Note di fase n.28
Giugno 2022
La scorsa edizione delle note di fase uscì a febbraio, una settimana prima dello scoppio del conflitto in Ucraina. Già in quella stesura abbiamo cercato di evidenziare le tendenze che avrebbero portato alla guerra e gli snodi del conflitto.
Ci troviamo oggi in pieno conflitto a proporre alcune riflessioni che ci sembrano utili ad affrontare una situazione in escalation che determinerà nel prossimo immediato futuro il centro delle agende delle classi dominanti imperialiste e di conseguenza il punto di partenza di lettura e di azione dei compagni. Quando c’è la guerra è da questa che bisogna partire per analizzare tutto il resto.
QUADRO ECONOMICO INTERNAZIONALE
Il perdurare della guerra in Ucraina mette in evidenza alcuni dati comuni a tutti gli attori in campo sull’attuale scena politica che mostrano l’incapacità da parte delle dirigenze delle borghesie imperialiste di venire a capo della crisi. Una crisi che i think tank dell’imperialismo vorrebbero dipingere come risultato prima della pandemia e ora della guerra nell’eterno tentativo di nascondere che il capitalismo come modo di produrre e distribuire merci è ormai storicamente esaurito a causa delle sue stesse contraddizioni interne e non da fattori esterni. La gestione della cosiddetta pandemia e la guerra sono invece il risultato della crisi economica e non la sua causa.
I tentativi poi messi in campo per uscire dalla crisi non sortiscono gli effetti desiderati e tutta la prosopopea sulla ripresa post – pandemica sta crollando inesorabilmente. Ciò è emerso chiaramente all’ultima edizione del World Economic Forum di Davos, la riunione del gotha mondiale dell’economia e delle politiche imperialiste.
Il primo dato è quello di un rallentamento pesante della cosiddetta globalizzazione dovuta alla rottura delle catene di approvvigionamento delle materie prime e delle subforniture.
Cosa che sta imponendo la riorganizzazione dei cicli produttivi mondiali tramite politiche di reshoring / friendshoring, ossia ritorno verso i centri imperialisti delle filiere produttive che prima si erano allungate in tutto il globo, con il conseguente sviluppo di politiche protezionistiche e più autocentrate. Un rallentamento che porta alcuni economisti a parlare di fine della globalizzazione e a produrre ipotesi di “globalizzazioni regionalizzate”.
Il secondo dato è quello inflazionistico: a livello mondiale, l’inflazione si sta attestando pericolosamente al 10%. Questo è il prodotto sia del rincaro delle materie prime che dell’enorme quantità di capitale monetario messa in circolazione tramite i quantitative easing e dall’azzeramento dei tassi di interesse promossi dalle banche centrali dei paesi a capitalismo avanzato nel tentativo di far fronte alla crisi del 2007. Negli ultimi anni, la ricetta che è stata utilizzata per controllare l’inflazione è stata quella di contrarre i salari, tuttavia, nell’ultimo periodo, l’attuazione di una politica di sussidi per contrastare la pandemia ha fatto saltare questo meccanismo.
L’altra ricetta classica, quella che le banche centrali stanno mettendo in campo con il rialzo dei tassi di interesse, incontra ostacoli di non poco conto: scontrandosi da una parte con il possibile contrarsi degli investimenti nella sfera finanziaria con il conseguente immobilizzo di capitali e scoppio di bolle finanziarie e dall’altra con l’effetto che questo provvedimento avrebbe sul debito pubblico, porterebbe ai rischi di bancarotta e non solo per i paesi del cosiddetto terzo mondo.
Il terzo dato è legato alle materie prime: i colli di bottiglia sugli approvvigionamenti causati dai lockdown pandemici e il possibile blocco delle importazioni dalla Russia determina due scenari, il primo da shock energetico e il secondo, conseguente del primo, da shock alimentare per l’aumento del prezzo del gas, petrolio, fertilizzanti e prodotti agricoli. La soluzione paventata di sostituire il gas russo con il GNL americano pare una strada non percorribile attualmente perché quest’ultimo è completamente in mano a capitali privati e il suo prezzo varia continuamente in base alle aste effettuate sui vari carichi in viaggio sulle gasiere. Si tratterebbe quindi di una situazione insostenibile per le imprese che subirebbero una forte volatilità dei prezzi dell’energia.
Infine l’estrema volatilità dei titoli di borsa che paventa all’orizzonte lo scoppio di bolle speculative, con il conseguente aggravio e ricaduta sull’economia reale.
È in questo quadro economico che a Davos si sono lanciati gli allarmi con la Banca Mondiale che prevede una crescita mondiale del Pil del 3,2% contro il 4,1% annunciato in precedenza, cui si accompagna la dichiarazione di Rubestein (co – fondatore e co – presidente di Carlyle) secondo cui “non siamo ancora in recessione, ma i segnali non sono buoni”.
Insomma le grandi centrali mondiali del capitalismo sentono la crisi del loro sistema mordere sempre più forte e si rendono conto che le ricette economiche classiche finora messe in campo hanno di fatto solamente ottenuto di procrastinarne di qualche tempo lo scoppio. E’ da qui che prende le mosse il fatto che le contraddizioni tra le varie formazioni imperialistiche diventano sempre più antagonistiche.
CONFLITTO IN UCRAINA
Per chi non si fa rimbecillire dalla propaganda mainstream, il conflitto in Ucraina è promosso dagli Usa con un chiaro obiettivo: mettere all’angolo la Russia e isolare la Cina secondo quella strategia del “Pivot to Asia” definita nell’epoca Obama, solo interrotta dalla parentesi Trump e ora ripresa in pompa magna dal noto guerrafondaio Biden che arriva a minacciare direttamente di intervento armato la Cina per la questione Taiwan.
L’obbiettivo di colpire la Russia, gli USA, lo perseguono fin dal 2004 con la promozione della rivoluzione arancione, poi con l’Euromaidan del 2014 orchestrato fomentando, finanziando e addestrando gruppi e organizzazioni di stampo nazista. In gioco il ripristino/mantenimento della loro supremazia mondiale e la loro uscita dalla crisi a spese delle altre formazioni imperialiste. Se da una parte gli USA hanno già ottenuto importanti risultati rispolverando la NATO per riallineare sotto il suo comando le vecchie formazioni imperialiste e incrinando pesantemente i rapporti economici tra UE e Russia, dall’altro la controffensiva russa ha aperto altri fronti. Non solo oggi si è posizionata fortemente nel Donbass sostenendo la popolazione che ha rifiutato il golpe del 2014, ma ha aperto canali che mettono in discussione lo strapotere del dollaro nello scambio delle materie prime, ha ottenuto il disimpegno dalle sanzioni da parte di molti stati a livello mondiale tra cui Cina, India e Venezuela, il sostegno da parte di stati e popolazioni del continente africano scesi in piazza a fianco della Russia.
Pare, quindi, che l’offensiva Usa sia forse riuscita a rinverdire il dominio sulle vecchie formazioni, ma sia in forte difficoltà di consenso a livello mondiale.
Chi ne sta uscendo a pezzi è l’UE che si vede in estrema difficoltà sulle forniture di gas ed estremamente divisa al proprio interno tra chi spinge per un protagonismo autonomo e chi fa pienamente sponda agli USA.
Le previsioni di crescita nella zona euro sono state dimezzate con un taglio drammatico rispetto alle precedenti stime (dal 4,0 al 2,7% nel 2022 dal 2,7 al 2,3 nel 2023) con una tendenza, secondo gli analisti, al ribasso. Questo dato investe in maniera ancora più drammatica il colosso tedesco i cui fondamentali sono al di sotto di quelli della media europea. Pesa su questi dati, l’impatto dell’aumento delle materie prime e le sanzioni sull’import/export con la Russia che rischiano di devastare interi comparti economici. Questa situazione pre – recessiva ha già fatto saltare il banco e la tanto sbandierata unità a parole delle scelte dell’Unione Europea.
Sotto questo aspetto, il dato più eclatante è l’apertura dei conti in rubli presso Gazprombank, così come richiesto dal governo russo, da parte dei colossi energetici dei paesi europei, Eni in testa.
Per arrivare al paradosso, quasi comico, per cui la commissione europea commina sanzioni alla Russia e le compagnie energetiche a partecipazione statale aggirano tali sanzioni con il beneplacito e l’aiuto dei governi degli stessi stati che formano la commissione.
La balcanizzazione dell’Europa sulle scelte economiche, appena descritta, è evidente anche sul piano politico e militare. Per quanto riguarda il piano politico, nonostante sia stata espressa la volontà di eliminare il meccanismo dell’unanimità per le scelte decisionali dell’Unione Europea, il dato che appare evidente è quello delle linee differenti di prospettiva all’interno delle frazioni della borghesia. Linee che travalicano, queste sì, i confini nazionali e che possiamo riassumere in due.
Una linea legata direttamente ai cicli produttivi e alla possibilità di espansione verso i mercati orientali che spinge per normalizzare la situazione e per accordarsi alle richieste russe, l’altra legata ai capitali finanziari americani che spinge per il perdurare della guerra, per nuove manovre inflattive che immettano denaro in circolo e che si configura come la quinta colonna degli Stati Uniti in Europa.
Per quanto riguarda il piano militare, anche il famoso esercito europeo, tornato alla ribalta nei dibattiti pare allontanarsi come prospettiva, visto che gli aumenti delle spese militari vanno ad alimentare il bilancio della Nato, che vede oltretutto aumentare le richieste di adesione (come il caso clamoroso di Finlandia e Svezia che rinunciano alla loro storica neutralità).
In sintesi, l’UE sta facendo la classica fine del vaso di coccio tra i due vasi di ferro, con buona pace al tanto perseguito piano di costruzione del polo imperialista europeo.
QUADRO ECONOMICO NAZIONALE
Il quadro economico nazionale si presenta coerente con il quadro internazionale delle principali formazioni imperialiste, con tutti gli indici di crescita rivisti mensilmente in calo, mentre contemporaneamente l’inflazione galoppa seppur rallentando lievemente rispetto agli scorsi mesi. L’Istat nella nota mensile di aprile conferma questo andamento. La ripresa economica tanto sbandierata da Draghi, si è dimostrata per ciò che era, un passeggero rimbalzo economico frutto delle riaperture e dei vari incentivi elargiti dal governo agli industriali e nei settori edilizi; la crescita con picchi al 10%, si ferma invece al 6,5% nel 2021 (nel 2020 aveva toccato un 9%), e continua a diminuire nelle previsioni per il 2022 attestandosi al 2,2% a fronte di un 4,2% previsto.
I fattori cruciali che pesano in questi dati sono l’aumento del costo delle materie prime e di quelle energetiche, che a cascata generano inflazione e aumenti generalizzati. Non solo, tali aumenti, uniti alla situazione di guerra con annesse sanzioni, chiusure di spazi di mercato e rottura delle catene del valore, determinano la necessità del nostro governo e degli industriali di ricercare nuove fonti di approvvigionamento, a modificare le vecchie catene del valore per rimanere competitivi nel mercato globale. Dai dati dell’Istat emerge infatti un peggioramento generale dell’export italiano, frutto proprio degli aumenti e di tali cambiamenti.All’orizzonte, neanche troppo lontano, il pericolo della stagflazione o addirittura della recessione, come anche alcune testate giornalistiche iniziano velatamente a paventare.
Dal punto di vista politico invece si conferma l’avvitamento autoritario del governo Draghi quantomeno da una prospettiva legislativa. In crisi di egemonia anche nell’arco parlamentare (Lega e M5S non sono più così allineati alle politiche economiche legate alla guerra in Ucraina), il premier scavalca il parlamento in missioni estere, come avvenuto per quanto riguarda la sua visita a Biden e minaccia fiducie a profusione pur di perseverare nella linea dettata dagli USA ad ogni costo. Pesano da questo punto di vista sia le condizioni economiche precedentemente elencate che tendono a spaccare il fronte compatto di opposizione ad ogni costo alla Russia, sia dinamiche prettamente elettorali. E’ assodato infatti il netto rifiuto di una larga parte della popolazione italiana al coinvolgimento dell’Italia in guerra, sia esso economico, militare o politico e i due partiti cercano di salvarsi la faccia e non scomparire alla prossima turnata elettorale. Nei prossimi mesi vedremo se questi scricchiolii nella maggioranza diverranno crepe o rientreranno, palesando quale strategia politica metterà in campo la borghesia italiana per recuperare consenso.
All’oggi infatti, assistiamo ad una maggioranza che seppur con qualche guaito interno sostiene a spada tratta le politiche guerrafondaie statunitensi, rappresentandone la quinta colonna in suolo europeo, e l’unico partito di sedicente opposizione (FdI) che per quanto riguarda la guerra in Ucraina aderisce in toto alle scelte governative e anzi punta a proporsi come più atlantista di Draghi. Emblematica in questo contesto è stata la situazione di Petrocelli, irriducibile oppositore all’invio di armi all’Ucraina, per cui si è arrivati persino a far dimettere l’intera commissione esteri pur di isolarlo e tentarne l’espulsione.
Sulla situazione Ucraina la stessa democrazia borghese è stata snellita il più possibile pur di perseguire la strada decisa. Altri esempi sono la segretezza di Stato imposta sull’invio degli armamenti. Draghi dal canto suo nel viaggio negli USA ha garantito il totale allineamento dell’Italia alle volontà Nato, propinando alla stampa discorsi di “pace” e “negoziati” ma non appena rientrato ha imposto la fiducia sull’ennesimo pacchetto di invio di armi all’Ucraina.
Tutto questo mentre il suolo italiano vede un aumento della già grande presenza di basi militari USA e NATO , e delle esercitazioni continue. Da un lato nella regione Toscana vicino a Pisa si sono dirottati i fondi derivanti dal PNRR per la realizzazione di un’enorme base militare nella riserva naturale di Coltano, dall’altro sia la Sicilia che la Sardegna vengono investite da esercitazioni imponenti che arrivano ad impedire il regolare trasporto umano e merci da e per le isole e l’utilizzo stesso di alcuni territori.
Mentre in Sicilia vediamo affiorare sommergibili nucleari proprio nello stretto di Messina, in Sardegna viene vietato l’utilizzo delle spiagge della costa meridionale agli abitanti stessi in un periodo immediatamente prima di quello turistico.
Se da un punto di vista propagandistico non deve emergere alcuna frattura degna di nota nella narrativa mainstream, dal lato economico c’è chi già corre ai ripari, dimostrando tutta l’ipocrisia che il sistema capitalista italiano possa esprimere. Con un gioco delle tre carte infatti Eni, col beneplacito del governo italiano, ha deciso di aggirare le stesse sanzioni ed indicazioni volute dai governi occidentali, aprendo un secondo fondo in Gazprombank che gli permetterebbe di operare nel rispetto delle sanzioni ma pagando all’effettivo il gas russo in Rubli come imposto dal governo di Mosca. Evidentemente la differenziazione dell’approvvigionamento di materie prime sbandierata da Draghi, la riattivazione di quante più centrali a carbone presenti su suolo italiano e l’elaborazione di un nuovo piano energetico non garantiscono all’economia italiana di reggere un contraccolpo derivante dalla chiusura dei rubinetti russi in materia di gas e petrolio, perlomeno nel breve periodo.
Le ricadute, lette dalla lente borghese, sarebbero preoccupanti oltre che per la tenuta sociale del paese in caso di razionamenti ed aumenti delle bollette, anche per ciò che interessa maggiormente a Confindustria, ovvero la capacità produttiva e la conseguente estrazione di profitto dei padroni nostrani. L’Europa, ed in particolar modo l’Italia, rischierebbe di veder sfumare nell’arco di poco tempo commesse importanti per problemi di competitività nel mercato nazionale ed internazionale.
A preoccupare le tasche dei capitalisti della penisola si aggiunge un altro tassello: il PNRR. Se fino ad ora si è proceduto a ritmo forzato alle richieste Ue, grazie al fatto che molti pacchetti per l’anno 2021 erano già in stato avanzato, per quanto riguarda l’anno corrente le cose sono molto diverse. L’agenda del governo è infatti in affanno nel cercare di completare gli obiettivi intermedi previsti da Piano, che, nel caso non venissero completati, farebbero perdere all’Italia la tranche di pagamenti destinati a nostro favore. A complicare le cose vi sono naturalmente la guerra, l’aumento dei costi delle materie prime ed i problemi a cascata prima elencati e la frammentata unità politica che compone questo governo e che se è totalmente appiattita e coesa sulle posizioni atlantiste sul tema Ucraina, non lo è affatto sulle riforme interne da sviluppare. Tuttavia varie pressioni stanno venendo fatte all’Europa proprio per avere proroghe o modifiche dei piani in particolar modo per “conciliare” le missioni iniziali con le nuove esigenze che si prospettano. Se il piano era stato inizialmente presentato per spingere sulla cosiddetta “transizione ecologica” ecco che la guerra mette a nudo la realtà delle cose. Come era chiaro fin dall’inizio l’obiettivo non era affatto la salvaguardia dell’ambiente, ma permettere alle grande multinazionali dell’energia di ammodernare le proprie strutture a spese dei contribuenti. Ora che le contingenze impongono un cambio di passo repentino si cerca di dirottare le risorse del PNRR per raggiungere al più presto una indipendenza energetica europea dalla Russia, poco importa se questa passi per fonti combustibili, rigassificatori e quant’altro di inquinante si possa trovare. L’Italia è investita in pieno in questo piano denominato “RepowerEu” a sostegno dei suoi colossi energetici Eni e Snam.
IL PEGGIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DI VITA DELLE MASSE
Come dicevamo prima, della tanto decantata “ripresa” è rimasto solamente l’aumento dei contratti precari, i quali hanno raggiunto il livello più alto dal 1977. La schiera di lavoratori somministrati che percepiscono paghe basse si attesta ad un quarto degli occupati e fa parte di quel quasi 12% di wonking poor tra i lavoratori italiani, dati più marcati rispetto agli altri paesi UE e che è destinato ad aumentare. A coloro, che a mera finalità elettorale hanno posto il problema dei salari, Bonomi ha detto chiaramente che non ci sono spazi per aumenti di nessun tipo. Anzi, a seguito dell’incontro di aprile, tra la triplice sindacale e il governo, Landini ha fatto trapelare le intenzione di Draghi sull’argomento, ovvero il blocco o la moderazione dei salari. Non solo, nell’ultimo periodo Confindustria con Renzi e una parte del centro – destra (ma con agganci anche all’interno del PD) è partita all’attacco del reddito di cittadinanza. Questa misura, per quanto misera e ben al di sotto delle reali necessità per poter vivere dignitosamente, sta avendo una funzione calmieratrice verso i salari più bassi. A farne le “spese” soprattutto il settore della ristorazione, alberghiero e dei servizi. E mentre per l’ennesima volta i giovani, soprattutto meridionali, vengono additati come fannulloni che non vogliono lavorare, il dato oggettivo è che i salari sono così bassi da essere in competizione con il reddito di cittadinanza.
Il problema del salario è potenzialmente esplosivo dal punto di vista sociale, attualmente sta assumendo le forme delle “dimissioni di massa” e del rifiuto verso quei lavori, come nella ristorazione o nel turismo, storicamente sottopagati e ad alto tasso di sfruttamento.
Alla lunga però, stagnazione salariale, che per questo anno vedrà un misero 0,8 percento di aumento, e inflazione cronica, che si attesterà mediamente di 7 punti nello stesso periodo, possono diventare una miscela esplosiva. Da questo punto di vista vanno lette le proposte sul salario minimo, tema che ormai ha raggiunto anche le sfere alte della classe dominante.
Se da un lato i salari sono sempre più bassi, dall’altro a farla da padrona sono gli aumenti sulle bollette e in generale sul costo della vita. Un aumento che trova giustificazione negli aumenti del costo delle materie prime, ma che viene amplificata da azioni speculative, come quella riguardante il grano, un aumento falsamente “giustificato” con la situazione in Ucraina, visto che il grano duro (quello con il quale viene fatta la pasta) viene importato principalmente dall’Ungheria 23% e dal Canada quasi il 50% e solamente il 7% dall’Ucraina e l’1% dalla Russia. Gli aumenti sono il prodotto delle speculazioni sui mercati di scambio, dei razionamenti e dei puntelli che tutte le formazioni capitaliste stanno imponendo per accaparrarsi le merci.
A fronte di ingenti perdite economiche per le masse popolari il governo continua con misure tampone, sullo stesso stile della fase pandemica, bonus, taglio delle accise, aumento delle detrazioni, con la differenza che queste misure sono sempre meno sostanziose. Basti vedere la mancia di 200 euro per i redditi medio – bassi, oppure il tentativo ridicolo di detassare i buoni welfare sul carburante alle aziende. Le ragioni della linea governativa vanno inquadrate in due direzioni: da un lato il diktat UE, ancora in sordina, del rientro del debito e del pareggio di bilancio; dall’altro, ed è la questione principale, la necessità di dirottare tutte le risorse possibili verso le spese militari. Anzi, l’obiettivo di Draghi è quello di dirigere e accompagnare l’economia dalla fase pandemica a quella di guerra, impostando fin da subito il piano del keynesismo militare, inaugurato con lo scandaloso taglio dell’IVA sulla vendita delle armi nei paesi europei e con lo stanziamento di ulteriori fondi in armamenti su preciso ordine di Washington.
Per la borghesia e in primis per il complesso industriale – militare italiano, con Finmeccanica e Fincantieri in prima fila, la guerra rappresenta una locomotiva imprescindibile. Non a caso la nomina di Cassa Depositi e Prestiti per il nuovo presidente di Fincantieri è andata sul generale Claudio Graziano che attualmente presiede il Comitato Militare dell’Unione Europea. Organo che ha sicuramente supervisionato la joint venture tra Fincantieri e Naval Group con l’obiettivo di creare un campione europeo della cantieristica e che collaborano sul programma European Patrol Corvette, la più importante iniziativa navale nell’ambito del Pesco, il progetto di difesa militare europeo.
Il cambio di fase, quindi, va individuato nel passaggio dall’emergenza pandemia all’emergenza guerra. All’interno di questo cambio individuiamo elementi di continuità e discontinuità. Gli elementi di continuità sono quelli legati alla torsione autoritaria, alla chiusura degli spazi di agibilità e l’uso costante dell’opporre masse contro masse, ieri si vax contro no vax, oggi pro o contro Putin. Il piano di disciplinamento sociale nella fase di guerra, così come nella pandemia è fondamentale per far accettare dalle masse, misure, come ad esempio l’invio delle armi all’Ucraina che vedono ampie fette, se non la maggioranza, della popolazione contrarie. Gli elementi di discontinuità invece sono per lo più di natura economica: se dalla pandemia se ne doveva uscire tramite un piano di ristrutturazione del capitalismo (PNRR) orientato verso l’aumento del capitale fisso e del Green New Deal, quello che sta avvenendo è il dirottamento di buona parte delle risorse verso la guerra e l’autonomia energetica strategica con tagli a sanità, scuola e servizi sociali con tutte le conseguenti ricadute sulla vita delle masse.
IL MOVIMENTO REALE E I NOSTRI COMPITI
Da oltre due mesi a questa parte, la guerra ha travolto qualsiasi sfaccettatura della nostra società e questo lo abbiamo visto anche nelle numerose mobilitazioni che ci sono state in tutta Italia.
Cortei e presidi un po’ ovunque, per lo più mossi da un genuino sentimento pacifista, ma nei quali sono state presenti anche parole d’ordine più coscienti contro la NATO e contro l’imperialismo di casa nostra. Con gioia abbiamo riscontrato in diverse città la volontà di scendere in piazza il 25 aprile contro la guerra, contro la propaganda belligerante del nostro governo, contro l’invio di armi ad un esercito composto anche di battaglioni dichiaratamente nazisti e per riprendere possesso della nostra storia, della Resistenza e delle motivazioni che spinsero i partigiani ad imbracciare i fucili e ribellarsi al nazi-fascismo. Un altro dato positivo è che anche lo sciopero generale dei sindacati di base indetto per il 20 maggio, è stato caratterizzato contro la guerra.
Contemporaneamente abbiamo assistito anche al tentativo, e in parte alla riuscita, della controparte, di inglobare quei movimenti pacifisti che, mossi dalla naturale volontà di non volere guerre, si sono fatti travolgere in parole d’ordine che, se analizzate a fondo, sono tra le più reazionare e belligeranti che si possano mettere in campo. Dal pacifismo all’interventismo il passo è stato breve.
I moti spontanei di decine, se non centinaia, di migliaia di persone che si sono viste – ad esempio – contro la guerra in Iraq, che univano tutti coloro che ripudiavano la guerra, quest’anno non li abbiamo ancora visti. Tante piccole mobilitazioni in tutta Italia ci sono state, ma senza riuscire a raccogliere tutti sotto delle uniche chiare parole d’ordine.
Sicuramente complice è la propaganda martellante che porta un solo e unico punto di vista sull’assetto internazionale: la costruzione di un grande e unico nemico, la Russia, non lascia spazio a nessun’altra interpretazione. Chiunque provi solo a porre delle argomentazioni differenti, a ricordare che la guerra in quei territori c’è da anni, e non da due mesi, che la causa principale sono le politiche espansionistiche e belligeranti della NATO o che stiamo armando dei battaglioni dichiaratamente nazisti, viene tacciato come filoputiniano e contro la pace. Il nostro governo, come tutti quelli del blocco occidentale, stanno riuscendo a cooptare i movimenti pacifisti, per portare avanti, impuniti, interessi economici e una tendenza alla guerra inevitabile per il sistema capitalisti in crisi, come lo vediamo oggi.
Tutti i partiti si sono allineati sull’appoggio all’Ucraina in questa guerra, anche la finta opposizione di Fratelli d’Italia si è piegata alle scelte del governo, con in prima linea il Partito Democratico, che ancora una volta si fa portatore degli interessi del grande capitale e che si appiattisce completamente su posizioni atlantiste.
Danno spalla e alimentano questo calderone di parole d’ordine paradossali (armare l’Ucraina per la Pace), anche coloro che non si schierano espressamente da nessuna parte, con i soliti “né né” di ricorrenza, e che lasciano margine di manovra alla controparte.
È necessario invece riuscire ad individuare chi da decenni porta morte e distruzione nel mondo, chi opprime i popoli, che esporta “democrazia” a suon di bombe, chi foraggia occupazioni e stragi come vediamo da oltre settant’anni nel territorio palestinese. Il principale nemico dei popoli è la NATO con a capo gli Stati Uniti, senza se e senza ma. Ed è proprio con questa consapevolezza che dobbiamo riuscire a costruire mobilitazioni in tutta Italia, per poter sperare di sconfiggere il nemico che abbiamo a casa nostra.
Un dato che possiamo riscontrare, sicuramente positivo, è che il movimento No Green Pass ha aperto spazi di agibilità per i compagni anche sul tema della guerra. Per molti la gestione che hanno avuto i governi in carica della pandemia, prettamente repressiva e che poco aveva a che fare con l’emergenza sanitaria, ha smascherato i reali interessi della classe dominante, che non mettono al centro il benessere collettivo ma la tutela dell’economia e del guadagno di pochi.
Così gran parte del movimento No Green Pass oggi non ha più fiducia nel governo, in quello che dice Draghi e l’Unione Europea, anche sull’analisi che provano ad inculcare del conflitto in Ucraina. Tanti di loro hanno partecipato le piazze del 25 aprile contro la guerra, contro la NATO e contro l’imperialismo di casa nostra. Questo dà spazio di azione ai compagni per poter portare un punto di vista di classe sulle contraddizioni interimperialiste, con persone particolarmente recettive nell’avere altre spiegazioni che non siano il mantra quotidiano che impongono nei mezzi di comunicazione istituzionali.
Lo sdoganamento e il consenso che i governi del blocco atlantico stanno portando ai nazisti in Ucraina, inizia a riversarsi nei nostri territori. Durante le mobilitazioni contro la guerra in diverse occasioni esponenti della destra ucraina hanno cercato di egemonizzare le iniziative, anche assaltando i palchi, puntando a trasformare le manifestazioni per la pace in iniziative pro NATO.
I fascisti si sentono liberi e impuniti di poter alzare la testa e muoversi indisturbati. Stiamo già vedendo in diverse città aggressioni da parte di nazi ucraini contro chi prova a portare in piazza una narrazione diversa, in solidarietà al popolo del Donbass e contro gli interessi del blocco atlantico su questa guerra. Nelle settimane scorse abbiamo visto Bologna che primeggia su tutti, dove dei fascisti ucraini si sentono liberi di poter schedare compagni, fino a pedinare una compagna che stava rientrando a casa, con il chiaro tentativo di stuprarla.
Uscendo dal confine italiano abbiamo visto aggressioni in tutta Europa, addirittura in Portogallo i nazisti ucraini hanno marciato contro la Russia, chiedendo lo scioglimento del partito comunista portoghese, a dimostrazione che la porta spalancata a Kiev alle forze naziste e che voleva essere rivolta in funzione anti – russa, si riverserà a casa nostra e contro i compagni. Altro dato da tenere in considerazione sarà, una volta terminato questo conflitto, il ritorno di tutti i mercenari che sono andati a combattere in Ucraina, armati fino ai denti. È necessario costruire fin da subito un chiaro e netto passaggio di antifascismo militante, perché non è detto che la tranquillità di fare iniziative che conosciamo oggi, duramente conquistata in tante città, rimanga la stessa.
Anche se, come si accennava inizialmente, la guerra sta travolgendo gran parte delle nostre vite e quindi delle mobilitazioni, tutte le contraddizioni che vivevamo fino a febbraio continuano ad esistere, se non ad essere aggravate. Con gioia da inizio anno sono ripartite le mobilitazioni studentesche con decine di scuole occupate e cortei con numeri che non si vedevano da anni. La morte di due ragazzi in PCTO (ex alternanza scuola – lavoro) ha visto una pronta risposta da parte degli studenti di tutta Italia, carichi, determinati, e che in diverse situazioni hanno giustamente rivolto la loro rabbia contro i mandanti di queste morti: confindustria e la nostra classe dirigente. La repressione si è fatta immediatamente sentire e pochi giorni fa sono state attuate delle misure cautelari preventive a ragazzi poco più che maggiorenni a Torino. Lo Stato che mette in carcere deiragazzi che – giustamente – sono incazzati per la morte di due loro coetanei che, invece di essere a scuola, si trovavano a lavorare (oltretutto senza retribuzione), da un chiaro segno dei tempi che stiamo vivendo. Cariche a freddo della celere in piazze colme di ragazzini, oltretutto nella maggior parte dei casi pacifiche, lascia intendere che non vogliono più lasciar spazio a nessun tipo di mediazione.
CONCLUSIONI
Quanto descritto finora impone delle riflessioni importanti.
Innanzitutto il conflitto in corso in Ucraina mostra come la contraddizione principale a livello mondiale stia cambiando. Se fino a ieri la principale faglia di conflitto era quella tra potenze imperialiste e popoli e nazioni oppresse in cui i contrasti tra formazioni imperialiste dominanti si giocavano per interposta persona, oggi il conflitto è apertamente tra potenze imperialiste.
Il fatto che la contraddizione si sia spostata ed assuma i connotati di scontro aperto tra imperialismi non è una semplice constatazione di “geopolitica”. L’importanza di cogliere questo aspetto sta nelle ricadute che a cascata si determinano e si determineranno da subito tra e all’interno delle formazioni in gioco.
Tra le formazioni in gioco in quanto si vanno riunendo le condizioni dello scoppio di un nuovo conflitto mondiale che avrà, come nei due conflitti mondiali precedenti, il risultato di ripartire con un nuovo ciclo di accumulazione capitalistica sulla morte di milioni di persone e sulla distruzione di enormi quantità di forze produttive. Sempre che qualcosa rimanga… ma ai grandi capitani dell’industria e della finanza e ai vecchi stati imperialisti, USA in testa, che stanno puntando all’escalation del conflitto questo sembra importare ben poco.
All’interno delle formazioni ogni decisione politica ed economica verrà piegata alle esigenze del conflitto distraendo risorse dallo stato sociale, verrà rieditato il keynesismo di guerra che imporrà tagli a sanità, istruzione, territorio. Emblematico il caso che una settimana dopo aver deciso di adeguare le spese militari secondo gli accordi NATO il nostro paese abbia subito tagliato i fondi per l’istruzione per 7 Mld di euro nei prossimi tre anni.
E poiché quando gli stati si preparano alla guerra necessitano della massima coesione e consenso interno, è in questa chiave che dobbiamo leggere l’aumento esponenziale del controllo sociale e politico esercitato tramite la repressione del dissenso interno e la disgustosa propaganda mainstream che mette all’angolo ogni voce critica verso la guerra. Più la guerra diventa imminente, più l’autoritarismo statale diventa esplicito e seda qualsiasi forma di critica o ribellione, appiattisce ogni forma di lotta interna, per poter concentrare tutte le forze sul fronte esterno. La corsa agli armamenti, la propaganda estremamente belligerante, l’individuazione e la costruzione di un grande nemico comune, ci fanno pensare che effettivamente in guerra ci siamo già e dobbiamo armarci ideologicamente e politicamente per non farci trovare impreparati nella nuova fase che stiamo vivendo.
Insomma siamo di fronte ad cambio di fase epocale che avrà ricadute pesantissime in termini di condizioni di vita, lavoro, stato sociale, distruzione di risorse a tutto ed esclusivo interesse delle classi dominanti.
Il primo compito che come comunisti dobbiamo mettere al centro della nostra azione è quello di costruire ambiti comunisti in cui sviluppare un’analisi dell’imperialismo e della sua crisi al fine di dotarsi di una linea rivoluzionaria sulla guerra; il secondo è promuovere e appoggiare la resistenza popolare contro la guerra proponendo, a seconda delle possibilità concrete, momenti di dibattito, di organizzazione e mobilitazione volti a sensibilizzare e raccogliere settori di classe (lavoratori, studenti, masse popolari) sviluppando linee particolari (esempio scuola-guerra) nella lotta contro il piano guerrafondaio della Nato fatto proprio dal governo Draghi.
In generale il nostro obiettivo deve essere quello di fermare, sabotare, ostacolare in ogni modo la guerra imperialista costruendo gli ambiti e dotandoci degli strumenti necessari che concretamente possano mettere i bastoni tra le ruote a chi sta facendo di tutto per portarci in guerra. Coscienti che ciò serva ad accumulare le forze necessarie, nel caso l’escalation promossa dagli USA ci porti al conflitto aperto, a trasformare la guerra dei padroni in rivoluzione socialista. Perché solo facendo e vincendo la guerra contro le nostre classi dominanti potremo riuscire a conquistare un mondo senza più guerre, classi e sfruttamento.
In questo crediamo che un tributo particolare e un esempio concreto da seguire lo troviamo nelle popolazioni del Donbass che si sono opposte al golpe fascista del 2014, che da 14 anni resistono ai bombardamenti di Kiev che hanno comportato 14000 morti in 8 anni, che stanno rispolverando e innalzando nuovamente le bandiere rosse della vittoria proletaria e che proprio grazie a loro i piani degli imperialisti USA hanno trovato filo da torcere.
DOWNLOAD