Antitesi n.16Controrivoluzione ed egemonia di classe

Le smart cities

Le città a misura del capitale

“Controrivoluzione ed egemonia di classe” da Antitesi n.16 – pag.45


Il modello della smart city, della cosiddetta città “intelligente” ultratecnologica, è sempre più diffuso a livello globale come forma dell’ambiente urbano. La borghesia imperialista lo sta promuovendo alacremente, come una nuova tappa dello storico processo di ristrutturazione e rapina del territorio. Un processo che, cavalcando la rivoluzione digitale e l’intelligenza artificiale, si sta aggiornando all’epoca attuale, quella del nuovo salto tecnologico.
Lo sviluppo dei numerosi piani per le smart cities nel territorio italiano è strettamente collegato a quello del nuovo modello di produzione della cosiddetta “industria 4.0” e a quello del fenomeno in ascesa del “nuovo petrolio” dei big data, che sono principalmente in mano ai grandi colossi statunitensi Google, Facebook e Amazon in competizione con quelli cinesi (Faang che sta per Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google contro Bat che sta per Baidu, Alibaba e Trecent).
Lo scopo dell’articolo è cercare di dare un’interpretazione marxista e di classe della questione che vada oltre alle letture tipicamente “complottiste” del controllo totale e, come comunisti, di relazionarsi positivamente e con una linea particolare ai movimenti di resistenza contro questa nuova frontiera predatoria del capitalismo.
È un articolo che segue il solco tracciato nei numeri precedenti della rivista nella quale sono stati analizzati criticamente i testi “Il capitalismo della sorveglianza” di Shoshana Zuboff [1] e il “Grande Reset” di Klaus Schwab. [2] Anche qui cercheremo di smontare la visione “complottistica”, la quale non va all’origine del problema poiché non è la cattiveria e la volontà di onnipotenza di pochi uomini assettati di ricchezza e privi di principi etici che lo causa, ma è il sistema capitalistico con le sue leggi, la sua crisi e le sue contraddizioni intrinseche, in primis quella di classe, che determina i fenomeni.
L’affermarsi del modello delle smart cities, infatti, non è solo un processo di ristrutturazione capitalistica dello spazio urbano (speculazione edilizia, rendita immobiliare, racket degli affitti…) adeguato alle voraci necessità che oggi ha il capitale di trovare nuovi margini di profitto oramai eroso dalla crisi. È anche implementazione e utilizzo del nuovo campo di accumulazione capitalistica, quello dei big data, i dati “depredati” tecnologicamente alle masse popolari, tramite la registrazione, l’immagazzinamento e la rielaborazione delle informazioni derivate dal loro utilizzo della rete. [3] Tutto ciò avviene nel contesto dell’avvitamento della crisi che costringe la frazione dominante della borghesia imperialista a proseguire la politica con altri mezzi, cioè con la guerra. Questo modello si intreccia, quindi, anche con il keynesismo militare, linea adottata dagli Stati imperialisti per sostenere da una parte la ricerca e la produzione bellica nel connubio pubblico/privato e, dall’altra, a funzionalizzare l’ambiente sociale alla guerra imperialista, e quindi alla produzione, circolazione e utilizzo di armamenti, alle nuove forme di conflitto cibernetico e al controllo e disciplinamento della popolazione. Il famigerato 5G, ad esempio, è anche e soprattutto un’infrastruttura militare.
È un modello che vorrebbe un disciplinamento sociale con l’imposizione di determinati consumi alle masse popolari, forzando così nuovi mercati per i padroni, rimodulando il welfare con l’erogazione meritocratica dei servizi, [4] con il controllo e la repressione rafforzati grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie. Va sottolineato dunque anche il legame tra la ridefinizione dello spazio urbano con le nuove tecnologie e il settore militare, non solo nei termini dell’uso duale di tali applicazioni, ma anche nella determinazione di un modello di controllo generalizzato che è parte del riflesso interno della guerra sul fronte esterno.
Non è un caso che uno dei più grandi laboratori di implementazione delle smart cities sia proprio l’entità sionista, che ha esportato e promosso questo modello nel mondo dopo averlo sperimentato sulla pelle dei palestinesi. [5]
Infine, va considerato che il progetto smart city è legato alla necessità di velocizzare il processo di rotazione del capitale [6] poiché minore è il tempo di rotazione più velocemente il capitalista può rinnovare il processo di valorizzazione, cioè in sostanza la distribuzione e vendita delle merci. In questo senso la moderna logistica, che nel campo della produzione aumenta l’estrazione di plusvalore attraverso soglie di sfruttamento operaio crescenti, influisce anche nel campo della circolazione velocizzandola. L’ammodernamento della logistica degli ultimi decenni ha ovviamente condizionato la trasformazione della città modificando anche le abitudini dei consumatori (si veda ad esempio il fenomeno Amazon o la consegna delle spese delle grosse catene di supermercati a scapito dei piccoli negozi della “spesa sottocasa”).
Per addentrarci in tale complessità di questioni ed affrontare il problema da un punto di vista di classe, ricorriamo alla concezione marxista.

Città e modo di produzione

Lo sviluppo e la trasformazione dell’ambiente urbano e delle città sono in stretta relazione con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico (Mdpc), oggi nella sua fase imperialista, quella dei monopoli. Dalla nascita del capitalismo, dopo la prima “Rivoluzione industriale”, nell’ultimo secolo e mezzo, abbiamo visto il susseguirsi della seconda e della terza attraverso le quali si è imposto il sistema-fabbrica moderno: prima con il taylorismo e il fordismo, superati poi, nella seconda parte del secolo scorso, dall’introduzione sempre più massiccia di automazione e digitalizzazione. Il successivo modello è stato il toyotismo fondato sulla produzione just in time finalizzata ad aumentare la produttività e a ridurre i costi dei tempi morti, occorre produrre solo ciò che è stato già venduto o che si prevede di vendere in tempi certi e brevi, quindi garantendo la realizzazione. Siamo giunti ai nostri tempi alla quarta “Rivoluzione industriale”, quella dell’Industria 4.0. In questo processo va sempre tenuto presente che ogni cambiamento non annulla i precedenti, ma li sussume.
Tutte queste trasformazioni non sono altro che il continuo tentativo di superare le contraddizioni insite nel Mdpc e la caduta tendenziale del saggio di profitto. Ogni trasformazione del Mdpc si è svolta in necessaria dialettica con i mutamenti dell’ambiente urbano (un ri-uso dello spazio urbano storicamente determinato): dalle città fabbrica alle fabbriche in periferia, dalla città verticale fino all’epoca attuale, quella della smart city.
I piani urbanistici rispondono ai modelli necessari al mantenimento del Mdpc nel momento storico determinato.
Per comprendere bene gli sviluppi del divenire della città e non farsi influenzare da aspetti secondari (che pur vanno considerati) cercheremo di spiegare brevemente dal punto di vista marxista, dal suo punto di vista logico, cos’è la città nel Mdpc. Essa è, in sintesi, concentrazione di mezzi di produzione e di forza lavoro. La natura di questa concentrazione? Al di là delle diverse situazioni fenomeniche in cui si è concretizzata la concentrazione di mezzi di produzione e di forza lavoro, la città è “il punto di partenza storico e concettuale della produzione capitalistica” [7] e va intesa come modo specifico di usare lo spazio fisico da quando è nato il capitalismo. Essa è dunque mezzo per favorire la produzione del valore, per la sua successiva realizzazione e condizione dell’intero ciclo di valorizzazione del capitale.
La città, in aggiunta, è luogo di riproduzione della forza lavoro, dove cioè la forza lavoro si ricostituisce quotidianamente in quanto riserva di lavoro vivo, dopo che questo è stato consumato dentro al processo di produzione. La riproduzione di forza lavoro si compie attraverso il consumo del valore d’uso delle merci, consentendo così la realizzazione del valore in esse contenuto, passaggio questo subordinato a un rapporto di scambio mediato dal denaro.
Pertanto la città va considerata anche come agglomerato di merci.
La città deve assolvere, quindi, a diverse funzioni ed è per questo che, a seconda dei periodi storici, il suo spazio fisico viene suddiviso e trasformato per rendersi adatto al loro svolgimento. Questa suddivisione funzionale (per zone produttive, aree residenziali, tecnologiche, per uffici, zone turistiche, per servizi, infrastrutture ecc), sottintende la rendita, che ad ogni cambio di destinazione d’uso del territorio si modifica. Nel capitalismo la rendita si esprime in relazione con il prezzo del territorio divenuto merce, cioè venduto e affittato. Si tratta, tuttavia, di una merce particolare perché “La proprietà fondiaria non ha nulla a che vedere con il processo effettivo di produzione. Il suo compito si limita a trasferire dalle tasche del capitale nelle sue proprie una parte del plusvalore prodotto”. [8]
La questione della costruzione e della trasformazione della città come si vede è complessa e richiede che vengano considerati tutti gli aspetti, strutturalmente contraddittori tra loro, dove si combinano la rendita e la produzione di plusvalore. La dominazione di uno (produzione) o dell’altro (rendita) contraddistingue i periodi storici e le ristrutturazioni. Oggi nella borghesia imperialista la frazione dominante è quella finanziaria. Dentro al nuovo e ulteriore sviluppo monopolistico del capitale la rendita va principalmente a favore dei monopoli finanziari: è proprio questa frazione dominante che spinge per l’implementazione delle smart cities.

Quarta “rivoluzione” industriale

Siamo nella fase della cosiddetta “industria 4.0”. L’introduzione massiccia del digitale nei processi produttivi, nella distribuzione e nei servizi ha portato al coesistere di processi di digitalizzazione e di interconnessione che sono la base della quarta “rivoluzione” industriale. Le tecnologie guida, prodotto degli sviluppi degli ultimi decenni, che comprendono la robotica avanzata, i veicoli autonomi, la manifattura additiva, “l’Internet delle Cose”, l’intelligenza artificiale e l’ingegneria genetica determinano una società “iperconnessa” dove oggetti e persone sono sempre più connessi alle tecnologie digitali e dove i confini tra realtà online e offline sembrano sempre più sfumati.
La catena del valore 4.0, supply chain 4.0, applica tecniche e sistemi informativi che puntano all’ottimizzazione del processo riducendone i costi e velocizzandolo, così emergono servizi e processi aziendali completamente nuovi. Si avvale dell’implementazione di tecnologie come l’intelligenza artificiale, i big data e la blockchain, che è una rete informatica di nodi che consente di aggiornare e gestire registri contenenti dati. Con questi metodi puntano non solo a ottimizzare l’efficienza dei processi ma anche, come dice la loro propaganda, a “migliorare l’esperienza per il cliente finale”. In realtà con l’uso dei big data si sviluppa quella che viene chiamata “economia predittiva” la quale, attraverso l’utilizzo dei dati raccolti dai comportamenti umani, attua pratiche commerciali e addirittura punta a modificare le abitudini dei consumatori, con prodotti personalizzati per promuovere determinati consumi generando “prodotti predittivi” cioè in grado di consentire anticipazioni e previsioni sulla produzione.
Tutto questo investe naturalmente anche la città, intesa come più sopra definito nella concezione marxista, e la investe nei suoi vari aspetti e funzioni: è una città che nella versione smart produrrà dati in maniera esponenziale, attraverso la connessione in rete continua dei suoi abitanti e di chi la visita, attraverso telecamere e microfoni piazzati ovunque, attraverso l’imposizione di applicazioni digitali per poter usufruire dei servizi e via dicendo.
Gli apologeti del capitalismo, come Schwab, ritengono che la velocità, la portata e l’interconnessione dei vari processi di sviluppo determinino una nuova fase totalmente nuova, un salto qualitativo nella produzione. Noi crediamo, invece, al di là dei cambiamenti enormi in campo tecnologico, che si tratti di un tentativo di perfezionamento degli strumenti sviluppati dalla terza “rivoluzione industriale”, una modernizzazione del just in time con la velocizzazione del ciclo di produzione e rotazione anche attraverso l’economia “predittiva”.
La prospettiva di Schwab e dei settori di grande borghesia che rappresenta, non è il delirio di una “setta transumanista”, ma l’intento dei settori più avanzati e organizzati della classe borghese, della sua frazione dominante, la borghesia finanziaria. È quest’ultima che, nella fase imperialista, dirige lo sviluppo industriale e dunque anche quello della dimensione urbana. Tutto ciò ha ovviamente dei costi pesantissimi per i lavoratori e le masse popolari: maggiore sfruttamento lavorativo, precarietà contrattuale, espansione del grande capitale a detrimento della piccola e media borghesia, promozione di alienazione e mercificazione della vita sociale con la tecnologia onnipresente, gentrificazione, interdizione di fatto dal centro cittadino, distruzione ambientale, formazione di quartieri-ghetto, controllo sociale e repressione del dissenso; in un continuo e pervasivo connubio tra Stato, enti pubblici e potentati privati capitalistici per promuovere questo modello oppressivo.
Tuttavia, problema principale non è la questione della privacy e dei diritti dei “cittadini”, né il controllo totale, che pure vanno tenuti in debito conto, ma la questione di classe. Per opporci all’invasione della tecnologia nelle nostre vite, va compreso come e perché ciò avviene nel mondo attuale.
Lenin affermava che, in merito alla tecnologia, la questione risiedeva nella “mano” che impugna questi strumenti nel momento storico determinato. Infatti, possiamo trovare che Lenin nel 1914 si esprime sul taylorismo in questo modo: “una grande razionalizzazione della produzione portata dallo studio scientifico dell’azione dell’operaio che avviene a detrimento del lavoratore portando più grande oppressione e sfruttamento”. [9] Ma nel 1918, dopo la presa del potere, scrisse: “La possibilità di realizzare il socialismo sarà determinata (…) dai successi che sapremo conseguire nel combinare il potere sovietico e l’organizzazione amministrativa sovietica con i più recenti progressi del capitalismo. Dobbiamo introdurre in tutta la Russia il sistema di Taylor e l’aumento scientifico americano della produttività del lavoro, unendo questo sistema alla riduzione dell’orario di lavoro. Tale sistema di Taylor, direttamente diretto dai lavoratori stessi – se essi saranno abbastanza coscienti – sarà il mezzo più sicuro per una ulteriore e grandissima riduzione della giornata lavorativa”. [10]
Dunque la tecnologia e la scienza che ne permette il suo sviluppo dipendono dalla classe che ha in mano il potere. E oggi, in una fase che vede il capitalismo controllare ogni ambito della ricerca e dell’applicazione tecnologica, crediamo che il modello di “progresso” che ne deriva sia finalizzato esclusivamente ai progetti di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

La città 4.0

La smart city ipocritamente è presentata nella propaganda borghese come progetto di “rivoluzione” urbana, ecologica e sociale per affrontare le grandi sfide del cambiamento climatico e per rendere più efficienti i servizi e la viabilità andando incontro alle esigenze dei cittadini.
Per confutare questa bugia scegliamo due definizioni significative.
La prima: “Una città ad alta intensità tecnologica con sensori ovunque e servizi pubblici altamente efficienti grazie alle informazioni raccolte in tempo reale da migliaia di dispositivi interconnessi. Una città che coltiva un rapporto migliore tra i cittadini e i governi sfruttando la tecnologia disponibile e basandosi sul feedback dei cittadini per contribuire a migliorare l’erogazione dei servizi e la creazione di meccanismi per raccogliere queste informazioni”. [11] Così si esprime la Banca Mondiale che notoriamente non fa gli interessi delle masse popolari (i cosiddetti cittadini).
La seconda: “L’approccio smart city è l’ultima fase dell’urbanistica imprenditoriale in città, questa volta guidata da soluzioni tecnologiche per lo sviluppo urbano per incoraggiare un nuovo mondo di investimenti economici attraendo aziende tecnologiche che producono tecnologie per le città intelligenti e promuovendo start-up indigene. Questo approccio imprenditoriale alla pianificazione e allo sviluppo apre la strada alle aziende private per assumere un ruolo attivo nella definizione e nella realizzazione di politiche e progetti urbani”. [12]
Da queste definizioni emergono chiaramente sia gli scopi del progetto sia a quali frazioni della borghesia imperialista ne facciano capo gli interessi. Il fine principale dichiarato della smart city è quello di favorire lo sviluppo imprenditoriale e raccogliere feedback dai cittadini (cioè implementare i Big data). La pretesa “sostenibilità ambientale” non è altro che una maschera per coprire il salto tecnologico, necessario ai padroni come principale controtendenza alla crisi di sovrapproduzione e alla caduta tendenziale del saggio di profitto nella quale si dibatte il capitalismo. Con l’aumento della composizione organica di capitale, cioè con nuove tecnologie di produzione, i padroni puntano a far fronte alla crisi. Così però, se da una parte nel breve periodo risolvono il problema, aumentando l’estrazione di plusvalore e arginando la concorrenza, dall’altra lo aggravano sul lungo periodo, poiché in proporzione i costi di produzione aumentano sempre di più, determinando l’ulteriore caduta del saggio di profitto e la sovraccumulazione di capitali che non trovano valorizzazione nella produzione.
Dietro le formule roboanti del positivismo borghese, le smart cities emergono dunque come forme urbane tipiche della crisi del capitalismo, nella quale la tecnologia viene utilizzata ossessivamente per trovare nuovi spazi di valorizzazione, mentre la guerra imperialista si concretizza come prospettiva di sbocco inevitabile di tale crisi, altrimenti insuperabile all’interno del modo di produzione capitalistico.
Questa nuova concezione della città inizia dai primi anni novanta, quando la Banca Mondiale comincia a definirla come “motore centrale per lo sviluppo in grado di generare innovazione tecnologica, far crescere il Pil e attrarre capitali”. [13] Sono gli anni della cosiddetta globalizzazione, cioè della massima interconnessione capitalista globale, che genera un nuovo aggravarsi dell’urbanizzazione di massa, soprattutto in Cina, ma anche in Europa e in Italia, con il rinnovato esodo di decine di migliaia di disoccupati meridionali verso le metropoli del Nord e con lo strutturarsi del fenomeno dell’immigrazione a livello mondiale. A livello globale il mercato valeva 300 miliardi di dollari nel 2022 e si prevede raggiungerà i mille miliardi di dollari entro il 2027, mentre in Italia gli investimenti erano circa 800 milioni di euro nel 2022 e si prevede saranno 1,6 miliardi nel 2027, dunque in grande espansione. I finanziamenti arriveranno dai programmi europei, infatti dal Pnnr stanno arrivando diciasette miliardi di euro per “rivoluzionare” le città italiane, prevedendo 5,3 miliardi per la riqualificazione urbana e abitativa, due per i servizi digitali ai cittadini, 8,6 per la transizione ecologica e un miliardo per la sicurezza nelle strade. [14] Da queste cifre si evince che la questione smart city assume notevole importanza nel panorama economico del nostro paese: esse quantificano il peso dell’intervento diretto dello Stato nel ri-uso dello spazio urbano per adeguarlo alle necessità odierne del capitalismo.
La politica adottata dagli Stati imperialisti in questi bui tempi di guerra segue la linea del keynesismo militare, inteso come un riflesso del militarismo [15] in campo economico, con il riarmo per intervenire sul fronte esterno e, sul fronte interno, con la crescita del settore dell’industria bellica, promosso in controtendenza alla crisi, grazie alle commesse di Stato. Ora il clima di guerra e il boom delle spese militari stanno avvolgendo come una ragnatela le prospettive industriali, tecnologiche e politiche dei paesi dell’Unione Europea: l’economia è spinta dal settore militare e a questa esigenza dovranno piegarsi sia le leggi sul commercio di armi, sia le leggi europee in materia di concorrenza e aiuti di Stato. Fioriscono così i poli tecnologici e gli accordi tra industria bellica e università, incentivati e sovvenzionati direttamente dai governi, che oggi più che mai sono il “comitato di affari” dei padroni, nei cui scranni siedono direttamente o collaborano con essi, con alte cariche, padroni di fabbriche di armi e militari.
Gli investimenti di Stato nella digitalizzazione dell’ambiente sociale hanno anche una finalità di guerra, perché controllare e indirizzare milioni di dati serve alla sviluppo della “difesa cibernetica” da attacchi esterni, al controllo della popolazione, alle applicazioni dell’intelligenza artificiale in campo militare e repressivo e all’implementazione di nuove armi digitalmente dirette. Il grande cantiere delle smart cities è in funzione in tutto il territorio nazionale: dalle telecamere ai sensori, dalle centrali di videosorveglianza di massa, le smart control room (Scr), alle Zone a Traffico Limitato (Ztl), dalla profilazione individuale alla premialità del diritto ai servizi, dal 5G all’Internet delle cose. Secondo l’Osservatorio Smart City del Politecnico di Milano quasi un comune italiano su tre (il 28%) ha avviato almeno un progetto relativo alla città intelligente nell’ultimo triennio. La percentuale sale al 50% nei comuni più grandi, con oltre 15 mila abitanti, ed è destinata a crescere ancora nel prossimo triennio, con il 33% dei comuni che vuole investire nella propria riconfigurazione “intelligente” entro il 2024 grazie anche alla spinta del Pnrr, con i suoi miliardi di finanziamenti. Secondo la classifica di “I City Rank”, che ogni anno stila una graduatoria, le città più digitali d’Italia sono Milano, Firenze e Bologna, seguite da Bergamo, Torino, Trento, Venezia, Parma, Modena e Reggio Emilia.
Tra queste Venezia è un esempio significativo di città turistica completamente informatizzata, con la realizzazione della Scr e l’introduzione, dal 25 aprile 2024, della tassa di accesso: tutta Venezia è praticamente Ztl. La Scr permette di sapere al momento chi è presente attraverso le immagini in diretta provenienti da 600 telecamere.
Con la collaborazione di Tim il numero di persone è verificato in diretta attraverso la localizzazione dei cellulari. Questo tracciamento produce metadati gestiti da Mindcity, una piattaforma made in Usa, che nemmeno sottostà alle leggi europee sulla privacy. A chi giova? A chi vanno i soldi della tassa d’accesso e il ricco bottino dei metadati? Gli assessori al turismo e al bilancio affermano che i costi del progetto sono pari alle entrate poiché bisogna pagare i soggetti privati che forniscono la tecnologia digitale, che si occuperanno della riscossione ecc. Quindi, mentre i “cittadini” vengono taglieggiati, controllati e usati per estrarre i dati, i soliti noti fanno i profitti e, nel frattempo, viene alimentato il mercato immobiliare consacrato al turismo, andando così verso la definitiva espulsione dei residenti, soprattutto della fascia proletaria già in via d’estinzione.
Ma Venezia è anche l’esempio di un modello di controllo di massa con la sua Scr, costituita da un insieme di sale interconnesse tra loro, che permette di elaborare tutti i dati che arrivano dalle videocamere e dai cellulari per poter intervenire preventivamente laddove si prevedano possibili “problemi”. C’è pure un piano interrato con armeria, spazio di allenamento per la difesa personale, sala di identificazione e fotosegnalazione e celle di sicurezza videosorvegliate.
Raccontano che tutto ciò renderà la città più sicura ed efficiente a beneficio del “cittadino”, in realtà ci troviamo di fronte ad un approccio predittivo nel campo del controllo delle masse e dell’uso della repressione, alla costruzione di un vero e proprio modello di polizia predittiva.
Altra città all’avanguardia nella reazione tecnologica è Milano, dove il sindaco Sala, membro del C40 (network di sindaci per le città “climaticamente sostenibili” in rapporto con la Fondazione Clinton per il clima) ha inaugurato la sperimentazione della “Città dei quindici minuti” con “Loc – Loreto 15 minuti” in combutta con N-Hood, società immobiliare responsabile del progetto. L’idea è quella di suddividere la città in zone autosufficienti dove tutto è raggiungibile in quindici minuti a piedi, in monopattino o bicicletta. Praticamente una città divisa in tante gabbie sorvegliate da videocamere, dove ogni persona è controllata nei movimenti e indirizzata anche nei suoi consumi (un connubio tra economia e polizia predittiva). A Oxford, in Gran Bretagna, dove è in atto il progetto più avanzato in questo senso, i residenti hanno a disposizione cento permessi all’anno per uscire in auto dal loro quartiere. Si costruisce così la città dell’apartheid con zone interdette ai cittadini a seconda della zona in cui vivono, quindi di fatto della loro provenienza di classe. Un modello simile a quello applicato da tempo dallo Stato sionista su base etnica, contro i palestinesi. In tal modo lo Stato disciplina gli spazi urbani secondo criteri di classe, relegando i proletari nelle periferie e blindando i centri delle città come luoghi di riproduzione del capitale finanziario e appannaggio perlopiù della borghesia.
Risulta dunque evidente dagli esempi concreti sopra riportati che la questione smart city è fondamentalmente una questione di classe e come tale va trattata. E come possiamo ben vedere dal “caso Venezia” gli interessi economici si intersecano con l’aumento del controllo e con la produzione e sviluppo degli strumenti per attuarlo.
Dopo la sperimentazione di massa attuata durante il Covid abbiamo assistito a un grande balzo in avanti in questo campo e a un peggioramento per quando riguarda la vita delle masse popolari (digitalizzazione, metodi di disciplinamento e controllo, imposizione di consumi e comportamenti). Il periodo Covid è stato di fatto un laboratorio per ampliare e aggravare questo passaggio, imprimendo una accelerazione diretta alla realizzazione della smart city. La stessa repressione del movimento contro il green pass ha messo in campo la logica della smart city, ad esempio con l’interdizione dal centro delle manifestazioni è stata perseguita la divisione in zone d’uso della città, impedendone l’accesso a tutti coloro che mettono in discussione il sistema vigente. Già prima si erano implementate logiche simili con la misura di prevenzione del daspo urbano, ovvero la versione a “misura cittadina” del foglio di via, applicato per interdire certe zone della città ad alcune persone e spesso affibbiato a compagni e compagne attivi nelle lotte popolari. Le radici di questa politica repressiva vengono da lontano. Ricordiamo a questo proposito che sette paesi membri Nato (Canada, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Olanda e Stati Uniti) misero in piedi un gruppo di “esperti” che nell’aprile 2003 pubblicò il famoso rapporto “Urban Operation in the year 2020”, un quadro concettuale per le operazioni in aree urbane a sostegno delle future missioni e compiti della Nato.
Questo studio, reso pubblico poco prima della guerra in Iraq, mostra come il ruolo dello strumento militare fosse considerato dagli “esperti” un carattere dominante anche nelle “normali” operazioni di polizia urbana. Prevedevano la crescita esponenziale delle contraddizioni nelle aree urbane, che le “normali” forze di polizia non sarebbero state in grado di gestire. Si consigliava così di iniziare ad utilizzare l’esercito in funzione di ordine pubblico man mano che la crisi mondiale, da loro indicata nel 2020, si avvicinava.
Così è avvenuto in Italia a partire dal 2008, con l’operazione “Strade Sicure”, ancora in corso. Successivamente, come abbiamo visto, la richiesta di nuovi sistemi di controllo della popolazione ha trovato nel tempo anche una risposta nei progetti delle smart cities.

Che fare?

Abbiamo visto come la smart city sia al servizio degli interessi del capitale, in antagonismo agli interessi dei lavoratori e allo sviluppo della lotta di classe e rivoluzionaria, che noi comunisti dobbiamo invece perseguire. Per farlo al meglio, riteniamo necessario approcciarsi alla complessità della questione con la corretta concezione, prima di tutto formandoci e appropriandoci di strumenti teorici adeguati. In questo senso vanno gli sforzi di questo articolo, utili ad individuare i temi di fondo sui quali fare inchiesta, riflettere, approfondire. Con la giusta concezione va poi indagato il fenomeno nelle situazioni specifiche nelle quali come comunisti interveniamo e/o puntiamo ad essere interni, al fine di dialettizzarci con una linea particolare ai movimenti di opposizione che nascono dalle contraddizioni che le masse popolari vivono a causa di questi progetti.
Il movimento contro il green pass ha gettato le basi della critica anche al modello smart city e, non a caso, è proprio da chi si è impegnato in quella lotta che si levano oggi le poche voci critiche e le mobilitazioni. Numerosi movimenti si esprimono anche contro aspetti specifici dei problemi che le masse popolari vivono di riflesso al rimodellamento delle città: dalla distruzione del territorio a fini speculativi al problema ambientale; dagli sfratti alla gentrificazione con l’espulsione dei proletari e costruzione di zone ad essi proibite; dal controllo tecnologico alla repressione; dalla meritocrazia, che oltre ad investire le scuole sta diventando perfino criterio per l’erogazione dei servizi; dall’aziendalizzazione delle università, che, con la loro sottomissione ai dettami delle aziende belliche e tecnologiche, mette al loro totale disposizione la ricerca. Pensiamo che ogni mobilitazione vada sostenuta sulla base della contraddizione di classe dalla quale sorge. La linea della borghesia, dei riformisti e del settarismo movimentista è quella di chiudere dentro un recinto ogni protesta per contenerla e metterla in contraddizione con le altre. I comunisti al contrario devono far comprendere quale sia il nemico comune: i “padroni della città”, gli stessi che oggi ci portano alla guerra. La smart city, con la sua mercificazione delle relazioni e il suo controllo totalitario, è già un problema concreto per qualunque lotta si sviluppi al suo interno. Negli ultimi tempi ci sono state significative proteste e azioni spontanee contro le Ztl, le telecamere e gli autovelox anche nelle città italiane, dopo quelle, più conosciute, che hanno investito la scorsa estate la città di Londra.
Agire contro la smart city vuol dire dunque sostenere e/o promuovere le mobilitazioni contro ogni aspetto che la caratterizza, portando in esse il contenuto di classe e legandosi politicamente agli elementi più avanzati che le sostengono, sulla base della prospettiva strategica della rivoluzione proletaria per l’abbattimento del sistema capitalistico.


Note:

[1] Vedi Antitesi n. 12, pp. 54 ss.

[2] Vedi Antitesi n. 14, pp. 76 ss.

[3] Vedi Antitesi n. 12, p. 59

[4] Ad esempio Guido Bertolaso, già a capo della Protezione civile e oggi assessore al Welfare in Lombardia, ha proposto una tessera sanitaria a punti in base al comportamento sanitario del cittadino.

[5] Hebron, la smart city per eccellenza, è una città nei territori occupati della Cisgiordania dove i palestinesi vengono controllati attraverso un programma di sorveglianza biometrica: il programma integra tecnologie di riconoscimento facciale attraverso una rete di videocamere. I dati vengono utilizzati dai militari attraverso una app chiamata Blue Wolf.

[6] Vedi Antitesi n. 11, Glossario pp. 82 ss.

[7] “L’operare di un numero piuttosto considerevole di operai, allo stesso tempo, nello stesso luogo, …, costituisce storicamente e concettualmente il punto di partenza della produzione capitalistica” – K. Marx, Il Capitale, Libro Primo, p. 363, Editori Riuniti, 1964.

[8] Ivi, Libro terzo, p. 934

[9] Lenin, Lenin Collected Works, Mosca, Progress, 1972, pp. 152-153

[10] Lenin, I compiti immediati del potere sovietico, in Economia della Rivoluzione, Milano, Il Saggiatore, 2017, p. 165.

[11] Miracolo a Milano, Smart cities “Una rivoluzione urbana, politica, ecologica e globale”, sfero.me, 18.6.23

[12] Dal sito smartdublin.ie

[13] S. Milone, Le mani sulla città. Smart city tra Silicon Valley e Unione Europea, comedonchisciotte.org, 8.12.23

[14] L. Maci, Smart City, che cosa sono e come funzionano le città intelligenti, economyup.it, 11.3.24

[15] Vedi Antitesi n. 15, pp. 87 ss.