StrikeVolantini e comunicati

Strike n.02

Il nostro patto sociale,
lavoratori uniti contro guerra e capitale

numero II anno I


INDICE

Armiamoci e partite

Spettacolo in movimento

Cos’è il Keynesismo militare

Sanità: precarietà e sfruttamento

Appello dei sindacati palestinesi

EDITORIALE

Il governo Meloni, per attuare la corsa al riarmo e garantire margini di profitto ai padroni, deve assicurarsi la pace sociale sul fronte interno. Deve cioè fare di tutto per ridurre il rischio che la classe lavoratrice e le masse popolari scendano in campo in maniera forte e determinata mettendo i bastoni tra le ruote ai loro progetti. Gli impegni assunti dal governo per aumentare le spese militari significano solo una cosa: future manovre lacrime e sangue.

Il governo prova a promuovere un nuovo “patto sociale”, per arginare e prevenire la mobilitazione dei lavoratori. Il rapporto organico con la Cisl è sempre più evidente, prima con l’approvazione della Legge Sbarra, poi con l’ingresso dell’ex segretario nel governo e la firma di contratti separati, ovviamente al ribasso, (Ccnl Pubblico Impiego, Ccnl Poste Italiane, Ccnl Sanità Pubblica) e, da ultimo, con l’attacco dei cislini alla proclamazione dello sciopero per Gaza. Se con una mano il governo promuove un “patto sociale” con l’altra inasprisce le pene attraverso il Decreto Sicurezza attaccando le più consuete forme di lotta dei lavoratori, come i picchetti e i blocchi stradali. Patto sociale e repressione sono strumenti indispensabili per l’economia di guerra e la corsa al riarmo, perché funzionali a controllare, indebolire e, in ultima istanza, reprimere le lotte.

I metalmeccanici che a Bologna hanno bloccato la tangenziale ci hanno dato un esempio concreto di come reagire a tutto questo. L’aver violato apertamente il decreto sicurezza con forza e determinazione ha costretto il governo a convocare il giorno dopo le parti sociali e “sorvolare”, per ora, sull’accaduto.
Anche le giornate di mobilitazione e sciopero del 19, ma soprattutto del 22 settembre, sono state importanti nel contrasto alle politiche guerrafondaie del governo. La solidarietà alla Palestina e l’opposizione alla guerra sono entrate nei posti di lavoro in maniera concreta e ampi settori di lavoratori si sono mobilitati assieme a tanti giovani chiarendo da che parte stanno. Tutti avremmo voluto un unico grande sciopero generale ma è evidente che le logiche di bottega e l’opportunismo hanno prevalso, ancora una volta, nelle scelte della burocrazia Cgil.

Il vento può cambiare se uniti e determinati facciamo saltare i piani di guerra del governo e resistiamo ai sacrifici che ci vogliono imporre! Ecco che l’unico “patto sociale” di cui abbiamo bisogno è quello tra noi lavoratori, sulla base dei nostri interessi comuni ed al di là del colore della tessera sindacale!

ARMIAMOCI E PARTITE!

“Sono impegni importanti che l’Italia rispetterà. Non lasceremo l’Italia esposta, debole e incapace di difendersi”. Con queste parole la nostra premier Meloni accetta di triplicare le spese militari per la NATO entro il 2035, portandole ad oltre 100 miliardi.

Già quest’anno è stato toccato il “famoso” 2% del PIL, seguendo le direttive USA e la linea europea di riarmo generale. E queste maggiori spese si indirizzeranno principalmente su nuove forniture, guarda caso made in USA, che andranno ad aumentare l’arsenale ucraino nella guerra contro la Russia. Il vincolo NATO, se non era già abbastanza chiaro, va sempre più a richiedere maggiori finanziamenti dagli Stati, in primis europei, scaricando sulle classi popolari i costi in aumento.

Maggiore spesa militare significa tagli ai servizi essenziali, come sussidi, istruzione, sanità e trasporti, andando a distruggere le ultime misure di welfare ancora rimaste nel vecchio continente. Infatti le conseguenze sui servizi pubblici saranno forti ed evidenti: la cifra di 40 miliardi aggiuntivi per il settore militare è equivalente alle spese di altri settori fondamentali, come l’università e la ricerca o la spesa sanitaria per alcune regioni del Sud Italia, oppure di poco inferiore all’ultima Legge di Bilancio.

A questo scenario, si aggiunge il piano di riarmo da 800 miliardi voluto dall’Unione Europea e approvato dal nostro governo “sovranista”, il quale ci lega ancor più al cappio del debito pubblico europeo e che punta a sostenere una filiera produttiva legata agli armamenti, ampiamente finanziata con soldi pubblici. Se da un lato il sistema welfaristico cala di risorse e viene smantellato, dall’altro aumentano le spese militari e si privilegia la produzione bellica, con grossi finanziamenti pubblici. Questo processo ha un nome, e si chiama keynesismo militare!

Non è un caso che due delle maggiori aziende belliche a partecipazione pubblica, come Leonardo-Finmeccanica e Fincantieri, abbiano aumentato i loro profitti in questi anni di guerra (solo per Leonardo +63% rispetto al 2023). E con i nuovi finanziamenti si accaparreranno milioni di soldi pubblici per costruire armi e tecnologie belliche, in collaborazione con altre aziende della “difesa”. Viene anche incentivata la riconversione delle aziende civili in produzione bellica, si regalano milioni per le armi e in generale ci si prepara, esternamente e internamente al Paese, ad affrontare nuovi conflitti mondiali.

Chi ancora una volta pagherà queste spese e non riceverà nessun vantaggio sono le lavoratrici e i lavoratori, sempre più costretti a vivere nello sfruttamento e nella miseria e, nel peggiore dei casi, mandati a morire al fronte. Rifiutare le logiche di guerra e opporsi ai tagli al welfare è necessario, lottando contro questo stato di cose e per un mondo libero da guerra e sfruttamento.

Sono migliaia i lavoratori e le lavoratrici che si sono mobilitati, dai portuali ai ferrovieri, dagli aeroportuali agli operai metalmeccanici e ai ricercatori universitari. La campagna “Mask off Maersk”, come le battaglie nei porti di Genova, Trieste e Livorno e dei lavoratori dell’aeroporto di Brescia, hanno bloccato carichi di armi e rifiutato di sostenere attivamente la logistica di guerra. Nelle ultime settimane, la missione umanitaria Global Sumud Flottilla ha aperto uno spazio mobilitativo importante, nel quale i movimenti di solidarietà e le lotte sul lavoro si sono unite contro l’entità sionista e le sue articolazioni. Come affermato anche dai portuali di Genova, lottare contro lo stato di guerra e gli interessi delle nostre classi dominanti, sostenendo la Resistenza palestinese senza distinzioni, è nostro compito per rompere l’assedio ed organizzare la resistenza.

Perciò, così come per i governi e i padroni la guerra e i suoi giri di affari sono al centro dell’agenda politica, allo stesso modo per la classe lavoratrice è doveroso mobilitarsi contro l’economia di guerra ed in solidarietà con chi resiste e blocca flussi di armi e capitali.

“Mettere la guerra al centro” deve diventare la nostra parola d’ordine all’interno di queste mobilitazioni di massa e nelle lotte quotidiane di lavoratori e lavoratrici.