Strike n.03
Ribaltare i rapporti di forza è possibile e necessario!
numero III anno I
INDICE
— Il governo fa i conti, i lavoratori li pagano
— Ma qui lavorano tutte femmine?
— Il volto oscuro delle cooperative sociali
— Servizi ambientali: riprendersi il contratto
— Grecia: se 13 ore vi sembran poche
— Scuola: la precarietà sale in cattedra
EDITORIALE
Gli scioperi generali del 22 Settembre e del 3 Ottobre hanno dato un segnale forte e importante, facendo emergere lo sdegno e la rabbia contro il genocidio del popolo palestinese e palesando il rifiuto delle politiche di riarmo. Blocchi di strade, stazioni e porti, folle oceaniche con milioni di persone in piazza e centinaia di manifestazioni in tutto il paese, alta partecipazione di giovani e giovanissimi, sono gli aspetti di quelle giornate che più hanno spaventato padroni e governo.
L’appello a “bloccare tutto” lanciato dai portuali di Genova ha permesso di portare il tema della guerra nei posti di lavoro e ha dato concretezza, attraverso blocchi, scioperi e cortei, all’opposizione allo stato di guerra che incombe. L’appoggio alla resistenza palestinese si è tradotto in opposizione al governo Meloni, rompendo il clima di pace sociale proprio nel momento in cui quest’ultimo risulta indispensabile per attuare la corsa al riarmo e “disarmando”, nei fatti, il decreto sicurezza da poco
emanato.
L’inedita convocazione di uno sciopero generale unitario, che ha visto convergere la Cgil ed il sindacalismo di base sulla data del 3 ottobre, è sicuramente un fatto storico, che dimostra come la spinta ed il protagonismo dei lavoratori possano scansare le logiche opportuniste e settarie delle burocrazie sindacali.
Giornate importanti che hanno dimostrato la forza della classe lavoratrice, che può effettivamente “bloccare il paese” lottando unita. Dobbiamo valorizzare questi aspetti, riversarli nella lotta nei posti di lavoro e dare continuità a quella rabbia, tradurla in organizzazione e determinazione, perché il futuro dovrà trovarci sempre più organizzati per lottare per i nostri interessi.
Salari inadeguati al costo della vita, compressione dei diritti, tagli allo stato sociale per finanziare il riarmo, peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, sono e saranno le conseguenze della tendenza alla guerra e della sete di profitti dei padroni. La prossima manovra del governo, il rinnovo dei contratti nazionali, sono solo alcune delle partite aperte per le quali dovremo
mobilitarci, a partire dai prossimi scioperi contro la finanziaria.
I rapporti di forza si possono ribaltare a nostro favore! Le cose possono cambiare!
Prendiamone coscienza e mettiamoci in testa che questo sistema marcio, fatto di miseria, sfruttamento e guerra, si può rovesciare!
IL GOVERNO FA I CONTI, I LAVORATORI LI PAGANO
Il governo Meloni presenta la Legge di Bilancio 2025 come un’operazione per “mettere i conti in ordine”, ma la realtà è un’altra: si tratta del solito massiccio trasferimento di ricchezze dai lavoratori verso il capitale e la macchina bellica. Queste sono le vere priorità del governo.
Le risorse per le manovre finanziarie arrivano sempre dalla classe lavoratrice, che continua a produrre, con il proprio lavoro, la ricchezza sociale, ma viene ripagata con guerra e austerità. Negli ultimi anni, l’inflazione ha eroso i salari ed i lavoratori hanno perso potere d’acquisto ma, paradossalmente, hanno pagato più tasse.
Questo accade perché, anche se aumenta il salario nominale, cioè la paga lorda così come la leggiamo in busta paga, tale aumento non è sufficiente a compensare l’inflazione reale. Inoltre, non essendo le soglie Irpef adeguate al reale costo della vita, si entra in scaglioni fiscali più alti, pur avendo meno potere d’acquisto. È una doppia beffa: l’inflazione riduce i salari reali e lo Stato incassa più tasse sul lavoro.
Anche le principali istituzioni economiche lo riconoscono: secondo Istat e Bankitalia, la manovra non riduce le disuguaglianze. Le famiglie con redditi bassi e medio-bassi ricevono benefici minimi, mentre gli sgravi maggiori vanno a redditi più alti e ai patrimoni. È una manovra che favorisce chi ha di più e lascia indietro chi lavora. Secondo i sindacati, ad esempio, un lavoratore con reddito medio otterrà solo pochi euro di sgravio, mentre chi guadagna di più ne beneficerà in modo significativo. Questo conferma che le politiche economiche restano orientate a tutelare rendite e grandi ricchezze. Così, mentre si parla di “detassazione” come misura di giustizia sociale, i principali beneficiari restano i redditi alti.
La manovra colpisce duramente il welfare e i servizi pubblici, riducendo l’accesso universale a sanità, istruzione e assistenza. Le risorse stanziate per la sanità pubblica sono minime rispetto ai bisogni reali, aprendo sempre di più le porte ai privati. Non mancano poi incentivi e finanziamenti per le aziende, in termini di assunzioni e ammodernamento, ma si tratta di interventi che non cambiano la sostanza: chi lavora continua a pagare il prezzo della crisi. L’indebolimento dei servizi pubblici costringe milioni di persone a rimediare individualmente a bisogni collettivi, aggravando le disuguaglianze e scaricando sulle famiglie – e sulle donne, in particolare – servizi che dovrebbero essere garantiti dallo Stato. Questa è la vera violenza sistemica contro le donne: lo Stato scarica su di loro le proprie mancanze in termini di lavoro di cura e assistenza.
Detto questo, la manovra ammonta a circa 18 miliardi, mentre per la corsa al riarmo sono stanziati 32 miliardi, quasi il doppio: è evidente quali siano le priorità del governo, allineato con gli appetiti guerrafondai statunitensi, da un lato, e con la corsa al riarmo europeo, dall’altro. La spesa militare diretta, prevista entro il 2035, ha l’obiettivo dichiarato di arrivare progressivamente alla percentuale di 5% del PIL. Questa escalation sottrae risorse pubbliche che potrebbero essere destinate a welfare e servizi essenziali.
La Legge di Bilancio 2025, dunque, è una precisa scelta politica di classe: scarica la crisi su lavoratori e lavoratrici, continua a demolire lo stato sociale e alimenta l’economia di guerra. L’unica risposta possibile è l’organizzazione e la mobilitazione collettiva: nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nei territori. Gli scioperi per Gaza di settembre e ottobre ci hanno fatto vedere che uniti e determinati possiamo “Bloccare tutto”, la lotta oggi deve proseguire contro l’economia di guerra e lo stato di guerra che ci vogliono imporre, a partire dalla Legge di Bilancio e contro tutte quelle manovre che puntano a far pagare a noi il costo della loro crisi e delle loro mire guerrafondaie.
