Antitesi n.16Imperialismo e guerra

Yuan o qassam?

La Resistenza Palestinese e il disordine multipolare

“Imperialismo e guerra” da Antitesi n.16 – pag.33


L’Operazione Diluvio di al Aqsa della Resistenza Palestinese si è incuneata nel processo di guerra interimperialista delineatosi dopo l’avvio da parte della Russia dell’Operazione Militare Speciale in Donbass e Ucraina. Questi due fronti principali minano il predominio globale statunitense e rappresentano esempi concreti delle contraddizioni che muovono la materia e il mondo reale, in questo caso rappresentato dal sistema imperialista internazionale.
La realtà infatti è materia in movimento e le contraddizioni [1] ne rappresentano il motore. “Il carattere universale o assoluto della contraddizione ha due aspetti: in primo luogo, la contraddizione esiste nel processo di sviluppo di ogni cosa; in secondo luogo, nel processo di sviluppo di ogni cosa un movimento di opposti esiste dall’inizio alla fine del processo”. [2] “Nel processo di sviluppo di una cosa complessa esistono numerose contraddizioni; tra di esse vi è necessariamente una contraddizione principale la cui esistenza e il cui sviluppo determinano o influenzano l’esistenza e lo sviluppo delle altre contraddizioni”. [3] La contraddizione principale rappresenta il movimento di opposti che determina, principalmente, il processo di sviluppo della fase presente, ma è fondamentale cogliere la relazione dialettica, e non meccanicista o deterministica, che la lega alle altre contraddizioni. Le contraddizioni vanno considerate nel loro nesso reciproco, esse si legano a vicenda e gli sviluppi dell’una influenzano quelli dell’altra, fino a fondersi sul piano fenomenico, viaggiando insieme e confondendosi entro lo stesso processo materiale, pur mantenendosi distinte.
Ad esempio, nel periodo iniziale della cosiddetta guerra fredda, la contraddizione tra capitalismo e socialismo era principale nel contesto globale. Questa contraddizione si legava strettamente a quella tra imperialismo e popoli oppressi, vedi il caso delle lotte di liberazione in Corea, a Cuba, in Vietnam, perché l’avanzamento dei popoli avveniva di pari passo con il diffondersi del socialismo. La situazione è mutata con la vittoria dei revisionisti in Unione Sovietica, che ha avviato la fase del socialimperialismo, [4] portando al crollo del campo socialista, alla fine della guerra fredda e al definirsi del dominio statunitense (la cosiddetta “globalizzazione”). Nella nuova situazione delineatasi si palesava così il carattere principale di un’altra contraddizione, quella tra l’imperialismo e i popoli oppressi, che ha generalmente mantenuto la sua preminenza fino all’avvio dell’Operazione Speciale russa nel febbraio 2022.
La contraddizione interimperialista raggiunge nella guerra il suo sviluppo finale, per questo abbiamo considerato il conflitto in Ucraina come un momento di svolta: lo scontro tra potenze imperialiste, seppur non nella sua forma più diretta e distruttiva, rappresenta un elemento chiave nella dialettica tra le contraddizioni che definisce la particolare fase storica del sistema imperialista. Così è già avvenuto nella prima e nella seconda guerra mondiale.
Le diverse contraddizioni possono inoltre alternarsi nello svolgere un ruolo principale: sia sul piano generale sia all’interno dei contesti specifici.
In questi termini analizziamo le recenti azioni della Resistenza Palestinese, che hanno avuto una rilevanza tale da porre al centro delle contraddizioni mondiali lo scontro tra imperialismo, principalmente degli Usa e del blocco Nato, e popoli oppressi. Si presenta un nuovo contesto particolare in cui la tendenza fin poco prima principale, determinata dalla guerra interimperialista in corso in Ucraina, si dialettizza con l’esplosione della contraddizione imperialismo-popoli oppressi.
Lo scontro diretto tra palestinesi e sionisti, da un lato, e tra yemeniti e imperialisti inglesi, statunitensi ed europei dall’altro, produce sviluppi indiretti nella complessiva ridefinizione dei rapporti di forza sul piano mondiale, e su quelli vigenti tra le potenze imperialiste.
Nel quadro complessivo le formazioni imperialiste mantengono salda la tendenza alla preparazione della guerra interimperialista, tuttavia non si assiste ancora a una generalizzazione dello scontro diretto.
Il contesto particolare della fase, esemplificato dal Medio Oriente, è caratterizzato invece dal protagonismo dei popoli oppressi in lotta contro l’imperialismo. Protagonismo che rimette in discussione la principalità dei fronti di guerra e scombina i piani strategici dell’imperialismo occidentale.
La contraddizione imperialismo-popoli oppressi quindi tende, in questa fase di passaggio, ad assumere un ruolo oggettivamente principale. Dialetizzandosi con la contraddizione interimperialista nella definizione degli eventi generali.
D’altra parte la definizione della contraddizione principale è un processo, mosso da colpi e contraccolpi, che non si concretizza da un giorno all’altro, ma il cui portato può invece manifestarsi anche da un giorno all’altro, come accaduto il 24 febbraio 2022 e il 7 ottobre 2023. La fase di passaggio in cui siamo, riflesso della crisi dell’imperialismo, apre la possibilità di continui cambi nello sviluppo delle contraddizioni e del determinarsi della principale fra di esse.
Analizzare la dialettica che lega le contraddizioni nella fase attuale non è un vezzo intellettuale ma un lavoro teorico necessario all’analisi della fase, e quindi alla declinazione del lavoro dei compagni nei diversi ambiti di intervento. “La concezione dialettica del mondo ci insegna anzitutto a osservare ed analizzare nelle diverse cose il movimento degli aspetti opposti, e a trovare, sulla base di questa analisi, i metodi appropriati per risolvere le contraddizioni. Per questo la comprensione concreta della legge della contraddizione inerente alle cose è per noi di eccezionale importanza”. [5]

La guerra in Europa

Come dicevamo nell’introduzione, il conflitto in corso in Ucraina ben concretizza il livello critico a cui è giunta la contraddizione interimperialista. Il fronte ucraino rappresenta per la borghesia imperialista statunitense un conflitto necessario al fine di scaricare parte della sua crisi sugli alleati oltreoceano e per mettere la parola fine alle possibilità di un’interconnessione di un ordine euroasiatico che non sia diretto dai loro interessi. [6]
In questo contesto, l’allineamento delle borghesie imperialiste europee, sebbene entri in contraddizione con alcune importanti catene del valore, non risponde principalmente a un’imposizione degli Usa, bensì alla necessità, dettata dalla crisi strutturale che attanaglia le formazioni a capitalismo avanzato, della tendenza alla guerra. Sia la borghesia imperialista statunitense sia quella aggregatesi nell’Ue condividono la strategia di massima dello sfondamento ad Est come fuoriuscita dalla propria crisi. La Russia di Putin, da questo punto di vista, rappresenta il nemico strategico per entrambe.
La vittoria nello scontro con l’imperialismo russo resta quindi una necessità per l’intero blocco atlantico, al punto che il capo del Pentagono, Lloyd Austin, ha apertamente dichiarato che, in caso di sconfitta dell’Ucraina, i paesi Nato dovranno combattere direttamente contro la Russia, [7] palesando così il carattere di guerra per procura che la propaganda occidentale continua a negare.
L’esercitazione Nato Steadfast Defender 2024 rappresenta un esempio della capacità di prima mobilitazione delle forze Nato in campo europeo in caso di un eventuale allargamento del fronte e di un possibile scontro diretto. Si tratta dell’esercitazione Nato più imponente dal 1988.
Iniziata il 22 gennaio, ha coinvolto per mesi tutti i paesi europei appartenenti al patto atlantico. “Composta da 16 esercitazioni localizzate per specifici obiettivi, Stde24 mobilita circa 90.000 soldati, 1.100 veicoli da combattimento, oltre 80 tra aerei, elicotteri e droni e più di 50 navi di vario tipo”. [8]
Si è svolta principalmente in Finlandia, Estonia, Germania, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Norvegia, Polonia, Romania, Slovacchia, Svezia e Regno Unito. Con tre particolari esercitazioni che hanno mirato al fronte contro la Russia: “Dragon-24” in Polonia, “Quadriga 2024” in Germania e la consueta “Nordic Response 2024”, che prima coinvolgeva soltanto la Norvegia, ma che ora abbraccia tutti i paesi scandinavi.
Sempre in prospettiva di una preparazione allo scontro diretto, a fine gennaio, tre Stati dell’Ue, Germania, Olanda e Polonia, hanno siglato un “accordo per costituire un corridoio destinato a consentire il movimento rapido di truppe e attrezzature militari verso il fianco orientale della Nato, grazie a una semplificazione delle regole burocratiche transfrontaliere. (…) Portando la mobilità militare a un nuovo livello, sulla strada verso una vera Schengen militare”. [9]
Si tratta di un adeguamento legislativo alle necessità logistiche transfrontaliere dei comandi della Nato che si preparano ad un possibile scontro diretto.
L’Ue si trova difronte all’indebolimento del supporto statunitense all’Ucraina, derivato dalla maggiore esposizione statunitense in Medio Oriente e dal braccio di ferro interno tra democratici e repubblicani sull’invio di aiuti militari, e sopratutto dalla possibilità di una vittoria di Trump alle prossime presidenziali. E questo pone l’urgenza di un protagonismo sempre più diretto di Bruxelles e delle varie formazioni imperialiste europee nella guerra contro la Russia.
Questa necessità è stata ben descritta dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, durante una plenaria del Parlamento europeo: “Mosca non deve vincere. (…) In definitiva si tratta di far sì che l’Europa si assuma la responsabilità della propria sicurezza. La semplice verità è che non possiamo permetterci il lusso del comfort. Non abbiamo il controllo sulle elezioni o sulle decisioni in altre parti del mondo. E semplicemente non abbiamo il tempo di aggirare la questione. Con o senza il sostegno dei nostri partner, non possiamo lasciare che la Russia vinca”. [10]
Trump è un sostenitore dell’aggravamento dello scontro con la Cina e con l’Iran, rispetto alla Russia, con la quale ha prospettato la possibilità di un dialogo di spartizione delle sfere di influenza in Europa, senza tenere conto degli specifici interessi dell’Ue. La possibilità di una sua vittoria alle prossime elezioni presidenziali, rappresenta un nuovo pesante fattore di mutamento della linea statunitense sul piano mondiale, dividendo sia la classe dominate Usa, sia quest’ultima dagli alleati europei. Ed è anche per tale motivo che, quest’ultimi, si stanno esponendo in maniera estrema sul fronte del sostegno al regime di Zelensky: è di inizio febbraio la decisione dei vertici Ue di un nuovo pacchetto da 50 miliardi di euro di aiuti da destinare a Kiev, dilazionati in 5 anni.
Il sostegno incondizionato al regime ucraino è oramai divenuto dogma europeo da imporre, di fatto, ai paesi membri. Lo si è visto, ad esempio, con il caso dell’Ungheria, che rimane il paese europeo attualmente più legato a Mosca sul piano economico e diviso da Kiev sulla questione territoriale della Transcarpazia. Il capo del governo ungherese Orban ha posto per settimane il veto sulla decisione dell’Ue, chiedendo la possibilità di un rinnovo “solamente” annuale del pacchetto destinato all’Ucraina. Tuttavia, di fronte ai ricatti economici e alle pressioni politiche dei vertici europei, Orban ha ceduto, palesando nuovamente l’inconsistenza delle politiche “sovraniste” nell’attuale contesto del processo di guerra internazionale.
La mobilitazione dell’intero blocco europeo nella guerra in Ucraina è ulteriormente esemplificata dal caso italiano e dall’atlantismo sfrenato che contraddistingue i partiti della nostra borghesia imperialista.
L’Italia infatti, bruciando le tappe, aveva già dato il via libera anche a un suo specifico pacchetto di “aiuti” all’Ucraina, consistente nell’ottavo decreto per l’invio di armi.
Anche sul piano strategico avanza il supporto italiano all’avamposto atlantico costituito dal regime ucraino. In questo senso le parole di Meloni, in occasione del nuovo accordo bilaterale in materia di sicurezza tra i due paesi, sono emblematiche. “Credo che tutto questo sia oggi molto simbolico perché è chiaramente una ulteriore conferma del nostro fermo sostegno all’Ucraina, un sostegno europeo, un sostegno transatlantico, che l’Italia è decisa ad affermare ancora con forza come Nazione membro dell’Unione europea e come Presidente di turno del G7. (…) Continuiamo a sostenere l’Ucraina in quello che, come sapete, io ho sempre ritenuto il giusto diritto del suo popolo a difendersi. Questo presuppone necessariamente anche il sostegno militare, perché confondere la tanto sbandierata parola pace con la resa, come fanno alcuni strumentalmente, è un approccio ipocrita che noi non condivideremo mai. Ma è necessario mettere a sistema le diverse linee d’azione, è necessario un approccio a 360 gradi che vuole anche aiutare l’Ucraina a guardare al futuro: penso alla cooperazione in ambito industriale, penso alla cooperazione in ambito economico, sulle infrastrutture critiche ed energetiche, penso al sostegno umanitario”. [11]
L’enorme supporto economico, politico e militare fornito al regime di Kiev a spese delle masse popolari europee, continua nonostante sia totalmente fallita la controffensiva del 2023, tanto sbandierata dalla propaganda occidentale come momento di svolta per il fronte ucraino. Il fallimento della controffensiva ha portato a un cambio nei vertici militari. Aleksandr Syrsky è il nuovo capo delle forze armate ucraine, ex militare sovietico, russo di nascita, poco amato tra i soldati e ricordato in particolar modo per le decisioni prese al comando della città di Bakhmut. Soldati e ufficiali temono che il nuovo generale, in funzione degli interessi della propaganda occidentale e “in tandem col presidente Zelensky, possa decimare una parte delle truppe per obiettivi di valore più mediatico che militare”. [12] L’esercito si trova a corto di mezzi, munizioni e truppe, con reparti che da mesi non vengono alternati. Le relazioni propinate dalla difesa ucraina, che dipingono un ben più roseo scenario, risultano ormai poco credibili perfino agli occhi degli analisti di guerra borghesi. [13] La situazione del fronte aggrava la gestione da parte delle forze armate del reclutamento e delle diserzioni nei confronti degli obblighi di leva. Stando ai dati del Ministero degli interni tedesco, in Germania tra il febbraio 2022 e quello 2023, sono arrivati più di 160 mila ucraini “maschi e normodotati”. Similmente in Polonia, il quotidiano Rzeczpospolita riporta che, dall’inizio del conflitto, almeno 80 mila cittadini ucraini in età militare sono entrati nel paese senza lasciarlo. [14]
Zelensky e la sua cricca continuano però a sottrarsi a possibili trattative di pace: non fanno altro che eseguire le volontà politiche dell’imperialismo occidentale. E in tal senso il supporto economico e militare svolge una funzione determinante perché rappresenta la base materiale dell’esistenza stessa del fronte, della sua sopravvivenza. Al contempo, questo supporto determina profitti enormi per tutte le borghesie imperialiste occidentali e in particolar modo per quella statunitense, che è di fatto quella con meno da perdere nella ridefinizione dei rapporti economici con la Russia.
L’industria bellica ucraina nel 2023 ha triplicato i propri utili, ma questa finta emancipazione militare che ci vende la propaganda borghese, nasconde in realtà la stabilizzazione del capitale finanziario occidentale nel tessuto produttivo dell’Ucraina, a scapito della storica influenza russa. In tal modo i monopolisti occidentali della guerra possono estrarre profitto dal proletariato ucraino non impegnato al fronte, abbattendo i costi di produzione e risolvendo problemi di trasporto e logistica considerevoli.
Lo stato in cui versa il fronte ucraino palesa non più solo la necessità di continui flussi di finanziamenti e armi per evitare la totale capitolazione. La macchina della guerra imperialista necessita anche di uomini e donne da sacrificare all’altare del profitto.
In funzione di alleggerimento dell’impegno delle forze armate ucraine nelle zone non direttamente parte del conflitto, esponenti della difesa inglese hanno più volte proposto di mobilitare parte dei comandi Nato già ammassati nei paesi confinanti direttamente in territorio ucraino.
Ancor più dirette sono state le dichiarazioni provenienti dal presidente francese Macron, che non esclude la possibilità di un dispiegamento di truppe Nato sul territorio ucraino per mettere fine all’invasione russa. [15] Sebbene per ora le sue dichiarazioni non sembrano aver trovato un grosso appoggio presso gli altri capi di Stato, le parole di Macron non fanno altro che confermare che l’unica possibilità di sopperire alla mancanza di truppe ucraine, sarà quella di mandare a combattere quelle delle potenze europee. Del resto, anche Scholz ha recentemente ammesso il dispiegamento in Ucraina di reparti di intelligence e di spionaggio appartenenti alle forze imperialiste occidentali, cosa peraltro già nota, [16] ma che iscrive in un quadro di dichiarazioni europee tese a porre la necessità di un salto nell’interventismo europeo.
È chiaro che un intervento diretto delle truppe Nato in Ucraina rappresenterebbe un salto nello sviluppo della contraddizione interimperialista. Salto che tuttavia non è ancora avvenuto nella forma di uno scontro militare diretto contro l’imperialismo russo.
Nel frattempo, il tentativo ucraino, col supporto della Nato, è quello di far penetrare il più possibile la guerra in territorio russo, con attentati sul suolo della Federazione, con l’infiltrazione di sabotatori e bombardamenti sulle città di confine. La stessa strage del 22 marzo, nella periferia di Mosca, rientra di fatto in questa campagna, quantomeno rispetto al supporto logistico che oggi il regime di Kiev sta dando a tutti i nemici della Russia, dai gruppi nazisti interni ai jihadisti dello Stato Islamico.

La regionalizzazione del conflitto in Medio Oriente

Come largamente affrontato nell’inserto al numero 15 della rivista, riteniamo che le azioni della Resistenza Palestinese del 7 ottobre e gli eventi successivi vadano letti in una cornice internazionale complessiva.
In primo luogo si è determinata l’apertura di nuovi spazi di agibilità politica per le avanguardie antimperialiste nel mondo. In secondo luogo, riteniamo che siano principalmente tre i fattori che hanno imposto ai palestinesi la necessità di agire: l’aggravamento delle condizioni imposte dalle forze di occupazione, la tendenza alla fascistizzazione del fronte interno nell’entità sionista e la normalizzazione dei rapporti tra quest’ultima e i paesi del Medio Oriente.
Le azioni della Resistenza hanno posto nuovamente al centro degli eventi mondiali la lotta di liberazione anticoloniale. E la successiva escalation nel Mar Rosso ha palesato il ruolo di avanguardia della lotta palestinese. L’avanzamento di quest’ultima contro il nemico sionista è un fattore di forza per tutti i popoli in lotta contro l’oppressore imperialista. Nel Mar Rosso è avvenuto un salto qualitativo della guerra, nei termini dell’interventismo diretto occidentale, poiché le forze imperialiste euro-statunitensi sono già scese in campo direttamente contro gli yemeniti. Proprio l’esplodere delle lotte dei popoli oppressi funge da ulteriore elemento di criticità per l’impegno delle potenze imperialiste occidentali in uno scontro diretto in Ucraina.
L’evolversi della contraddizione interimperialista ha definito una parte considerevole delle condizioni che hanno reso possibile l’avanzamento di quella tra imperialismo e popoli oppressi. Ad esempio, l’intervento russo in Siria ha fermato i tentativi statunitensi e sionisti di frammentare quel paese e far cadere il regime di Assad, che sostiene la Resistenza Palestinese e Libanese.
Tuttavia, i due aspetti che compongono la contraddizione tra imperialismo e popoli oppressi, e cioè la resistenza delle masse del Medio Oriente e la reazione dell’entità sionista in accordo con l’imperialismo occidentale, hanno avuto un impatto tale sul piano generale da erodere il carattere principale della contraddizione interimperialista nella fase attuale. Questa erosione è ben esemplificata dall’influenza che gli avvenimenti nel Mar Rosso hanno sull’evolversi particolare della contraddizione interimperialista.
Nell’area mediorientale, la posizione degli Usa appare in considerevole difficoltà in quanto il piano di contenimento del conflitto entro i soli territori occupati dall’entità sionista è fallito. E ciò pone nuove concrete difficoltà alla pianificazione del disimpegno militare dalla regione, necessario agli Usa per guidare il processo globale di guerra. Anche ammettendo che il conflitto in Europa possa essere “appaltato” all’Ue, per gli imperialisti Usa si pone il problema storico di concentrare le proprie forze nel Pacifico e prepararsi alla guerra contro il suo nemico strategico di lungo periodo, la Cina. Solo questo progetto strategico definisce i paletti posti dall’imperialismo statunitense al criminale supporto messo in campo per i sionisti. [17] Gli Usa sono per l’entità sionista il principale fornitore di armi nonché un partner commerciale fondamentale. Le ridicole preoccupazioni dei governanti statunitensi sono costantemente smentite dagli svariati veti posti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sul cessate il fuoco a Gaza. “Israele” rappresenta un avamposto fondamentale per l’imperialismo occidentale che non può essere abbandonato. La sua stessa esistenza dipende di fatto dal sostegno che riceve.
Sostegno che non si ferma nemmeno davanti all’ulteriore crisi di egemonia politica dell’imperialismo statunitense provocata dall’appoggio ai sionisti, dato non trascurabile vista la solidarietà espressa dai popoli di tutto il mondo, dalle avanguardie politiche di classe e dalle forze progressiste che denunciano il genocidio in atto del popolo palestinese per mano dell’entità occupante e la complicità di Washington. L’indebolimento dell’immagine degli Usa agli occhi dei popoli del pianeta va a diretto sostegno di tutte le ipotesi di loro sostituzione come garanti dell’ordine globale, cioè del rafforzamento della cosiddetta tendenza multipolarista.
Gli Stati Uniti possono essere tentati ad utilizzare l’oggettiva regionalizzazione del conflitto per guadagnare posizioni in Medio Oriente, anche in funzione di contrasto all’influenza russa e cinese. D’altra parte Russia e Cina puntano contemporaneamente a porsi come arbitri del conflitto, forti dei propri affari economici nella regione e al rapporto con la Siria, l’Iran e dunque con le altre forze dell’Asse della Resistenza.
D’altro canto, l’entità sionista affronta considerevoli difficoltà sia sul campo di battaglia sia nel fronte interno. L’invasione di terra di Gaza e il confronto a nord con il Libano stanno costringendo la forza occupante a sostenere ingenti costi militari. Le stime parlano di circa 30 miliardi di dollari spesi in quattro mesi da ottobre. Questi costi risultano ancora più gravosi se si considera che l’invasione di terra non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi militari dichiarati e non ha liberato praticamente nessun ostaggio tenuto dalla Resistenza.
A questo si aggiungono consistenti interruzioni del flusso di investimenti stranieri e valutazioni negative dalle società finanziare internazionali (Moody’s ha abbassato il rating da A1 ad A2 prevedendone inoltre un ulteriore peggioramento), dettati dal prolungarsi della guerra e dell’instabilità politica interna. Anche i diversi settori produttivi affrontano una crisi considerevole e lo stesso vale per i consumi privati, in calo di quasi il 30% ai primi dell’anno. La disoccupazione è in aumento e la perdita di una fetta consistente di manodopera a basso costo, di solito costituita da proletari palestinesi, aggrava la crisi produttiva.
Nonostante ciò i criminali sionisti hanno assassinato decine di migliaia di palestinesi, distruggendo interi quartieri e gli ospedali di Gaza. Le Nazioni Unite stimano, al mese di febbraio, che nella Striscia circa il 70% delle infrastrutture civili e l’84% di quelle mediche siano state distrutte o gravemente danneggiate. Come conseguenza della devastazione portata nel nord del Paese, più di 1,3 milioni di palestinesi sono stati sfollati dalle loro case e costretti a rifugiarsi a sud, in particolare a Rafah, dove la densità abitativa è quintuplicata in pochi mesi a partire da novembre del 2023, arrivando a circa 22 mila abitanti per chilometro quadrato. A metà febbraio l’esercito sionista ha di fatto bombardato l’area più densamente abitata al mondo.
Nemmeno questo ha cambiato la posizione opportunista della maggior parte dei governi arabi e del Medio Oriente. Le pubbliche posizioni di condanna verso l’entità sionista sono, come quelle delle borghesie imperialiste occidentali, propaganda atta a contenere la rabbia e a prevenire la nascita di larghi movimenti di massa antimperialisti che potrebbero mettere a rischio il dominio di classe delle borghesie nazionali.
Ad esempio l’Egitto ha creato una “zona cuscinetto di sicurezza” capace di ammassare circa 100 mila palestinesi in pochi chilometri quadrati, in modo da impedire il loro afflusso nel paese, con le criticità che ciò comporterebbe per la stabilità interna.
Un altro esempio significativo è rappresentato dagli attacchi di inizio febbraio degli Usa in Siria e Iraq, dove milizie filoiraniane sono state colpite con la partecipazione diretta della Royal Jordan Air Force, l’aeronautica militare della Giordania.
Dal canto suo, l’Asse della Resistenza continua a portare attacchi diretti all’entità sionista, ai mezzi e alle basi delle forze imperialiste nella regione. In Iraq e in Siria la Resistenza attacca le infrastrutture statunitensi, oltre a quelle sioniste sulle alture del Golan.
Il gruppo filoiraniano della Resistenza Islamica in Iraq, in particolare, ha rivendicato l’attacco con droni kamikaze compiuto il 28 gennaio contro la base militare statunitense, nota come “Torre 22” e sita in Giordania, che ha portato alla morte di tre soldati Usa. La stampa occidentale sostiene falsamente che questa base funzioni come mero supporto logistico e ha subito utilizzato la morte dei tre riservisti per legittimare i successivi attacchi criminali effettuati dalle forze imperialiste Usa in Siria e Iraq. Diversamente da come la propaganda tenta di descrivere la presenza statunitense in Medio Oriente, la “Torre 22”, sita verso il confine a nordest della Giordania, funziona come vera e propria base di spionaggio, il cui “scopo principale è quello di utilizzare droni per spiare i ribelli” e “colpirli successivamente”. [18]
Anche Hezbollah, altra organizzazione appartenente all’Asse della Resistenza, continua ad attaccare dal sud del Libano i territori occupati dall’entità sionista. Dal 7 ottobre ha effettuato più di mille operazioni contro insediamenti e basi militari della colonia, principalmente utilizzando razzi e missili.
Infine, l’esempio più avanzato di solidarietà e supporto alla resistenza palestinese è messo in campo dal popolo yemenita e dal movimento di massa Ansarullah, che fin da subito ha condotto svariati attacchi sulla lunga distanza contro centri militari e logistici dei sionisti.
Da novembre 2023 le forze yemenite hanno avviato operazioni di ammaraggio e danneggiamento delle navi cargo in transito nel Mar Rosso, partendo da quelle battenti bandiera “israeliana” o che risultavano dirette verso i territori occupati.
La reazione anglo-statunitense non si è fatta attendere. L’intervento militare diretto degli Usa e del Regno Unito contro lo Yemen ha a sua volta comportato l’ulteriore salto della Resistenza Yemenita, che da allora colpisce anche le navi militari e quelle civili dei paesi aggressori.
È importante sottolineare che i bombardamenti criminali effettuati a partire da gennaio su varie città yemenite, tra cui anche la capitale San’a’, non hanno sortito nessun arretramento nella solidarietà al popolo palestinese.
In risposta alla destabilizzazione delle rotte navali nel Mar Rosso, anche alcuni Stati dell’Unione Europea hanno organizzato direttamente le proprie marine militari per la difesa dei propri interessi commerciali. È del 20 febbraio il lancio ufficiale della missione navale europea denominata Aspides, definita come “puramente difensiva” e che “in nessun modo, condurrà attacchi contro lo Yemen”, ma che risponderà ad eventuali attacchi subiti dai mercantili. Secondo il mercante d’armi Crosetto “occorre agire subito con efficacia per affermare il diritto internazionale e il libero transito delle merci. (..) Il traffico di Russia e Cina, per espressa volontà degli Houthi, potrà continuare a passare per il mar Rosso e questo crea uno squilibrio competitivo che impatterà in modo violento e asimmetrico su di noi e sulle nostre economie”. [19]
Effettivamente gli Houthi hanno idee abbastanza chiare in testa, avendo affermato che le navi cinesi e russe possono passare. In questo modo hanno preso una posizione conseguente nello scontro tra formazione imperialiste. E influenzando quindi anche la stessa contraddizione interimperialista.
L’allargamento del conflitto nel Mar Rosso danneggia fortemente i profitti dei sionisti. Un esempio è rappresentato dallo svuotamento di interi porti dell’entità d’occupazione, come quello di Eilat che svolge una funzione strategica per l’indipendenza dall’Egitto. Tuttavia l’aspetto principale è rappresentato dall’isolamento dell’Europa e dal blocco delle rotte commerciali da e verso il Mediterraneo tramite lo sbocco meridionale del Mar Rosso, situato tra Yemen, Gibuti ed Eritrea. Gli analisti borghesi sono arrivati a definire la situazione come una “crisi di Suez”. A inizio 2024 lo sbocco, utilizzato principalmente per il trasporto di greggio e carburante dal Golfo attraverso il Canale di Suez, con una media di quasi 8 milioni di barili giornalieri, ha subito un crollo del 35% del transito di navi, principalmente appartenenti alle formazioni imperialiste occidentali. Questo crollo è dovuto non solo al pericolo effettivo per le navi e per le merci trasportate, ma anche al costo dell’assicurazione obbligatoria di protezione e indennizzo, che per “un viaggio di sette giorni attraverso il Mar Rosso è aumentato di centinaia di migliaia di dollari da quando gli Houthi, popolazione yemenita, hanno iniziato ad attaccare le navi nella zona. (…) I premi per il rischio di guerra quotati per i viaggi nel Mar Rosso sono rimasti per alcune settimane intorno all’1% del valore di una nave, rispetto a circa lo 0,5% prima dell’inizio degli attacchi”. [20]
È chiaro che il Mediterraneo svolge una funzione vitale soprattutto per le formazioni imperialiste che si affacciano su di esso, per l’Italia in particolare, che non a caso ha voluto il comando della missione militare europea. Se La Cina e la Russia puntano principalmente alle rotte terrestri e a quella artica, mentre la Gran Bretagna estende il suo dominio direttamente nell’Oceano Atlantico, insieme agli Stati Uniti, è chiaro che la posta in gioco nel conflitto nel Mar Rosso sia molto vasta, in grado di ridefinire quello che rimane della globalizzazione e in particolare dei traffici marittimi globali. E, in questo conflitto, la parte più debole ed esposta, nell’intreccio delle contraddizioni tra imperialismo e popoli oppressi da una parte e tra potenze imperialiste dall’altra, sia propria quella del nostrano imperialismo.

Il disordine multipolare

Alla luce della dialettica tra le contraddizioni che caratterizza la fase, riteniamo importante sottolineare la quantità di ulteriori fronti di guerra in corso o potenziali che compongono il mondo multipolare. Dal Medio Oriente all’Europa, dall’Africa al Pacifico, mentre le potenze imperialiste si preparano allo scontro diretto, i popoli oppressi del mondo lottano per riscattare il proprio passato, liberarsi nel presente e strappare il proprio futuro.
Proprio l’area dell’Oceano Pacifico può rappresentare in prospettiva un fronte del confronto interimperialista. Coerentemente alle speranze di disimpegno dal Medio Oriente e ai piani strategici di confronto con la Cina, gli Usa stanno mobilitando due ulteriori portaerei coi rispettivi contingenti, che vanno a sommarsi ad altri tre già presenti. Il loro arrivo definirà un primato storico nel concentramento delle forze navali statunitensi operanti nella stessa regione. [21]
Gli Stati Uniti continuano a difendere la “sovranità” di Taiwan assicurando che l’impegno verso l’isola è “solido come la roccia, basato su principi, bipartisan e a favore degli amici dell’America”. [22] Il supporto alla causa indipendentista sbandierato dagli statunitensi risponde ovviamente alla necessità di difendere gli interessi imperialisti nella zona e di contenere l’espansionismo cinese nel Pacifico. La difesa degli avamposti alleati è strettamente legata alla loro subordinazione agli interessi della borghesia imperialista statunitense. In tal senso l’esempio della Corea del Sud è emblematico.
Dal punto di vista cinese, il vantaggio economico raggiunto, che è destinato ad aumentare a causa della crisi strutturale del capitalismo statunitense, pone il tempo come fattore di vantaggio: più riescono a rimandare lo scontro, più accumulano condizioni per la vittoria.
Inoltre la Cina, che ad oggi ha già la sua prima base militare all’estero proprio nel Mar Rosso, a Gibuti, intende insediarne almeno altre tre sul medio periodo: una in Cambogia, una negli Emirati Arabi Uniti e una Guinea Equatoriale. [23]
Se nel Pacifico emerge come principale la contraddizione interimperialista, in Africa si afferma come principalità quella tra imperialismo e popoli oppressi, grazie sopratutto alla ribellione dei popoli allo storico predominio francese. Le forze armate che hanno preso il potere in Niger, Mali e Burkina Faso, stanno lavorando per creare una nuova moneta comune regionale che sostituisca il “franco Cfa” attualmente in uso e ripristini la sovranità monetaria dei tre Stati.
Questi governi incarnano un concreto avanzamento per i popoli oppressi della regione all’interno della contraddizione con le vecchie potenze coloniali, ora imperialiste. L’allontanamento dalla sfera d’influenza dell’imperialismo occidentale ha portato questi governi a instaurare importanti legami con l’imperialismo russo. Anche qui è evidente, dunque, l’intreccio tra le due contraddizioni che caratterizzano la contemporaneità.
Spostandosi in Sud America, l’elezione dell’ultraliberista Milei in Argentina rappresenta un colpo di coda dell’imperialismo statunitense, che non vuole perdere ciò che resta della sua influenza nell’area. La scelta del governo argentino di allontanarsi dall’area dei Brics esprime al contempo la fragilità politica di questa organizzazione, laddove la sovrastruttura democratico-elettoralistica consenta giravolte politiche a favore del vecchio ordine mondiale legato agli yankee. Coerentemente al suo asservimento verso gli Usa, Milei ha anche dichiarato di voler cancellare la sovranità monetaria adottando il dollaro come moneta ufficiale del paese. [24] Anche sul piano internazionale il capo di Stato argentino si conferma spregiudicato agente dell’imperialismo occidentale. Degno rappresentante della destra più anti-islamica, che vede nella colonia sionista un faro nella “lotta di civiltà”, ha più volte espresso totale sostegno al regime sionista di Netanyahu.
Sul fronte interno, invece, Milei sta fronteggiando mobilitazioni continue e scioperi delle masse popolari in risposta alle politiche economiche criminali attuate dal suo governo. Politiche che hanno causato il crollo dei salari e l’erosione del potere d’acquisto.

Yuan o Qassam?

Il binomio da cui prende spunto il titolo di questo articolo rappresenta la contrapposizione tra le posizioni idealiste che dilagano tra gli opportunisti, e una chiara linea comunista, che si ponga invece in rottura con l’egemonia ideologica della classe imperialista borghese, da qualsiasi parte del mondo provenga.
In questo senso lo “Yuan”, che è la moneta della Repubblica Popolare Cinese rappresenta quelle posizioni che vedono nel multipolarismo una prospettiva di pace e di stabilità politica. Il multiporalismo viene posto come obiettivo dalle forze riformiste perché, consapevoli o meno, mirano di fatto a una ridefinizione dei rapporti di forza tra le diverse potenze imperialiste e dunque alla sopravvivenza stessa del sistema capitalista e imperialista, semplicemente riformato e pacificato.
Ma la fase attuale e quella futura non lasciano spazi per l’idealismo, per le prospettive di pace e di armoniosa crescita più o meno collaborativa: il multipolarismo è guerra. Non vi può essere trasformazione della realtà senza guerra, sia essa guerra imperialista, quindi reazionaria, o guerra di liberazione, quindi rivoluzionaria.
In questo senso non può esistere un “multipolarismo pacifico”. Esiste invece la realtà concreta del rilancio della lotta dei popoli oppressi contro il nemico comune rappresentato dalla borghesia imperialista occidentale. Questo fronte della contraddizione è anche il nostro fronte. Un fronte in cui i comunisti, sviluppando l’appoggio alla lotta di liberazione dei popoli oppressi, possono acquisire agibilità politica e costruire organizzazione, verso la prospettiva di una ridefinizione dei rapporti di forza tra le classi. Il “Qassam”, il rudimentale razzo icona della Resistenza palestinese, rappresenta proprio la posizione proletaria a sostegno concreto dei popoli oppressi e delle lotte di liberazione, nella prospettiva della rivoluzione.
Il fronte della contraddizione interimperialista non è direttamente il nostro fronte, perché come comunisti non crediamo assolutamente che un mondo retto dagli interessi cinesi, russi o indiani possa essere strutturalmente diverso da quello attuale. Ciò nonostante dobbiamo relazionarci allo sviluppo di tale contraddizione. Anch’essa apre spazi per i comunisti di agibilità politica e di costruzione rivoluzionaria. Sopratutto nella mobilitazione delle masse contro la guerra imperialista e con l’aggravarsi della crisi del blocco imperialista dominante, quello nel quale viviamo, che si determina come nemico principale delle classi sfruttate e dei popoli oppressi.
Se la resistenza avanza l’imperialismo arretra. Lo sviluppo del movimento contro la guerra imperialista nelle metropoli e le lotte di liberazione dei popoli oppressi, con l’individuazione del comune nemico principale nella borghesia imperialista occidentale, sono le controtendenze che si oppongono all’affermarsi dello scontro diretto tra le potenze imperialiste nella forma della terza guerra mondiale. Il compito di noi comunisti oggi è quello di appoggiare queste controtendenze. Controtendenze che si pongono in ultima analisi come motore di trasformazione della guerra imperialista in guerra rivoluzionaria.


Note:

[1] Per un approfondimento sul concetto di “contraddizione” vedi Glossario, Antitesi n. 8, pp. 66-68

[2] Mao Tse Tung, Sulla contraddizione, 1937, in Opere di Mao Tse Tung, Edizioni Rapporti Sociali, 1993, volume V, p. 188

[3] Ivi, p. 201

[4] Vedi Antitesi n. 14, p. 86 ss.

[5] Ivi, p. 187

[6] Vedi L’Ucraina è il mondo, Antitesi n. 14, p.37

[7] Pentagono: se l’Ucraina perde, Nato combatterà contro la Russia, 1.3.2024, ansa.it

[8] M. Manfrin, Steadfast Defender 2024: la più grande esercitazione Nato degli ultimi 35 anni, lindipendente.online, 11.2.2024

[9] M. Manfrin, Passaggio libero per truppe e armi: Germania, Olanda e Polonia avviano la “Schengen militare”, lindipendente.online, 13.2.2024

[10] Guerra non imminente, ma non impossibile. Mosca in Ucraina non deve vincere, quotidiano.net, 28.2.2024

[11] Dichiarazioni congiunte alla stampa a Kiev, l’intervento del Presidente Meloni, governo.it, 24.2.2024

[12] D. Rossi, Di famiglia russa e spregiudicato in guerra: ecco chi è Oleksandr Syrsky, il nuovo capo dell’esercito ucraino voluto da Zelensky, ilfattoquotidiano.it, 9.2.2024

[13] G. Gaiani, Due anni di guerra – L’Europa continua a non avere obiettivi, analisidifesa.it, 26.2.2024

[14] Vedi A. Sceresini, Gli uomini contro dell’Ucraina: quasi 200.000 i “disertori”, ilmanifesto.it, 12.9.2023

[15] F. Baccini, Macron non sta trovando appoggio all’ipotesi di inviare soldati Nato in Ucraina contro l’esercito russo, eunews.it, 27.02.2024

[16] A. Marinelli e G. Olimpio, Ucraina, Scholz rivela la presenza (poco segreta) della Nato a Kiev, corriere.it, 4.3.2024

[17] A. Ward, US won’t punish Israel for Rafah op that doesn’t protect civilians, politico.com, 13.2.2024.

[18] K. Klippensten, “Logistics” Outpost in Jordan Where 3 U.S. Troops Died Is Secretly a Drone Base, theintercept.com, 9.2.2024

[19] D. Sarsini, Crosetto sui ribelli Houthi: “Valgono 10 volte Hamas e sono l’arma di Cina e Russia”, agi.it, 1.2.2024

[20] Mar Rosso: stabili le tariffe assicurative dopo l’affondamento del mercantile Rubymar, intermediachannel. it, 5.3.2024

[21] Seong Hyeon Choi, US to deploy 5 aircraft carriers in western Pacific in show of strength to China, scmp.com 14.2.2024

[22] Taiwan, Usa: «Impegno solido». Cina: «No a scambi con Washington». Nauru tronca le relazioni con Taipei, ilsole24ore.com, 15.1.2024

[23] La Cina pianifica la costruzione di una rete di cinque basi militari all’estero, agenzianova. com, 27.4.2023; A. Puliafito, La Cina pianifica l’apertura di una nuova base navale in Africa?, airi.site, 15.2.2024

[24] Argentina, Milei conferma “dollarizzazione” economia: cosa significa, tg24.sky.it, 29.1.2024