Inchiesta, Militarismo
“Glossario” da Antitesi n.15 – pag.86
Inchiesta
Intendiamo il termine inchiesta nella sua accezione maoista.
Chi non fa inchiesta non ha diritto di parola, non ha diritto di parola nemmeno chi fa inchieste sbagliate: questa è l’indicazione lasciataci in particolare dal compagno Mao Tse Tung e dall’esperienza della rivoluzione cinese.
Ma cosa si intende per “fare inchiesta”?
Fare inchiesta significa studiare a fondo il problema che si deve risolvere: sia esso una questione di intervento tra le masse, sia esso interna all’organizzazione e al dibattito tra compagni. La questione è politica e strettamente legata all’applicazione della linea di massa, che è un metodo di direzione e di lavoro dei comunisti [vedi La linea di massa, Antitesi n° 12, pp. 70 ss].
L’inchiesta non è mai fine a sé stessa o utile solamente ad accrescere la conoscenza intellettuale, essa deve essere orientata da un obbiettivo concreto, poiché come comunisti seguiamo il principio della conoscenza come unità dialettica tra teoria e pratica. Si tratta di un metodo del materialismo dialettico per conoscere la realtà e avvicinarsi alla verità tramite il progredire di verità relative.
L’inchiesta è alla base dell’applicazione della linea di massa: è una delle sue fasi (inchiesta sulla base dell’obiettivo, elaborazione dei dati raccolti, indicazioni da riportare per lo sviluppo del nostro lavoro) e, come l’intera linea di massa, risponde alla concezione di cercare la verità nei fatti.
Quindi, per risolvere un problema, per stendere un piano di lavoro, per lanciare un appello, per fare una rettifica del lavoro politico ecc. il primo passo da compiere è mettere in atto un attento e preciso piano d’inchiesta: ricercare l’origine del problema, studiarne le cause e il suo sviluppo fino alla situazione attuale; ascoltare le opinioni e i sentimenti delle masse o dei compagni, a seconda che si tratti di una questione riguardante la vita delle masse o quella dell’organizzazione; capire il posto delle contraddizioni (precedenti e attuali) che lo hanno generato. Si deve concepire l’inchiesta non come una questione individuale e spontanea, ma collettiva e organizzata, svolgendo riunioni di inchiesta e stabilire un programma di inchiesta prima di elaborare un qualsiasi piano.
Solo alla fine del lavoro di inchiesta si può aver riunito i mezzi per risolvere il problema.
Soggettivismo, superficialità, pronunciare sentenze, prendere decisioni senza fare inchiesta porta al fallimento sicuro di ogni piano di lavoro. Si finisce così facilmente a dare la colpa, delle difficoltà che si incontrano, alle masse, creando così sfiducia in esse, dimenticandosi che sono le masse a fare la storia e le rivoluzioni; oppure si finisce a dare la colpa ad altri compagni indebolendo l’organizzazione, frenando l’entusiasmo dei militanti, minando la coesione e lo spirito di unità.
Bisogna dunque appropriarsi fino in fondo del metodo dell’inchiesta. Ogni compagno deve fare inchiesta prima di accingersi a svolgere un qualsiasi compito e lo deve fare soprattutto ogni compagno dirigente. Ciò permette di combattere il soggettivismo, il dogmatismo e il burocratismo. Bisogna studiare a fondo ogni questione, ascoltare, riflettere, elaborare e non trarre mai conclusioni affrettate.
Militarismo
Il militarismo è la sovrastruttura politica che il capitalismo, nelle fasi di guerra, tende a darsi, sia come riflesso della struttura legata al complesso militare-industriale, sia come giustificazione ideologica alla guerra stessa, ma anche per egemonizzare e dominare le masse popolari in nome di essa.
La borghesia al potere non può dichiarare apertamente il suo dominio, in quanto minoranza di sfruttatori. Per questo, il suo potere è sempre rivestito di ideologie mistificanti che lo mascherano, ne dettano le forme e ne definiscono l’esercizio dell’egemonia: la democrazia, il fascismo, il liberalismo… Per coprire gli interessi alla base della guerra imperialista e mobilitare le masse a suo favore, la classe capitalistica ricorre a sovrastrutture ideologiche ed egemoniche specifiche. La prima è lo sciovinismo nazionalista, ovvero l’esaltazione dell’identità nazionale come forma di superiorità di fronte agli altri popoli, fino ad arrivare al razzismo vero e proprio. La seconda è il militarismo, ovvero l’esaltazione di tutto ciò che è legato al militare, sia in sé, come “vita ed etica militare”, sia per sé, come mezzo per affermare obbiettivi politici a loro volta coperti da ideologia mistificante. Il militarismo in sé lo riscontriamo ad esempio nella campagna che le istituzioni belliche del nostro paese e della Nato stanno facendo per entrare sempre più apertamente nel sistema scolastico e universitario, puntando chiaramente ai giovani in quanto cervelli e braccia della guerra. Invece, il militarismo per sé lo riscontriamo ad esempio nelle varie formule utilizzate per coprire l’interventismo sul fronte estero: dalle “missioni di pace” alla “guerra preventiva”, dalle “operazioni di polizia internazionale” alla “lotta delle democrazie contro le autocrazie”.
Il militarismo è strumento egemonico sulle masse popolari ed è arma di repressione sul fronte interno. L’egemonia del militarismo non è solo quella di mobilitare settori di massa a favore della guerra, come si sta puntando con la penetrazione nel mondo dell’istruzione, ma anche quella di esibire il potere dello Stato, per incutere timore o per integrare ideologicamente le masse popolari (ideologia della “sicurezza”). In tal senso si veda il dispiegamento dei militari nelle città con la cosiddetta “operazione strade sicure” in corso dal 2008 ad oggi.
Per quanto riguarda la funzione in ambito repressivo, la forza armata organizzata è alla base dello Stato (“Il potere politico nasce dalla canna del fucile”, Mao Tse Tung) e dunque gli eserciti borghesi lo sono per i regimi imperialisti. Nelle fasi più acute della lotta di classe nel nostro paese, alla fine degli anni sessanta e durante gli anni settanta, la presa del potere direttamente da parte dell’esercito era stata più volte paventata e progettata, anche perché rientrante nella strategia controinsurrezionale della Nato. Oggi il ruolo dei militari sul fronte interno è teorizzato esplicitamente dai vertici dello Stato, ad esempio nel Libro bianco – per la difesa internazionale e la sicurezza del 2017. Tale ruolo lo si è visto all’opera nella gestione autoritaria della “pandemia” e in ogni situazione di forte lotta popolare, come in Valsusa. Sempre riguarda il nostro paese, va ricordato l’infame ruolo storico e presente dell’arma dei carabinieri, di fatto dei militari che svolgono però funzioni di polizia.
Infine, nella concezione materialista, il rapporto tra struttura e sovrastruttura non è meccanicista bensì dialettico: se è vero che la prima determina fondamentalmente la seconda, è anche vero che quest’ultima può assumere il ruolo di aspetto principale, andando così a determinare a sua volta la prima.
I governi borghesi quindi, nella fase del capitalismo di guerra, assumono non solo il ruolo di “comitati d’affari” della classe dominante, ma anche di “comitati di guerra”, fino ad arrivare alla coincidenza tra potere governativo e struttura del complesso militare-industriale. Guido Crosetto, dirigente di Leonardo e di Orizzonte Sistemi Navali, presidente della Federazione Aziende Italiane per la Difesa e la Sicurezza, l’ala militare di Confidustria, co-fondatore di Fratelli d’Italia e ora ministro della difesa del governo Meloni è l’incarnazione perfetta, oggi, del militarismo imperialista italiano.