibattito sulla loro condizione e di lavorare anche durante il periodo in cui il “tutti a casa” ha fatto dimenticare a molti il dovere di scendere in piazza a rivendicare una vita dignitosa, preparando il terreno a tutte le lotte che gli studenti hanno portato avanti, in primis, contro la maturità post-emergenza e contro l’alternanza scuola-lavoro.
Catania: la genuinità della mobilitazione popolare
Anche la composizione della piazza No green pass di Catania è stata eterogenea con una presenza maggioritaria, per ragioni di numero ma anche di determinazione alla lotta, di lavoratori di diversi settori: operai, impiegati del pubblico, docenti. La prevalenza di lavoratori ha permesso una focalizzazione maggiore sul rapporto green pass e diritto al lavoro negato. Durante le mobilitazioni di settembre all’apertura del nuovo anno scolastico, centrale è stato il dibattito sul modo in cui lo Stato ha inteso la sicurezza nelle scuole. Nessun finanziamento è stato fatto per riaprire le scuole in sicurezza, per garantire spazi più ampi dove fare le lezioni, ad esempio. La scuola, invece, è stata riaperta con il ritorno a quella malsana normalità alla quale hanno provato ad abituarci. A pagarne le conseguenze, ovviamente, sono stati gli studenti e il personale scolastico. Gli studenti in quanto costretti a stare costantemente con le mascherine e senza poter muoversi dal proprio banco per evitare il contagio; i lavoratori in quanto sono stati costretti ad esibire, prima delle altre categorie, da settembre 2021, il green pass per svolgere la loro attività lavorativa e poi, da dicembre 2022, addirittura il super green pass.
Il gioco del governo fatto nei confronti di questa categoria di lavoratori è veramente sporco, poiché sono stati usati come banco di prova di tutta questa operazione di disciplinamento di massa, costringendoli ad un vaccino sperimentato da pochi mesi e le conseguenze deleterie, talvolta persino mortali sulla vita di alcuni lavoratori scolastici, si sono puntualmente verificate. Alcuni docenti presenti nella piazza catanese contro il green pass hanno portato avanti una battaglia feroce contro quest’obbligo facendosi sospendere dal lavoro. Così come è avvenuto per altri lavoratori ancora sospesi, si sono messe in piedi iniziative di solidarietà, come ad esempio le casse di resistenza e il supporto e consulenza legale gratuiti.
La piazza di Catania contro il green pass ha ricoperto un ruolo importante perché ha riportato per le strade della città, dopo diversi anni, centinaia di lavoratori e lavoratrici e, come è accaduto in tutte le città d’Italia, trattandosi di un movimento di massa, ha portato in piazza uomini e donne non abituate ad occupare piazze e strade per rivendicare il diritto al lavoro e per ribellarsi alle misure di controllo sociale. Si è trattato per la città di Catania di un fatto nuovo: da tempo infatti non si vedevano manifestazioni popolate da lavoratori e non esclusivamente da militanti. Ovviamente tutto ciò è passato inosservato per i media locali che invece hanno trasmesso una narrazione falsata della realtà, raccontando di piazze dirette da gruppi di estrema destra. Ancora una volta, così come in altre città, i pochi elementi appartenenti a gruppi di destra, seppure non sono stati cacciati dalle piazze indette dai lavoratori, sono stati comunque isolati e si sono ridotti ad un numero insignificante.
Purtroppo per buona parte della sinistra catanese sono bastati due, tre fascisti a trasformare un movimento di massa, composto da gente comune e militanti notoriamente antifascisti, in un movimento fascista e colpevole della diffusione del virus. Al contrario, il movimento No green pass, dimostrando una capacità di azione politica matura è sceso, con lo striscione “Lavoratori e lavoratrici contro il green pass”, durante l’unica manifestazione che la sinistra catanese è riuscita a mettere in piedi contro le politiche del governo, il No Draghi day del 4 dicembre. In questo corteo così come in tutti gli appuntamenti di ogni sabato che continuano ad esistere, seppur con una frequenza più lenta, è stato ribadito anche un altro concetto importante: quello dell’unità delle masse contro il gioco della frammentazione fatto dal governo, che ci ha messo l’uno contro l’altro e che attraverso un linguaggio violento è riuscito a spaccarci, opponendo i vaccinati ai non vaccinati. Le piazze catanesi, infatti, non si sono mai distinte per un carattere prettamente no vax e la dicotomia vaccinati – non vaccinati è stata superata in nome di questioni ben più importanti che toccavano indistintamente tutti quanti: la negazione del diritto al lavoro, le operazioni di disciplinamento di massa e le misure di controllo sociale.
A differenza di altre piazze italiane e in particolare di quella di Trieste e Milano, la repressione nei confronti del movimento No green pass è stata moderata, non ci sono stati daspo né manganellate violente. Ciò nonostante sono state interdette alcune zone della città, ovviamente quelle più centrali, sempre sulla base dell’infame circolare firmata Lamorgese del novembre 2021. In questo modo, la prefettura di Catania ha ottenuto, da una parte, di relegare il movimento No green pass a luoghi meno visibili della città e, dall’altra, dietro le ipocrite questioni emergenzialiste della “sicurezza” e della “salute”, di vietare che anche i cortei studenteschi potessero attraversare le vie principali della città.
Dai movimenti di massa alla lotta politica
Abbiamo voluto con questo articolo mettere in chiaro due questioni. La prima condiste nella natura del movimento No green pass: movimento eterogeneo, reale e concreto di massa, unica voce di opposizione costante contro Draghi. La seconda riguardante il modo in cui bisogna rapportarsi, da comunisti, con i movimenti di massa. Quest’ultima non può essere assolutamente relegata ai margini della nostra prassi politica, proprio perché è solo con le masse che riusciremo a intraprendere un percorso rivoluzionario. Quindi è necessario stare nelle mobilitazioni che nascono spontanee e farci promotori di altre mobilitazioni per rivendicazioni specifiche e generali della classe, unendo le une alle altre.
Il movimento No Muos in Sicilia, per fare un solo esempio, in questi giorni è riuscito a portare migliaia di persone in piazza a Niscemi, Sigonella e in diverse città siciliane unite su alcuni concetti chiave: la preparazione della guerra da parte di Usa, Ue e Nato contro la gestione propagandistica dello scoppio della guerra per mano di un “folle dittatore”, l’imposizione di una narrazione unica sulla guerra, così come accade con la propaganda della misura del green pass da parte del governo e dei media e infine le conseguenze economiche del conflitto sulla pelle dei proletari e delle proletarie, con l’aumento di gas, luce, e carburante.
Nell’unità del molteplice nascono i movimenti di massa e al loro interno i comunisti lavorano per una sintesi di tale molteplicità verso un’unica prospettiva, quella della lotta e dell’organizzazione rivoluzionaria del proletariato.
Note:
1 Vedi supra, Il capitalismo pandemico. Come gestire la malattia del capitale con la malattia da Covid, pp. 5 e ss.
2 Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, Passato e presente, spontaneità e direzione consapevole, quadernidelcarcere.wordpress.com
3 Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica all’economia politica, Vol 1, p. 27, La Nuova Italia.
4 A. Gramsci, Resoconto del III° Congresso, p. 95, Cooperativa Editrice Distributrice Proletaria, Milano 1972.
5 Mao Tse Tung, Alcune questioni riguardanti i metodi di direzione, vol. 8, p. 213, Opere complete, Edizioni Rapporti Sociali.
6 Vedi Antitesi n° 11, pp. 6 ss.