Antitesi n.14Glossario

Corporativismo, Socialimperialismo, Sviluppo autocentrato

“Glossario” da Antitesi n.14 – pag.76


Corporativismo

Nell’ambito delle contraddizioni di classe del capitalismo contemporaneo, il corporativismo costituisce l’ideologia e la prassi per la quale gli interessi contrapposti di borghesia e proletariato possono essere sintetizzati, a presunto beneficio di entrambe le classi, in un supremo interesse nazionale. Ovviamente, tale interesse nasconde quello della classe dominante, alla quale la classe sfruttata viene subordinata oggettivamente e soggettivamente, sul piano ideologico, con la collaborazione di classe dipinta come patriottismo. Il corporativismo assunse formulazione ideologica con il fascismo, ma rimane una tendenza insita alla gestione, da parte della classe dominante, delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico. Tale ideologia e prassi ha avuto continuità (neocorporativismo), sotto varie forme, anche nelle sovrastrutture statuali borghesi cosiddette “democratiche”, nonché legandosi a politiche aziendali utilizzate dai singoli padroni e manifestandosi ovunque ideologicamente si vogliano presentare gli interessi del proletariato e della borghesia come sintetizzabili in un interesse a loro superiore (il “benessere aziendale”, la “democrazia”, la “stabilità dell’Europa”, il “futuro della nazione”, ecc.). Ovviamente, mentre il corporativismo fascista era integrato direttamente nello Stato (con l’istituzione della camera dei fasci e delle corporazioni al posto della camera dei deputati), quello “democratico” prevede una parte che dovrebbe essere rappresentativa dei lavoratori formalmente esterna allo Stato, solitamente i sindacati subordinati ai padroni. Ad esempio, la tanto invocata concertazione, da parte dei sindacati confederali, non rappresenta nient’altro che un’attuazione del corporativismo in veste democratica. Ma anche il cosiddetto “welfare aziendale”, per cui lo Stato sociale si materializza “fabbrica per fabbrica”, in nome della ricomposizione degli interessi del singolo padrone al profitto e degli interessi della classe operaia alla ridistribuzione di parte (minima) di quel profitto a proprio beneficio, rappresentano forme di corporativismo. Così come l’entrata dei sindacati nei consigli di amministrazione delle aziende, secondo il modello seguito soprattutto in Germania, o l’acquisto di pacchetti azionari da parte dei dipendenti. Anche gli accordi sulla rappresentanza tra governi, padroni e burocrazie sindacali sono chiari esempi di corporativismo, poiché volti a blindare le relazioni sindacali e dunque anche le rivendicazioni dei lavoratori all’interno di un quadro prestabilito da tali attori e imposto all’intera classe.

Infine, possiamo intendere come “neocorportative” tutte le politiche di “riforme calate dall’alto” da parte delle classi dominanti, di modo da presentare come coincidenti i loro interessi con quelli delle classi sfruttate e oppresse. Si veda ad esempio la propaganda sul taglio del cuneo fiscale, che unisce confederali, padroni e partiti borghesi, utile a cancellare dal dibattito pubblico la contraddizione tra profitti e salari.


Socialimperialismo

Sinteticamente come lo definì Lenin si tratta di “socialismo a parole, imperialismo nei fatti”; il termine coniato originariamente per definire quei partiti operai che nella Seconda Internazionale hanno appoggiato le politiche imperialiste della propria borghesia durante la prima guerra mondiale, è stato ripreso dai comunisti cinesi per criticare il revisionismo sovietico di Kruscev e Breznev. “Il compagno Mao Tse Tung ha indicato ‘La società socialista abbraccia una fase storica assai lunga. In questa fase storica del socialismo, esistono ancora le classi, le contraddizioni di classe e la lotta di classe, esiste la lotta tra le due vie, il socialismo e il capitalismo, ed esiste il pericolo della restaurazione del capitalismo’. Nella società socialista, la lotta di classe rimane imperniata sul problema del potere politico. Il compagno Mao Tse Tung ha sottolineato ‘i rappresentanti della borghesia che si sono infiltrati nel partito, nello Stato, nell’esercito e nei diversi settori della cultura, sono un’accozzaglia di revisionisti controrivoluzionari. Se si presenta l’occasione, essi prenderanno il potere politico e trasformeranno la dittatura del proletariato in dittatura della borghesia’ (…) Da quando la cricca dei rinnegati revisionisti sovietici ha usurpato il potere nel partito e nello Stato, lo strato privilegiato borghese nell’Unione Sovietica ha grandemente accresciuto il suo potere politico ed economico, ha occupato una posizione dominante nel partito, nello Stato e nell’esercito e nel campo economico e culturale e da questo strato è emersa una borghesia monopolista burocratica, ossia una grande borghesia di tipo nuovo, che ha nelle mani tutta la macchina dello Stato e controlla tutte le ricchezze della società”. (Leninismo o socialimperialismo?, 1970, in Opere di Mao Tse Tung, Edizioni Rapporti Sociali, 1994, vol. 24, pp. 140-141)

Tale restaurazione non solo tende a reintrodurre il capitalismo sovvertendo la struttura socialista dei rapporti di produzione, ma può arrivare a determinare una collocazione e una proiezione globale di tipo imperialista ad un paese ufficialmente socialista. Il Partito Comunista Cinese guidato da Mao Tse Tung arrivò a questa conclusione analizzando la restaurazione del capitalismo in Urss, in particolare nella fase di dominio del revisionista Breznev, nella quale il potere economico, politico e militare della borghesia burocratica monopolista russa assunse una dimensione globale, tale da garantirgli lo sfruttamento di tipo imperialista di intere aree del pianeta.

“La lezione storica è la seguente: una volta che il suo potere è usurpato da una cricca revisionista, uno Stato socialista o si trasforma in socialimperialismo, come l’Unione Sovietica, o si riduce a un paese dipendente o una colonia, come la Cecoslovacchia e la Repubblica popolare di Mongolia. Ora appare chiaro che l’ascesa al potere della cricca rinnegata di Kruscev e Breznev significa, in sostanza, la trasformazione dello Stato socialista creato da Lenin e Stalin in uno Stato egemonico socialimperialista. (…) A parole, la cricca dei rinnegati revisionisti sovietici afferma che essa pratica l’internazionalismo nei confronti dei cosiddetti ‘paesi fratelli’, ma in effetti, essa si serve dell’Organizzazione del Patto di Varsavia e del Consiglio di Mutua Assistenza Economica (COMECON) e di altri ceppi del genere, per imprigionare alcuni paesi dell’Europa orientale e la Repubblica popolare di Mongolia entro il recinto di filo spinato della cosiddetta ‘comunità socialista’ e per disporre di questi paesi a suo piacimento. Approfittando della sua posizione egemonica, essa impone la ‘divisione internazionale del lavoro’, la ‘specializzazione della produzione’ e ‘l’integrazione economica’, costringe questi paesi ad adattare la loro economia nazionale alle esigenze del revisionismo sovietico e li trasforma in suoi mercati, fabbriche ausiliarie di lavorazione, frutteti, orti e fattorie di allevamento, per effettuare un oltraggioso sfruttamento economico.

Esso adotta i mezzi più dispotici e atroci per porre questi paesi sotto il suo rigido controllo e vi disloca una grande quantità di truppe; esso ha persino inviato, apertamente, centinaia di migliaia di soldati in Cecoslovacchia per schiacciarla sotto il suo tallone di ferro e ha creato con le baionette un regime fantoccio in questo paese. Come i vecchi zar denunciati da Lenin, questa banda di rinnegati basa interamente le sue relazioni con i vicini sul ‘principio feudale dei privilegi’. A parole, la cricca dei rinnegati revisionisti sovietici afferma che essa concede ‘aiuti’ ai paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, ma in effetti, sotto l’insegna degli ‘aiuti’, essa cerca con tutti i mezzi di includere alcuni paesi di queste regioni nella sua sfera di influenza, contendendosi la zona intermedia con l’imperialismo USA. Attraverso le sue esportazioni di materiale militare e di capitali e attraverso gli scambi commerciali disuguali, il revisionismo sovietico saccheggia le loro risorse naturali, interferisce nei loro affari interni e spia l’occasione per impadronirsi di basi militari.

Lenin disse ‘Ai numerosi antichi moventi della politica coloniale, il capitale finanziario aggiunse ancora la lotta per le sorgenti delle materie prime, quella per l’esportazione di capitali, quella per le sfere di influenza, […] e infine la lotta per il territorio economico in generale’. Il socialimperialismo revisionista sovietico avanza esattamente lungo questa strada dell’imperialismo capitalista” (Ivi, pp. 144-145).

Questo sviluppo della restaurazione capitalista nei paesi socialisti è confermato anche da quanto successo in Cina dopo il golpe revisionista del 1976. Anzi, è ancora più palese visto che il revisionismo cinese è andato oltre a quello sovietico, restaurando anche formalmente, a livello economico, rapporti di tipo capitalistico (la cosiddetta “economia socialista di mercato”).


Sviluppo autocentrato

Nei centri imperialisti tradizionali lo sviluppo autocentrato ha costituito, storicamente, il carattere specifico del processo d’accumulazione del capitale ed ha determinato le modalità dello sviluppo economico che ne sono risultate, ovvero la dinamica delle relazioni sociali interne, rafforzata dalle relazioni esterne messe al suo servizio. Si tratta insomma di un aspetto dell’accumulazione originaria a danno dei paesi oppressi delle periferie. Nelle periferie, invece, il processo di accumulazione del capitale è derivato principalmente dal rapporto che le classi locali dominanti stabiliscono con il centro imperialista. Differenziamo quelle economie che sono dipendenti di una catena imperialista, da quelle che cercano uno sviluppo slegato da essa. Sono esempi di economie capitaliste con sviluppo autocentrato: l’Egitto di Nasser, la Libia di Gheddafi, l’Iraq di Saddam, l’Iran khomeinista, il Venezuela di Chavez e tutti quei paesi capitalisti guidati da borghesie nazionali che cercano uno sviluppo indipendente dalla catena imperialista, subendone però i contraccolpi in termini di ritorsioni economiche, politiche e militari.

Per quanto riguarda il socialismo, esso storicamente ha garantito lo sviluppo autocentrato, senza che questo però significhi sfruttamento di altri popoli, come nei paesi imperialisti, e senza che tale sviluppo, come nei paesi retti da borghesia nazionale, si fondi comunque sullo sfruttamento e l’oppressione interna delle masse popolari. Si veda l’esempio dell’Urss, della Cina e degli altri paesi socialisti, il cui sviluppo è stato fermato e deviato dall’affermazione del revisionismo e dunque dalla restaurazione capitalista.

Per quanto riguarda le nuove potenze imperialiste emergenti, siamo di fronte all’affermazione di uno sviluppo autocentrato che, emerso a causa di vari fattori (lo sviluppo diseguale e la crisi delle formazioni imperialiste tradizionali), tende a definirsi mettendo in discussione il dominio monopolistico globale vigente (Usa-occidentale). Sono da considerarsi in questa situazione anche le sovrastrutture che derivano da rotture rivoluzionarie della catena imperialista e in cui è stato restaurato il capitalismo. Sono tali i casi di Russia e Cina.