Note di fase n.27
Febbraio 2022
IL CONTESTO INTERNAZIONALE
La crisi economica aggravata dalla pandemia ha trovato come principale risposta l’indebitamento pubblico da parte dei singoli stati, andando addirittura a rompere, all’interno dell’aggregato Ue, il cosiddetto “patto di stabilità”, cioè il limite del 3% del deficit e il 60% del rapporto debito/pil.
Tutti i paesi si sono trovati a dover aprire i rubinetti dell’indebitamento con lo scopo di contenere l’aggravamento della crisi economica e le sue conseguenze sociali, nel contesto determinato dall’epidemia, nell’ottica sopratutto di prevenzione dell’acuirsi dello scontro di classe.
In questa fase la linea “ordoliberista”, egemone principalmente nell’Ue, ha lasciato il passo per politiche più propriamente di carattere keynesiano. Queste politiche declinate poi dai vari aggregati in diverse maniere, all’interno di quello europeo assume la forma del Next Generation Ue, hanno l’obiettivo di guidare dall’alto con fondi pubblici il rinnovamento strutturale e produttivo del capitalismo, nell’ottica di frenare la caduta tendenziale del saggio di profitto.
Queste manovre stanno tenendo banco in questa fase e l’alto afflusso di capitali all’interno del tessuto produttivo secondo il vecchio adagio di socializzare le perdite e privatizzare i profitti, sta drogando una generale ripresa delle varie formazioni capitaliste, le quali devono confrontarsi però con un aumento crescente della spirale inflazionistica e delle materie prime.
Negli ultimi dieci anni le banche centrali di tutto il mondo avevano azzerato i tassi di interessi con l’obiettivo di rendere meno caro il costo del denaro e spingere l’immissione di liquidità all’interno del circuito creditizio, rassicurando quindi il mercato sulla solvibilità degli istituti di credito. Queste politiche, nate in risposta agli avvitamenti della crisi della fase precedente, hanno determinato un aumento impressionante di capitale finanziario, creando le condizioni per la formazione delle cosiddette “bolle” pronte ad esplodere.
L’attuale spirale inflazionistica che si è affacciata sul finire del 2021 e che tutti gli analisti definivano passeggera è andata via via ad aumentare arrivando a numeri che stanno mettendo in allarme le varie economie, in primis quella Usa, che vede avvicinarsi lo spettro della stagflazione, ovvero bassa crescita in concomitanza di un alta inflazione.
In genere, a fronte di un aumento della dinamica inflattiva, le banche centrali per cercare di raffreddare quest’ultima, operavano tramite l’aumento dei tassi di interesse. Ma nella fase attuale, il capitalismo è in un vicolo cieco, non potendo aumentare i tassi di interesse per paura di compromettere la ripresa post — pandemica e per non intimorire i mercati. Basti vedere come dopo una dichiarazione in questo senso da parte della Fed, Wall Strett è andata immediatamente in rosso, così come le borse europee dopo una dichiarazione di Cristine Lagarde su un possibile aumento degli stessi a marzo di quest’anno. Inoltre, un aumento dei tassi di interesse andrebbe a pesare direttamente sull’indebitamento degli stati e sulle politiche keynesiane, vanificando le prospettive di rilancio del capitalismo, incluso quello europeo.
L’attuale spirale inflazionistica non cade dal cielo, ma è il prodotto dei Quantitativ Easing spinti al parossismo, dell’aumento del costo delle materie e dei colli di bottiglia sul piano della produzione e della circolazione delle merci che si sono venuti a delineare con la rottura delle catene del valore e degli approvvigionamenti con la pandemia. È chiaro ed evidente, quindi, come le contraddizioni economiche portino nella direzione di un aggravamento delle contraddizioni tra potenze, nella misura in cui i margini per una risoluzione delle prime è sempre più difficile con gli strumenti ordinari e straordinari della finanza e gli spazi del compromesso tra aggregati capitalistici in contrapposizione si fa sempre più ristretto.
UCRAINA: LE RAGIONI DI UNA CRISI
In relazione a quanto fin qui detto circa l’avvitamento della crisi ci sembra utile centrare l’analisi delle questioni internazionali sul panorama ucraino; se non altro perché qui si evidenziano le origini del malessere sociale e di crisi sistemica legati al rincaro delle materie prime e delle bollette.Così come si evidenziano in questo momento i contrasti tra potenze imperialiste che adombrano lo sviluppo della tendenza alla guerra.Basta guardare una cartina per rendersi conto delle continue mire espansionistiche della Nato a Est. Dal 2004 con l’ingresso di Lituania, Estonia e Lettonia nell’alleanza atlantica, la Federazione Russa confina direttamente con paesi aderenti al Patto Atlantico. La strategia di accerchiamento è evidente e l’ingresso dell’Ucraina e la destabilizzazione del regime bielorusso sono le ultime due mosse per completare il progetto. L’amministrazione Biden da questo punto di vista ha sconfessato la politica di Trump che definiva la Nato un relitto della guerra fredda e tentava di mantenere una sorta di neutralità con la Russia per concentrare gli sforzi economici e militari contro il colosso cinese.Quella di Biden è un ritorno alle vecchie prassi imperialiste con il tentativo di riallineamento di tutto il fronte occidentale in chiave anticinese e antirussa.Questo scenario geopolitico collima perfettamente con le questioni di approvvigionamentoenergetico che si giocano in quel quadrante del mondo. In ballo c’è il controllo delle forniture di gas in Europa che dipendono per il 38% dal gas russo e che dalla metà del 2021 sono in costante diminuzione.
I principali gasdotti che collegano la Russia ai paesi europei passano per l’Ucraina, che è allo stesso tempo un forte importatore di gas (e debitore) della Russia, ma anche un fondamentale snodo di passaggio per le forniture russe dirette ai sempre più dipendenti paesi europei. La politica di “tenere alla canna del gas” i paesi europei ha provocato un’impennata dei prezzi in tutto il vecchio continente che si è tradotto in un aumento spropositato delle bollette. A poco, fino ad ora è servita la contromossa di Biden di rifornire di GNL (gas naturale liquido) 1’ Europa tramite navi cisterna.L’attacco agli interessi russi ha provocato anche un’ulteriore saldatura dell’asse Mosca-Pechino.Questa è stata sancita con la grande rappresentanza dei russi ai giochi olimpici cinesi, le dure parole di condanna dei vertici cinesi e le rassicurazioni date a Putin circa la possibile esclusione dalla rete swift minacciata da Usa e Ue che collega più di 11000 banche nel mondo in oltre 200 paesi.L’eventuale esclusione verrebbe controbilanciata dall’accelerazione del progetto da parte di Pechino di un sistema alternativo a quello a guida occidentale.La Cina guarda con interesse questa partita, anche per scrutare le intenzioni Usa su un’eventuale soluzione militare della questione di Taiwan, possibile casus belli nel conflitto Usa-Cina.L’imperialismo europeo anche in questa situazione mostra tutte le contraddizioni di una borghesia che storicamente alleata degli Usa, da un po’ di tempo tuttavia, ha stretto partnership economiche e commerciali con Russia e Cina.A riprova di ciò va letto l’atteggiamento tedesco che in sede diplomatica condanna la possibile invasione dell’Ucraina e contemporaneamente vieta il passaggio di truppe e mezzi militari nel suo territorio destinati a difendere Kiev; rassicura il governo ucraino che il gas destinato ai tedeschi continuerà a passare dal suo territorio, ma accelera anche il processo di costruzione del Nord Stream 2 che porterà il gas direttamente dalla Russia alla Germania.Anche l’Italia è riluttante a gettarsi a capofitto nella difesa di Kiev, nonostante Draghi si sia dato il ruolo di riportare il paese al filoatlantismo senza se e senza ma, dopo gli anni del governo Conte che strizzava l’occhio a un protagonismo italiano nella nuova via della seta cinese.Si è tenuto infatti a fine gennaio l’incontro in video conferenza tra Putin e 16 tra i più importanti rappresentanti dell’imprenditoria italiana: da Unicredit e Generali, alla Pirelli e Marcegaglia a dimostrazione che una frazione notevole della borghesia italiana non è disposta a rinunciare alle fruttuose relazioni economiche tenute con Mosca.
Dal lato della classe operaia, la crisi del gas è stato il detonatore che ha fatto esplodere la rivolta degli operai e dei minatori in Kazakistan. L’aumento del 100% del costo del gas ha messo in marcia in tutto il paese le masse popolari sotto la guida delle centrali operaie per rivendicare l’aumento dei miseri salari percepiti e attuare un blocco degli aumenti delle bollette. Da qualcuno la rivolta kazaka è stata bollata di essere l’ennesima rivoluzione arancione a guida occidentale volta a destabilizzare i paesi partner della Russia. Come compagni della rivista Antitesi non abbiamo elementi per escludere il tentativo da parte di qualche centrale imperialista di utilizzare a proprio vantaggio la situazione kazaka tuttavia siamo sicuri però della genuinità della mobilitazione delle masse popolari e della correttezza delle loro rivendicazioni. E’ compito dei comunisti orientare e dirigere le mobilitazioni popolari verso parole d’ordine e obiettivi rivoluzionari.Nel contesto dell’accelerazione degli eventi in molte parti del mondo, la situazione ucraina è solo la più evidente e conosciuta, mostra che la contraddizione tra gli stati imperialisti in lotta per le materie prime, le risorse energetiche e per l’apertura di nuovi mercati si fa sempre più grave e diventi centrale in questa fase. Quelle che fino ad oggi erano partite giocate sul terreno della contesa finanziaria e commerciale trovano l’unico e naturale sbocco nella guerra come unica soluzione per la sopravvivenza di un capitalismo in crisi e incapace di valorizzare i capitali investiti.Compito dei comunisti è incunearsi in questa contraddizione per trasformare la tendenza alla guerra imperialista in occasione per la rivoluzione proletaria. Che questa sia la strada da seguire lo testimoniano le rivoluzioni vittoriose del secolo scorso.
SITUAZIONE ECONOMICA NAZIONALE
Mario Draghi è l’uomo della provvidenza per la borghesia italiana. La chiusura del 2021 ha registrato un aumento del Pil del + 6,5%, un dato che ha superato le stime semestrali del Ministero delle Finanze. La crescita economica italiana è stata superiore a quello di tutti gli altri stati dell’ Eurozona, che invece si è attestato con una media attorno al + 4,6%. Secondo le stime degli analisti a metà del 2022 si dovrebbero recuperare i livelli macroeconomici pre Covid.
Questi dati hanno permesso a Draghi di incassare gli elogi della stampa internazionale e la valutazione positiva delle più grandi agenzie finanziarie di rating, in ultimo Ficht, che ha alzato l’outlook sul debito italiano a dimostrazione che c’è ampia fiducia internazionale attorno a Mario Draghi e alla sua capacità di gestione della crisi.
Attorno a questo plauso generale concorre oltre al dato sul Pil, quello sull’avanzamento dei 51 tra target (traguardi) e milestone (obiettivi) legati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pilastro strategico della classe dominante e che ha permesso all’esecutivo di poter chiedere l’invio di una nuova tranche dei fondi europei per il 2022.
A spingere la ripresa concorrono diversi fattori: il rimbalzo consecutivo alle chiusure, l’immissione di capitali per spingere la domanda in alcuni settori chiave come le costruzioni, le quali non a caso hanno guidato la ripresa assieme ai servizi di informazione e comunicazione e l’industria, una ripresa generale a livello mondiale che ha trainato soprattutto l’export. Le misure già in essere, come gli incentivi per l’industria 4.0, così come le varie misure di sgravi fiscali per i padroni, hanno creato una situazione di instabilità controllata favorevole ad una ripresa della produzione, nello specifico in quei settori che nei fatti in questi due anni di pandemia non si sono mai fermati o hanno risentito meno delle chiusure.
Dietro a questo piccolo boom economico si cela l’enorme fragilità della congiuntura economica nazionale. Va sottolineato infatti che l’aumento del Pil è strettamente legato al rimbalzo successivo alle chiusure e che quest’effetto tenderà a stabilizzarsi al ribasso con il venir meno di misure come lockdown. Infatti per il 2022 le previsioni più ottimiste sono di una crescita attorno al + 4%. Sul piano della produzione industriale aleggiano nubi scure legate ai problemi degli approvvigionamenti e agli aumenti del costo dell’energia, tanto che già a dicembre 2021 la produzione segna un — 1%. Questioni non di poco conto se pensiamo che nei settori altamente energivori come quelli che producono acciaio, vetro, carta o ceramica, alcune aziende hanno deciso di prolungare le ferie natalizie o organizzare la produzione in funzione delle fasce orarie meno onerose. Per ora si tratta ovviamente di palliativi, ma la questione pesa come un macigno, al pari delle strozzature nelle catene di forniture, che hanno portato diverse aziende a ricorrere a chiusure, ferie forzate o cassaintegrazione. Il mito della globalizzazione dei mercati si è schiantato contro le misure che i vari stati hanno assunto per far fronte alla pandemia, le quali hanno fatto saltare tutte le catene di approvvigionamento e creato dei picchi di domanda che hanno spinto i prezzi alle stelle.
Su questo anche in Italia è partito un dibattito sul rientro delle produzioni strategiche e sull’accorciamento delle catene di fornitura. Ma per ora, gli unici a farne le spese, sono i lavoratori proprio di quelle industrie che le case madri stanno decidendo di ricollocare all’estero, come nel caso di Gkn o di Speedline, ma questo fenomeno potrebbe riguardare tutto il settore di fornitura dell’automotive, aggravato dal disimpegno o ridimensionamento di Stellantis dagli stabilimenti italiani. A queste si aggiungono gli altri 67 tavoli di crisi al Mise.
Dal punto di vista del lavoro va registrato come questa ripresa stia portando in dote l’aumento esponenziale del lavoro a termine. Gli ultimi dati Istat sono lampanti in questo senso: pur recuperando lentamente i posti di lavoro pre-pandemia, questi sono per la quasi totalità precari, a dimostrazione che la “crescita” è ottenuta tutta sulle spalle dei lavoratori che vedono in caduta libera, diritti e salari, gravati quest’ultimi da una dinamica inflattiva che ne erode il potere d’acquisto.
A mettere i bastoni fra le ruote alla tanto sbandierata ripresa, va anche segnalato che per aggiudicarsi i prossimi finanziamenti il governo dovrà rispettare un crono programma strettissimo, che riguarderà il doppio di scadenze rispetto a quelle dell’anno appena trascorso e sui quali pesano i dossier sulla transizione energetica e la digitalizzazione della pubblica amministrazione. Il meccanismo di erogazione del Next Generation Ue non lascia vie d’uscita: pena la sospensione dell’erogazione, ogni stato deve trimestralmente dimostrare di fare le cose e che le cose che fa hanno un impatto quantitativo sul piano economico. Mentre nel 2021 il governo Draghi, tramite un abile gioco delle tre carte ha fatto rientrare tra i target e i malestone interventi già programmati e stanziati, nell’anno in corso l’esecutivo non potrà contare su questi giochetti.
In definitiva possiamo dire che indubbiamente dal punto di vista congiunturale l’economia vede una ripresa importante, ma va compreso soprattutto quanto sia effimera, instabile e già compromessa da inflazione in crescita e aumento delle materie prime. Un ulteriore aggravamento della crisi è una possibilità concreta insita in ogni passaggio che il governo deve affrontare.
Una ripresa i cui benefici sono a totale ed esclusivo vantaggio del grande capitale industriale e finanziario dato che nel contesto della gestione della crisi pandemica assistiamo ad un aumento vertiginoso del divario della ricchezza a discapito di proletari, lavoratori e piccola borghesia urbana.
L’aumento vertiginoso della povertà, il dilagare dei licenziamenti, la chiusura di un numero notevole di piccole attività commerciali, la precarietà dei contratti di lavoro sempre più diffusa, lo stato sociale sempre più rarefatto sono il risultato di ciò che Draghi e il suo governo intendono quando si parla di ripresa.
LE CONTRADDIZIONI ALL’INTERNO DELLA BORGHESIA
La condizione di instabilità economica latente si riflette sul piano politico istituzionale in instabilità latente del quadro politico e dell’egemonia della classe dominante. Lo squallido teatrino in merito all’elezione del Presidente della Repubblica ne ha messo in luce l’ampiezza e la profondità. La rielezione di Mattarella per il secondo mandato, così come fu per Napolitano, rappresentano una forzatura dell’architettura dello stato necessaria a preservare una stabilità politica che altrimenti non ci sarebbe.
Queste, come altre forzature, sono sintomo della difficoltà della classe dominante di gestire la fase con la forma che lo stato borghese ha attualmente. Il tendenziale avvitamento in senso autoritario della forma stato è ben visibile nell’uso prolungato dei Dpcm, così come il continuo ricorso al voto di fiducia in parlamento o il susseguirsi di governi, nominati dal Presidente della Repubblica, che pesca i propri uomini dalla burocrazia imperialista. Si comprende quindi come la figura di Mattarella fosse fondamentale per dare continuità, a prescindere dalle scadenze elettorali, all’azione dell’attuale governo, evidenziando inoltre come nel contesto della crisi siano i poteri economici a prendere il sopravvento.
La cosiddetta politica istituzionale, i partiti politici, le velleità e la legittimità del parlamento sono intralci che vanno sacrificati quando si tratta di imporre i diktat economici e ripristinare quel saggio di profitto tanto caro al grande capitale. In questo quadro va ricercata la matrice che ha prodotto quelle scene tragicomiche tra i partiti politici, risolte poi nel prosieguo del duo Mattarella — Draghi, la miglior incarnazione oggi possibile per garantire al sistema capitalistico italiano di tentare di rigenerarsi.
L’ATTACCO ALLE CONDIZIONI DI VITA DELLE MASSE E LA LORO MOBILITAZIONE
Il tendenziale accentramento dei poteri verso figure strettamente legate all’economia si evidenzia anche con la gestione autoritaria della pandemia, usata dalle classi dominanti, che sentono sul collo il crescente malcontento delle masse popolari, per chiudere spazi di agibilità alla lotta di classe con i divieti a manifestare, le multe, le denunce, i divieti di assemblea per gli studenti e, dove ciò non bastasse, con la repressione esercitata a suon di cariche, processi e manganellate.
L’aumento del costo della vita e l’aggravarsi della svolta autoritaria nei confronti delle masse sono mosse necessarie e obbligate che la controparte deve fare per affrontare l’avvitarsi della crisi economica. In molti casi però queste manovre hanno fatto esplodere un mal contento e una rabbia che non si vedevano da tempo.
In testa il protagonismo dei lavoratori che in questi mesi abbiamo visto scendere nuovamente in campo travolti da chiusure, licenziamenti, cassa integrazione e delocalizzazioni, e che in diverse fabbriche hanno dovuto rimboccarsi le maniche e scendere in strada e davanti ai cancelli.
L’esempio della Gkn ha fatto scuola e altre realtà operaie come la Caterpillar di Jesi stanno prendendo esempio mettendo in piedi presidi e picchetti fuori dalle fabbriche. Lo slogan “Insorgiamo” ha sicuramente travalicato i limiti della fabbrica fiorentina, trovando eco in un corteo di 40 mila persone e rimettendo al centro un discorso politico e complessivo, non riducendo la trattativa ad una singola vertenza. Perché è solo riuscendo a mettersi insieme, denunciare e opporsi alla complessità dei meccanismi economici che regolano questo sistema che si può pensare effettivamente di cambiare le cose e vincere. Il processo di dislocamento dei poli industriali sta avendo un’accelerazione considerevole, e gli operai fiorentini hanno dato l’esempio di quale sia il modo giusto per opporsi dentro e fuori le fabbriche.
In risposta alla gestione autoritaria della pandemia, il movimento No Green Pass continua la propria mobilitazione; per quanto ridimensionata rispetto al periodo autunnale, migliaia di persone continuano a scendere in piazza in tutta Italia, da Nord a Sud, per protestare contro una gestione che ha effettivamente poco a che fare con la questione sanitaria. Siamo di fronte ad un movimento eterogeneo, con mille posizioni e alcune sicuramente molto fantasiose, ma il sentimento che accomuna tutte queste persone è una sfiducia nei confronti di un governo che porta avanti un modello sociale basato sul profitto: in un mondo in cui tutto è merce anche la medicina e la sanità rispondono alle stesse leggi di mercato. L’abbiamo visto negli ultimi vent’anni di tagli alla sanità pubblica e lo vediamo ancora oggi, in piena pandemia, dove la voce principale su cui investire le finanze è “Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e Cultura” e non lo Stato Sociale.
Nell’ultimo periodo anche il protagonismo studentesco è riemerso. I giovani, a cui è stato tolto un futuro già da anni, incanalandoli fin da subito in un sistema di produzione in cui il singolodev’essere manodopera, tendenzialmente poco pensante, in questi due anni hanno visto il palesarsi, ancora più smaccato, del totale disinteresse della classe dominante nei confronti della scuola e dell’istruzione. Gli istituti sono stati i primi a chiudere battenti, sono diventate zone militarizzate, posti dove tutto lo squallore di questa società è venuto a galla. La morte di Lorenzo Parelli ha riaperto lo scontro sul PCTO (ex alternanza scuola-lavoro) e sulla parola d’ordine “basta sfruttamento” nelle grandi città sono stati occupati diversi istituti e dato vita a cortei importanti, nei quali contenuti prettamente studenteschi, come le scuole fatiscenti, il disagio legato alla didattica a distanza si sono legati a questioni operaie, come le morti sul lavoro e lo sfruttamento gratuito delle giovani generazioni. Tutte queste mobilitazioni hanno visto una reazione delle istituzioni e delle forze dell’ordine spropositata, sia dal punto di vista repressivo che mediatico. Manifestazioni che fino a qualche anno fa avrebbero sfilato per le strade indisturbate hanno visto pesanti cariche della celere. La gestione della Lamorgese, alla caccia degli infiltrati e pronta alle montature mediatiche attorno a soggetti la cui pericolosità consiste solamente nel tentativo di opporsi allo stato di cose cui sono costretti a vivere, ci dà la misura dei tempi. La borghesia non vuole e soprattutto non può più concedere neanche una briciola; la strada del riformismo è fallita e le concessioni per acquietare la classe sono sempre più erose all’osso.
In sintesi la classe dominante del nostro paese si trova in piena offensiva contro la classe lavoratrice e punta a fare tabula rasa delle conquiste storiche, sia in termine di livelli salariali che di stato sociale. Il tentativo ampiamente dichiarato è quello di ristrutturare il sistema capitalista in crisi, nelle forme storicamente date oggi questo si declina nell’industria 4.0, nella transizione energetica, ecc.; ma nella sostanza resta quello descritto da Marx ben un secolo e mezzo fa: ripristinare il saggio di profitto approfondendo il saggio di sfruttamento dei lavoratori ripristinando e riorganizzando le catene del valore da cui estrarre profitti.
In questa comice si pone con sempre più forza ed evidenza il problema di come riuscire a far fronte alla situazione cercando di uscire dalle secche della dinamica difensiva che seppur importante, del tutto necessaria e significativa, abbiamo visto essere troppo debole e insufficiente per porre un argine al livello di attacco imposto.
Quello che emerge dalle lotte più significative che si sono date nell’ultimo periodo è che nonostante i numeri portati in piazza, la determinazione messa in campo e i tentativi generosi di radicalizzare il conflitto, la classe dominante non arretra di un millimetro e anzi rilancerà con 1’ implementazione della seconda parte del PNRR e cioè con una nuova tornata di attacchi alle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari già abbondantemente compromesse dai precedenti attacchi, dal caro bollette e dall’inflazione che avanza.
Le delocalizzazioni non si fermano, nuovi licenziamenti sono alle porte, il Green Pass non viene ritirato, gli studenti medi che tornano a riempire le piazze contro i morti causati dall’alternanza scuola-lavoro vengono prontamente caricati e repressi, i lavoratori in lotta continuano a sentire il peso delle manganellate davanti ai cancelli.
Quello che la classe dominante va dicendo a chiare lettere è che non c’è più spazio per le rivendicazioni e per le riforme a favore dei lavoratori e che tutta la ricchezza e le forze sociali devono essere usate per la ristrutturazione del capitale a discapito delle masse popolari. Punto e basta.
CONCLUSIONI
Crediamo che oggi le generose lotte dei lavoratori e degli studenti debbano porre ai comunisti il compito di indicare la prospettiva e la strada corretta da praticare.
Il primo compito da riuscire a svolgere è quello di rompere gli argini che il riformismo ha eretto attorno alle lotte. Argini purtroppo robusti, costruiti sul riflusso del fiume rivoluzionario degli anni ‘70 e ‘80 e che hanno annichilito ogni orizzonte di prospettiva socialista in grado di rompere definitivamente con il sistema esistente.
Va considerato che la sostanza del riformismo storico del Pci e del sindacalismo confederale, che ancora si perpetua principalmente tramite la Cgil, si rinnova oggi sotto diverse vesti nel neo — riformismo, i cui tratti vanno ben identificati, convinti che “le idee giuste si affermano lottando e combattendo contro le idee sbagliate”. Vogliamo evidenziarne qui solo alcune delle manifestazioni più importanti considerando che il riformismo e il neo-riformismo, in quanto politiche in mano alle classi dominanti per assopire le masse in lotta e pratica politica di chi si rifiuta di considerare qualsivoglia opzione rivoluzionaria, ha mille sfaccettature nelle politiche di contenimento del dissenso e di cogestione della crisi del capitalismo e ha possibilità di perpetuarsi nonostante lo spazio economico vada restringendosi e sopravviva solo negli interstizi delle politiche di indebitamento.
Un primo aspetto si mostra ogni qualvolta si tenti di dividere i fronti di lotta, ad esempio attaccando le mobilitazioni No Green Pass come fasciste, retrograde, complottiste non vedendo minimamente che a prescindere dalla coscienza che questa parte delle masse ha di sé è evidente che sia oggettivamente contro il governo in carica. Non puntare al massimo allargamento possibile del fronte contro il nemico di classe in nome di un purismo ideologico di facciata, rivela quanto sia miope l’analisi sulla profondità dello scontro di classe in atto e quanto poco si voglia puntare a interpretare il movimento composito e a volte anche scomposto delle masse in funzione della rottura radicale con il sistema borghese.
Un secondo aspetto del neo — riformismo emerge tra quelle soggettività che hanno più a cuore lapropria autorappresentazione gruppettara che lo sviluppo di un ampio movimento di lotta. Queste soggettività mirano all’egemonia e al controllo dei movimenti in lotta al fine di utilizzarli strumentalmente come rapporto di forza da mettere al tavolo della trattativa. I movimenti di lotta secondo queste forze, devono applicare meccanicamente le parole d’ordine elaborate secondo uno schema soggettivista lontano dal metodo della linea di massa che presuppone anzitutto saper ascoltare e fare inchiesta. Il risultato scade in un economicismo del tutto inconcludente: liste della spesa rivendicative da presentare al nemico di classe, presunzione di formulare parole d’ordine generali sul mero piano economico che non hanno alcuna incidenza nel rapporto di forza tra le classi, sviluppo oggettivo di una dinamica riformista che inibisce il sorgere di un’ipotesi di rottura sistemica con il modo capitalista di produrre.
Infine la questione della rappresentazione istituzionale: ciò che di più folle possa esserci in questa fase politica. “Qualcuno” additò di “cretinismo parlamentare” chi oggi ripropone dinamiche paraistituzionali fuori tempo massimo. La classe dominante, come già detto, ha fatto ben capire che non intende concedere nulla e riteniamo fuorviante e deprecabile ai fini dello scontro di classe gioire per l’acquisizione transfuga di qualche parlamentare o partecipare al miserabile teatro circa le elezioni del Presidente della Repubblica proponendo improbabili candidati, per altro antiabortisti.
Pensare di dare prospettiva istituzionale alle lotte se un tempo era riformismo controrivoluzionario, oggi è solamente cretinismo che semina illusione e disillusione tra i lavoratori e le masse in lotta.
Questi ci sembrano oggi i tratti principali di quel neo-riformismo che impedisce al movimento di classe di avanzare verso una rottura radicale con il sistema capitalistico vigente.
Per quei compagni che vogliano lavorare alla costruzione di una prospettiva rivoluzionaria per la classe proletaria, la lotta contro queste pratiche politiche diviene una necessità.
Per “colmare il ritardo” serve sviluppare un altro tipo di pratica politica che rompa gli argini del neo-riformismo lasciando scorrere il fiume delle masse, che sia in grado di comprendere e indirizzare tutto ciò che si muove contro il principale nemico di classe, che non ponga se stessa al centro dell’azione ma se stessa in dialettica con il movimento reale delle masse in lotta, che sia in grado di costruire nel fuoco della lotta la prospettiva della rottura con le classi dominanti a partire dalla convinzione che non ci accontenteremo di ottenere poche briciole nel contesto del permanere del sistema capitalista, ma che vogliamo tutto tramite il suo affossamento definitivo e la sua messa storica al bando.
Crediamo cioè che il fondamentale terreno della lotta sindacale, economica e difensiva vada considerata come un piano tattico all’interno di un più ampio quadro strategico che veda nella rottura politica con le istituzioni borghesi il suo punto focale.
Siamo anche convinti che tradurre tutto ciò in percorsi reali e pratiche politiche e di lotta non sia così semplice ed immediato, ma che da qui occorra ripartire e sperimentare per lo sviluppo di un movimento rivoluzionario socialista.
L’opposizione ai venti di guerra che imperversano, la resistenza alla svolta autoritaria che le classi dominanti stanno implementando, l’opposizione ai piani di ristrutturazione del capitale rappresentati nel PNRR, il sostegno e l’organizzazione delle lotte dei lavoratori e degli studenti che vanno crescendo su tutto il territorio nazionale sono i principali terreni di questa fase attorno cui mobilitarci e mobilitare la classe promuovendo in essa la necessità e la convinzione che la conquista di un mondo senza guerra, classi e sfruttamento passa solo tramite il superamento/abbattimento del sistema capitalista vigente.
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