Mettere la guerra al centro
“Editoriale” da Antitesi n.14 – pag.4
Il 41bis imposto al prigioniero politico anarchico Alfredo Cospito dall’allora governo Draghi, col pieno sostegno della sinistra borghese e senza che fosse avvenuto alcun fatto particolare nel suo comportamento carcerario, è stato un vero e proprio atto di guerra al “nemico interno”. Ora con il neo N.a.t.o. governo Meloni, è stata sentenziata la sua condanna a morte, una condanna politica, un monito atto a sancire la dichiarazione della guerra sul fronte interno.
La guerra, come unica possibilità di uscita dalla crisi epocale del capitalismo nella sua fase imperialista, è la condizione generale sempre più manifesta nella quale ci troviamo oggi ed essa determina ogni avvenimento specifico, che a sua volta si riflette sul suo procedere complessivo.
Oramai spuntata l’arma dell’”egemonia sanitaria”, gestita con le mistificazioni della sinistra borghese, e che ha determinato un salto autoritario nella gestione della società, ora sono necessarie una propaganda di guerra martellante e una politica repressiva che un governo tecnico di “unità nazionale” come quello di Draghi non poteva garantire. Si tratta di un’egemonia a doppia faccia che sia la destra sia la sinistra borghese articolano rispetto ai propri referenti per rafforzare l’”egemonia di guerra”. La guerra in nome della “nazione” per la destra. La guerra in nome dei “diritti” per la “sinistra”. Una doppia faccia che si è palesata chiaramente con la presenza di Meloni al congresso della Cgil. Va letto in questo senso anche rinnovato attivismo del Pd dopo la scesa in campo di Schlein e inaugurato con la manifestazione di Firenze del 4 marzo scorso: un tentativo di deviare i “movimenti” e convogliarli sotto l’ala guerrafondaia.
Con il cambio di governo siamo di fronte ad un’alternanza formale e ad una continuità sostanziale. Una continuità nella china reazionaria che permetta di gestire la situazione di attacco frontale che subisce la nostra classe e le masse popolari tutte sul fronte delle condizioni di vita e di lavoro, preparandole all’austerità e di prevenire, attraverso gli apparati della controrivoluzione, ogni possibile deflagrazione del malcontento. È un attacco che viene attuato con leggi forgiate da tempo, a partire dal Codice penale fascista tuttora vigente, ammodernate di volta in volta a seconda delle necessità, com’è successo per i reati associativi modificati ed ampliati durante tutta la fase della guerra al “terrorismo”. Ora questi ultimi vengono utilizzati su larga scala anche contro semplici determinazioni di massa come nel caso dell’Askatasuna, di comitati di lotta per la casa, di sindacati di base e soprattutto contro coloro che lottano contro la guerra imperialista, come nel caso dell’inchiesta contro il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova.
Impedire lo sviluppo di un movimento di classe contro la guerra è un diktat per questo governo, per poter continuare a lungo la partecipazione al conflitto, schierandosi con il blocco euroatlantico, a guida Usa, contro Russia e Cina per procedere senza esitazione in una guerra di lungo periodo.
L’Italia è già in guerra e, senza bisogno di fare la lunga lista dei fatti a conferma: citiamo solo il caso della nave russa Moskva affondata con l’ausilio di droni partiti dalla base Usa di Sigonella in Sicilia.
Avanza anche la tendenza di appiattimento della dialettica tra struttura e sovrastruttura e ciò comporta un aggravamento continuo dell’autoritarismo e dell’interventismo statale. È la sovrastruttura, lo Stato, la politica che fanno la guerra e lo fanno con un rapporto più stringente con la struttura, come dimostra, ad esempio, il ruolo di ministro della difesa di Crosetto produttore di armi (già dirigente di Leonardo e di Orizzonte Sistemi Navali), ex presidente dell’ala militare di Confindustria, l’Aiad, Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza, che ha il suo bacino di affari nelle commesse della Nato.
A ulteriore dimostrazione della conclamata condizione di guerra nella quale siamo immersi c’è la rivalutazione da parte dell’Europa della leva obbligatoria, alla quale si è subito associato Salvini. Nel frattempo funziona a pieno ritmo l’attuazione dei progetti di Pcto nelle caserme, le visite degli studenti alle basi Nato, agli aeroporti militari: insomma vogliono dei nuovi balilla!
Il piano stelle e strisce, per uscire dalla crisi, sia economica, sia di primato mondiale, procede sullo sfondo della fine della globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta fino ad ora. Dall’altra parte Russia e Cina dopo l’allargamento dei Brics e il rafforzamento dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (che oggi arriva ad avere come “partner di dialogo” perfino l’Arabia Saudita) dettano il loro “nuovo ordine mondiale”, acclarato dall’incontro tra Putin e Xi Jinping nel marzo scorso a Mosca.
Il piano Usa si rivela concretamente per l’Europa e l’Italia come un piano che punta a scaricare su di esse la crisi, insomma un massacro per le masse popolari. Un piano che sicuramente non è esente da contraddizioni. È una crisi ben visibile nel suo approfondirsi, come mostra il recente crollo della Silicon Valley Bank (il secondo più grande fallimento bancario della storia Usa) e le sue ripercussioni sulle banche europee. Le rassicurazioni di Biden a tal proposito suonano come “Il canto del cigno”!
La crisi di egemonia delle classi dominanti non si arresta e nemmeno le loro contraddizioni interne: lo stesso Pnrr che in Italia doveva trasformarsi in un volano stabile di “ripresa”, compattare il padronato e plasmare la società postpandemica è continuamente oggetto di mercanteggiamenti economici e politici a livello nazionale e a livello di Unione Europea.
Siamo entrati in una situazione di crisi oggettivamente rivoluzionaria, come nelle guerre mondiali precedenti: una svolta annunciata da tempo. Dopo “lo spartiacque siriano”, caratterizzato da una guerra centripeta, che concentrava le contraddizioni globali in un unico paese, ora siamo di fronte a una guerra centrifuga, che alimenta i conflitti già esistenti (basti pensare a ciò che sta succedendo in Medio Oriente, nel Caucaso e in tutta l’Africa) e ne apre di nuovi forieri di deflagrazione della guerra mondiale. La contraddizione interimperialista, ora è divenuta principale sul piano globale, influenzando lo sviluppo di quella tra imperialismo e popoli oppressi.
In questo frangente rinverdisce il protagonismo del governo italiano che vuole ribadire il suo ruolo e ritagliare i suoi spazi in continuità con il suo imperialismo storico, trovandosi ancora di più impegnato nella contraddizione interimperialista con Russia e Cina in Africa, Europa Orientale e in tutta la regione mediterranea.
Sappiamo bene dalla storia che lo sbocco della crisi può essere o verso un nuovo vento rivoluzionario o verso la tempesta della reazione.
È un enorme spazio per l’azione dei comunisti che oggi, pur messi all’angolo, devono saper cogliere questa occasione. È ora di dire basta all’arrendevolezza dovuta alle proprie debolezze, alle vergognose posizioni di omertà o connivenza con lo Stato di guerra o a quelle opportunistiche di tifoseria per la Russia e/o la Cina. C’è la possibilità di occupare questo spazio con la lotta di classe, coniugando la linea strategica di trasformare la guerra in rivoluzione con le linee particolari oggi praticabili nella situazione concreta. Linee che devono indirizzare la lotta di classe verso la sconfitta del proprio imperialismo e che consentano di raccogliere da questa lotta le forze necessarie per la prospettiva rivoluzionaria.
Contro la guerra non ci sono altri antidoti efficaci, va costruita l’antitesi della rivoluzione. Compito reso difficile in Italia, visto il ritardo nello sviluppo di un movimento reale contro la guerra.
Ma, come ci insegna Lenin, “il lavoro dei marxisti è sempre ‘difficile’ ed essi si distinguono dai liberali proprio perché non dichiarano impossibile il difficile. Il liberale chiama impossibile un lavoro difficile per nascondere che vi rinuncia. La difficoltà del lavoro incita invece il marxista a creare un’unione più stretta degli elementi migliori proprio per superare le difficoltà”.
Le manifestazioni congiunte del 25 febbraio a Genova, in Sicilia e in Sardegna, alle quali come Antitesi abbiamo partecipato convintamente, sono state un segnale importante nella giusta direzione. I portuali del Calp di Genova, componente avanzata della classe operaia, si sono messi alla testa della mobilitazione, bloccando l’intero porto dopo 20 anni che non accadeva. Fatti questi fondamentali per lo sviluppo di un movimento reale in grado di coinvolgere in un fronte attorno alla classe operaia, unica in grado di farlo, le vaste masse. Sono scintille, ma il fuoco va attizzato fiduciosi che l’incendio che si è propagato in Francia sia prodromo di altri: è un fuoco che si è acceso anche nel Regno Unito con i grandi scioperi, in Germania con partecipate manifestazioni contro l’impoverimento dovuto alla guerra della Nato e le fabbriche di armi.
I comunisti devono mettere al centro la guerra e dichiararne le cause in ogni analisi e in ogni mobilitazione: è la crisi che determina la guerra e non viceversa. Tutto quello che sta succedendo qui in Italia è responsabilità della nostra classe dominante, del suo imperialismo, del suo sistema di alleanze e del suo del governo di assassini e guerrafondai: la lotta rivoluzionaria dei comunisti, nel nostro paese, non può che giovarsi della loro disfatta politica e militare sul piano globale.
Oltre che tra tutti i settori dei lavoratori, in primis nella classe operaia industriale, la guerra va messa al centro dei movimenti che oggi esistono. Nel movimento ecologista, poiché la guerra, la ristrutturazione produttiva conseguente e la proliferazione di armi e di laboratori devastano l’ambiente più di ogni altro fenomeno. Nel movimento delle donne, poiché la loro condizione è la prima a peggiorare. Va posta tra i giovani nell’università e nelle scuole, perché lì si annida la ricerca bellica e si pongono le basi dell’egemonia sciovinista; nei territori occupati da basi Nato e da caserme e dove proliferano i laboratori chimici e biologici, fonte di pericolo per la popolazione e luoghi di ricerca a scopo militare.
I comunisti devono insomma sviluppare la mobilitazione contro la guerra imperialista e trasformarla in mobilitazione rivoluzionaria contro il governo e i padroni italiani.
Dobbiamo ribadire tra le masse che la guerra si ferma con la rivoluzione.