Sulle perquisizioni del primo luglio a Trieste
Martedì primo luglio alle sette di mattina, agenti della Digos si sono presentati dapprima a casa di undici compagni e compagne di Trieste e poi in uno spazio utilizzato da diversi gruppi politici e sociali, per perquisizioni nell’ambito delle indagini per i fatti avvenuti durante lo scorso 25 Aprile. Quest’anno, il corteo partito da Campo S. Giacomo è stato prima bloccato e poi caricato dalla polizia, ma si è anche concretizzata la determinazione dei manifestanti a resistere alla violenza della questura, riuscendo ad arrivare alla Risiera di S. Sabba, luogo simbolo degli orrori del nazifascismo in queste terre.
Trattasi di un’indagine per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, cioè per fatti avvenuti alla luce del sole, ripresi in piazza dalla stessa polizia e giornalisti: le perquisizioni non hanno nessun fine d’indagine, ma unicamente lo scopo di intimidire, non solo gli undici compagni e compagne coinvolte, ma tutti coloro che hanno partecipato al corteo antifascista. Alla questura non è andata giù di aver trovato una risposta coesa e determinata dai manifestanti, dopo aver bloccato arbitrariamente un corteo pacifico e comunicato con anticipo. Sul piano della politica cittadina, inoltre, le manganellate del 25 Aprile e l’attuale indagine vogliono difendere l’agibilità della cricca di fascisti in doppiopetto a capo delle istituzioni locali durante la cerimonia alla Risiera, nonché la vergognosa blindatura di quest’ultima, imposta dopo la fase emergenzialista del Covid. Ciò è evidente dalle dichiarazioni dei funzionari della questura, che hanno spiegato il blocco con la necessità di non far confluire il corteo dei cosiddetti antagonisti, quello partito da Campo S. Giacomo, nel corteo della sinistra borghese, partito dal monumento dei caduti di Servola, alla quale evidentemente deve essere lasciata “unica voce in capitolo” in presunta alternativa alla cricca del podestà Dipiazza.
Un altro dato politico di cui tenere conto è che il corteo di Campo S. Giacomo non solo ha rotto ogni retorica sulla pacificazione e ogni falsificazione della memoria, che puntualmente emergono rispetto al 25 Aprile, ma ha posto la continuità tra la lotta di liberazione dal nazifascismo e quella che oggi combatte il popolo palestinese per liberarsi dal regime genocida sionista. È una direttiva repressiva nazionale, che parte dallo stesso governo Meloni, quella di colpire il movimento di solidarietà per la Palestina, colpevole di denunciare l’allineamento delle classi dominanti italiane con i massacratori sionisti e di rompere l’egemonia bellicista che si vorrebbe imporre nel nostro paese. L’Italia è un paese in guerra: siamo arrivati all’undicesimo pacchetto di armi al regime fascista ucraino, l’alleanza strategica militare con i sionisti è stata confermata alla faccia del genocidio in corso a Gaza e il governo è promotore dei progetti di riarmo di Ue e Nato. Tutto ciò a detrimento della condizione di vita delle masse popolari, che dovranno sempre di più accettare l’austerità di guerra, ovvero il travaso sempre più marcato della spesa sociale in spesa militare. E quando non basta la minaccia della legislazione di guerra – com’è il decreto sicurezza recentemente entrato in vigore – bisogna manganellare, inquisire, perquisire e portare a processo.
Diamo la nostra solidarietà a tutte le compagne e i compagni perquisiti!
Difronte alla repressione non facciamo un passo indietro e restiamo uniti!
Sul sentiero dei partigiani, resistere per vincere!
Antitesi – Organizzazione Comunista (Trieste)