Antitesi n.14Classi sociali, proletariato e lotte

Guerra e lotta di classe

La centralità della guerra nello sviluppo dei movimenti

“Classi sociali, proletariato e lotte” da Antitesi n.14 – pag.20


La dimensione di guerra si pone sul piano concreto dell’azione che i comunisti devono attuare, essendo questa il perno centrale dello sviluppo delle contraddizioni odierne: senza porre la centralità della guerra, nessuna prassi o teoria ha ragion d’essere dato l’attuale sviluppo degli eventi. L’Europa è in guerra e l’Italia vi partecipa attivamente. Per ora inviando armi, sempre più pesanti, al fronte ucraino, ma anche intensificando le esercitazioni ai confini della Nato, avviando programmi di addestramento di soldati ucraini in Italia e determinando in generale le condizioni oggettive per un confronto diretto con la Russia. Va anche sottolineato lo schieramento in prima linea dei militari italiani, e quindi dell’imperialismo nostrano, che puntellano il fianco est della Nato in funzione antirussa, con reparti di pronto intervento orientati al warfighting1.

In tale contesto, quindi, il conflitto assume un ruolo centrale nello sviluppo delle contraddizioni di classe: la guerra la dichiarano i padroni e la pagano i proletari. Carovita, aumento del prezzo dell’energia, inflazione e disciplinamento sociale sono i costi che le masse popolari sono costrette a pagare per poter permettere il mantenimento della macchina bellica. Il piano inclinato della guerra pone le masse davanti ad un netto peggioramento delle condizioni proprie materiali, aprendo perciò a spazi di agibilità per l’azione politica della soggettività comunista che punta a perseguire la prospettiva rivoluzionaria. Per fare questo è necessaria una lotta ideologica contro le visioni borghesi che albergano anche nel proletariato. Per sgombrare il campo da ogni ambiguità, una bussola da adottare è quella della guerra: qualunque soggettività, organizzazione o movimento che non mette al centro la guerra o non prende una posizione chiara rispetto a questa, necessariamente apre al collaborazionismo, diretto o indiretto, con il fronte imperialista.

Inoltre lo stato di guerra interimperialista determina delle condizioni oggettivamente rivoluzionarie. All’interno del precipitare di tale quadro, una soggettività rivoluzionaria comunista determinata ed organizzata, alla testa delle masse, può conquistare il potere politico. Questa è la lezione più importante che dobbiamo imparare dai bolscevichi: rivoluzione uguale masse mobilitate più partito che le dirige alla presa del potere. Il contesto nel quale la Rivoluzione di Ottobre ha avuto luogo è, per certi versi, analogo all’attuale condizione di guerra interimperialista nella quale il nostro paese è calato. Quello che si è verificato a livello mondiale è il passaggio della contraddizione principale da imperialismo-popoli oppressi alla contraddizione tra blocchi imperialisti, che si manifesta nella dimensione di guerra economica e militare tra i principali attori globali: Stati Uniti, Russia, Cina, e addentellati al seguito. Al momento siamo agli inizi di questi sviluppi, ma da un anno a questa parte essi hanno accelerato drammaticamente, mostrando quale sia la prospettiva che le varie borghesie imperialiste stanno determinando sulla base della loro strategia di campo: la guerra mondiale.

Tale passaggio ha importanza fondamentale perché caratterizza ancora di più la guerra come motore dello sviluppo di tutte le altre contraddizioni, e di questo occorre tener conto nella prassi politica comunista. Un contributo fondamentale per orientarsi in tale situazione, che è destinata a diventare sempre più caotica, ci viene dato direttamente dall’esperienza del Partito Bolscevico guidato da Lenin attraverso l’inferno della prima guerra mondiale. Uno dei problemi principali che le compagne e i compagni si sono trovati ad affrontare è stata la presenza del revisionismo e del riformismo nel panorama politico socialista europeo.

In particolare nell’opuscolo di Lenin Il socialismo e la guerra2, del 1915, viene affrontata la questione, sulla base della necessità di una lotta ideologica contro le posizioni socialscioviniste, tenute da un numero consistente di partiti socialisti allo scoppio della guerra. Il perno fondamentale intorno al quale tali scritti sono costruiti è proprio la critica alla rinuncia della prospettiva rivoluzionaria tramite il sostegno diretto della propria borghesia imperialista nel conflitto, atteggiamento definito, appunto, come “socialsciovinista”. In tal modo viene osteggiata la prospettiva di “trasformare la guerra imperialista in guerra civile”, che apre alla possibilità della conquista del potere e alla fine dello Stato borghese come invece riuscirono a fare i bolscevichi in Russia. Per socialsciovinismo definiamo la forma più compiuta di opportunismo e quindi del riformismo3. Nell’attuale contesto di guerra tali linee politiche persistono nei movimenti declinate in una dimensione riformista, allontanandosi dagli interessi reali del proletariato e collassando su politiche che escludono integralmente l’ipotesi rivoluzionaria. Data l’importanza che tale lotta ideologica presenta nel panorama attuale, nel seguente articolo cercheremo di analizzare tali linee presenti nel movimento, con l’obiettivo di smascherarle e denunciarne la natura di classe borghese. Queste posizioni rinunciando a porre la guerra al centro dell’azione politica o addirittura appoggiando l’imperialismo di casa propria, lavorano di fatto per la reazione e puntano a sgomberare il campo da ogni ipotesi rivoluzionaria.

I movimenti e la guerra

Il punto di partenza da cui iniziare è constatare che il 25 febbraio, ad un anno dall’invasione russa dell’Ucraina, è stato dato un appuntamento di mobilitazione generale contro la guerra in corso, al quale hanno partecipato ampie aree di movimento e del sindacalismo di base. Di particolare rilevanza sono state le piazze di Genova e Niscemi chiamate rispettivamente dal Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (Calp), e dal movimento No Muos. Tali eventi sono particolarmente importanti sia per chi ha chiamato le piazze (da una parte un collettivo di lavoratori che si oppongono alla guerra, dall’altra un movimento antimilitarista ed antimperialista attivo da anni nel territorio siciliano), sia perché colpiscono la guerra imperialista in due nodi centrali: nella logistica, quindi il trasporto delle merci e delle armi, e nelle sue estensioni reali nel nostro territorio, la base militare Muos a Niscemi.

Genova in particolare evidenzia come si stia strutturando un movimento contro la guerra in contraddizione con le linee istituzionali imperialiste filo ucraine che hanno dominato la scena pubblica in questo primo anno di conflitto. L’importanza e la rilevanza di questa piazza è evidente quindi sia per i contenuti che per la connotazione di classe. Essa ha saputo mettere al centro la questione del trasporto delle armi: bloccare il porto per una giornata ha comportato un attacco diretto alla circolazione delle merci che mostra la capacità conflittuale che la classe riesce a mettere in campo. Analogamente in Sicilia il movimento No Muos è da anni in lotta contro la militarizzazione del territorio e la base militare di Niscemi è centrale nell’attuale teatro di guerra dal momento che è da qui che i droni vengono pilotati fino ai confini ucraini, mettendo il nostro paese in prima linea nel conflitto. Lottare contro tali strutture ed articolazioni militari yankee nel nostro territorio significa contrastare la guerra nella sua dimensione più manifestamente imperialista e distruttrice.

Le mobilitazioni di Genova e di Niscemi del 25 febbraio rappresentano due esempi di concretizzazione della linea di sinistra all’interno del movimento contro la guerra4. Tale linea è quella che pone come principale la contraddizione con il proprio imperialismo e il suo campo di appartenenza della Nato e si articola concretamente in tal senso, ad esempio contro la fornitura di armi al regime di Kiev e contro le basi militari.

Accanto a queste mobilitazioni di fondamentale importanza, vista la loro natura di classe ed antimperialista, occorre articolare un’analisi rispetto al movimento in generale: la mancanza delle corrette categorie con le quali porre i termini della questione porta inevitabilmente o a posizioni svuotate di ogni prospettiva politica rivoluzionaria rispetto alla fase in corso, o al sostegno della borghesia imperialista (diretto o indiretto che sia). Un esempio è quello dell’area politica, ampia e variegata, caratterizzata dalla posizione “centrista” del né con Putin né con la Nato che, impostata l’equidistanza come paradigma, non si pone sul piano concreto della lotta contro la guerra imperialista. “Né con Putin né con la Nato” si traduce nella pratica in un immobilismo che sostiene indirettamente lo status quo, e quindi la catena imperialista nella quale il nostro paese è calato. Sono le basi militari ed i comandi Nato ad essere nel nostro territorio, non quelle russe: il nostro compito è innanzitutto quello di combattere l’imperialismo di casa nostra.

Questa posizione ricalca per certi versi quella che storicamente hanno avuto i socialisti italiani di Turati nella prima guerra mondiale secondo la parola d’ordine “Né aderire né sabotare”. È tragicomico come la storia propone schemi analoghi a distanza di un secolo, ma è anche istruttivo per comprendere l’incapacità, o meglio la non volontà, di tali forze nel prendere una posizione chiara, coprendosi con un approccio idealistico alla questione.

Per comprendere in che modo tali movimenti appoggiano in maniera indiretta la borghesia imperialista occorre quindi osservare come essi non mettano a fuoco come elemento centrale della contraddizione la dimensione concreta della guerra, e le contraddizioni che questa genera concretamente nella nostra realtà, ma la guerra in sé come oggetto astratto, dal quale prendere le distanze a priori, lasciando campo libero all’egemonia guerrafondaia del governo Meloni e della Nato.

Le aree che si riconoscono nella parola d’ordine centrista “né con Putin né con la Nato” sono molto ampie e diversificate: è opportuno quindi come comunisti applicare la linea di massa in tali movimenti, dialogando con le varie componenti, tessendo legami politici e formando quadri comunisti in modo tale da legare il centro alla sinistra e isolare le linee più a destra. Tali sono quelle che, arruolate di fatto nel carozzone reazionario del Pd, per opposizione alla guerra intendono “la guerra di Putin”, mentre sono omertose o danno sostegno più o meno apertamente alla guerra della Nato.

Come comunisti dobbiamo tuttavia fare attenzione a non cedere a posizioni politiche ed ideologiche “campiste”, ossia quelle che presuppongono necessariamente un posizionamento di campo nello scontro tra imperialismi: ricordiamo che il nostro obiettivo è la sconfitta del “nostro paese”, inteso come la borghesia imperialista italiana e la sua sovrastruttura statuale collocate nel campo della Nato, non la vittoria della Russia o della Cina. Al fine di raggiungere tale obiettivo bisogna ovviamente osservare la dialettica con le varie forze in campo, ma in alcun modo dobbiamo farci trarre in inganno: l’imperativo è mantenere una visione chiara del nostri obiettivi strategici, la nostra autonomia di classe e muoversi di conseguenza. Non dobbiamo mai divenire fans o “amici ideologici” di Putin o di Xi Ping, ma rimanere saldamente ancorati ad una concezione comunista del mondo e dei nostri compiti generali di liberarci da ogni oppressione di classe e imperialista.

A tal proposito, una posizione apparentemente di “sinistra”, ma in realtà ben più insidiosa ed opportunistica è invece data dall’influenza del sovranismo borghese sul movimento comunista, com’è il caso della Rete dei Comunisti la quale, con la campagna Rompere la gabbia euroatlantica, prospetta di “Agire sull’anello debole (Italia) per indebolire il Blocco Euro-Atlantico” e indica che “La rottura del Blocco Euro-Atlantico torna ad essere la sintesi del nemico da indicare ai settori popolari, democratici, antagonisti, come quello da battere perché esso agisce qui e i comunisti agiscono qui5.

La visione che emerge da tale linea è quella di offrire di fatto una possibile scappatoia per la classe dominante italiana nel contesto di contraddizioni esterne ed interne sempre più complesse e drammatiche. Il concetto di anello debole della catena imperialista viene ripreso dalla teorizzazione dei bolscevichi rispetto all’allora impero zarista, con la “piccola” differenza che per essi la conseguenza di tale debolezza non era la ridefinizione della collocazione internazionale dell’impero, ma la necessità del suo abbattimento rivoluzionario. Se rispetto all’opposizione alla guerra imperialista e al precipitare delle condizioni di vita delle masse, si pone la questione di un diverso collocamento internazionale della formazione imperialista di appartenenza, senza postularne l’abbattimento e la trasformazione rivoluzionaria, significa cadere in una prospettiva di sintesi tra neo-riformismo e sovranismo borghese. O si pone chiaramente l’alternativa tra crisi e guerra da una parte e organizzazione comunista e rivoluzione dall’altra, oppure si lavora per una, peraltro utopica, ricomposizione socialdemocratica e “patriottica” del capitalismo.

È di particolare importanza quindi criticare ideologicamente tali posizioni, poiché sono gli assetti ideologici più insidiosi nei quali trova copertura l’opportunismo.

Vorremmo ora puntare l’attenzione sul fatto che da tempo osserviamo come molte organizzazioni tendono ad assumere come modus operandi quello della “piattaforma”, pensiamo in particolare all’area politica associabile al movimento Insorgiamo, ossia di una struttura organizzativa che si basa sulla compartecipazione di varie soggettività, ponendo al centro come elemento unificante la condivisione di parole d’ordine “comuni”, strutturate principalmente su rivendicazioni economiche, che vadano poi a delineare la “comune” prassi politica da perseguire. In particolare nell’attuale fase politica il nodo centrale individuato da tale impostazione è quella del carovita, dovuto ad inflazione e aumento delle bollette che chiaramente ricade sulle spalle delle classi popolari. La questione fondamentale della crisi generale del capitalismo viene di fatto annullata e quella principale della guerra posta “assieme alle altre”.

Invece, la crisi economica e sistemica è causa della guerra e il successivo aggravamento delle condizioni economiche è catalizzato dalla guerra: occorre aver bene in mente questa catena di eventi. Imporre come centro delle contraddizioni le condizioni economiche che il proletariato è costretto a subire nell’attuale sistema di produzione senza chiaramente definire la catena causale significa porsi in dimensioni di conflitto economiciste, e quindi squisitamente riformiste. Sebbene sembri una questione di lana caprina è fondamentale invece, per noi, mantenere chiaro ed esplicativo l’ordine delle contraddizioni nel quale ci muoviamo. Risolvere la questione del carovita impostandola solo marginalmente alla dimensione di guerra e trattare quest’ultima come un fenomeno secondario, indica come non si stia sviluppando un discorso che metta le questioni centrali dove devono stare, appunto, al centro. Il punto centrale è individuare le contraddizioni principali, nel nostro caso la guerra, e sulla base di queste impostare una linea politica e successivamente declinare la necessaria prassi nei vari territori. Inoltre questa tendenza ad unirsi necessariamente e a priori mostra un difetto in campo teorico e dialettico che noi riteniamo fondamentale superare con la parola d’ordine “per unirsi è necessario distinguersi”. All’interno di tali movimenti quindi è necessario prendere il toro per le corna e ribadire il fatto che, nella fase attuale, non si progredisce politicamente senza consapevolezza della crisi che attraversa il capitalismo e della guerra imperialista come sua manifestazione principale. Il tipo di scontro che siamo costretti a sostenere con la borghesia imperialista è necessariamente su un piano politico e strategicamente si deve porre la questione delle questioni: quella del potere e, attorno a questa linea generale da articolare con linee particolari, raccogliere quanto più possibile da questi movimenti.

All’interno di tale contesto è inoltre fondamentale comprendere come anche la classe dominante si stia muovendo nei movimenti. La dirigenza del Pd, in particolare, ha l’obiettivo di alimentare l’egemonia della guerra imperialista mediante la propria influenza politica diretta (Cgil, Anpi, Arci…) o indiretta, tramite l’influenza ideologica e culturale nei movimenti di massa. Per questi reazionari è importante isolare l’opposizione alla guerra muovendosi su due linee parallele dialettizzate: da una parte attaccare direttamente le linee più coerenti rispetto alla guerra ponendo una cappa censoria e infamante (l’accusa di “putinismo”), dall’altra capitalizzare le posizioni più neutre (ad esempio i “né Putin né Nato” ) sulla propria linea schiettamente imperialista.

In tale contesto è plausibile pensare che la nuova segreteria Schlein proverà a muoversi cercando da una parte di tenere insieme il Partito, dall’altra di ricucire con la sua base sociale di riferimento (Cgil ed Anpi) con l’obiettivo di ripulire la faccia del Pd per portare avanti l’agenda imperialista atlantista.

È da sottolineare comunque la presenza di forti contraddizioni tra la dirigenza politica del partito fortemente guerrafondaia e le basi di Cgil e Anpi dove si registra un forte dissenso, obbligando anche la loro direzione ad ipocriti equilibrismi pacifinti. A tal fine dovremo contrastare l’infiltrazione nei movimenti contro la guerra da parte di questa forza politica, cercando in ogni momento di smascherarne la doppiezza, l’organicità all’imperialismo italiano e l’asservimento all’imperialismo a stelle e strisce.

Ecoimperialismo?

Sulla scia della nostra analisi ai movimenti rispetto alla categoria della guerra come contraddizione principale, ci concentriamo ora sui vari movimenti green che popolano la scena politica ecologista nel nostro paese.

Ci riferiamo in particolare a Fridays for Future, Extinction Rebellion ed Ultima Generazione. Queste organizzazioni hanno dominato la scena mediatica degli ultimi mesi, in particolare Ultima Generazione, tramite le loro azioni spettacolari ed accattivanti, soprattutto per dei referenti giovani e “arrabbiati”. Al di là del merito della loro prassi, ci interessa qui considerare le loro posizioni rispetto alla guerra in Ucraina. Portiamo a mo’ di esempio la seguente intervista pubblicata da Fridays For Future Italia, di una attivista della medesima organizzazione in Ucraina: “Ci vuole un embargo completo e immediato sui combustibili fossili russi. Dall’inizio dell’invasione russa il 24 febbraio 2022, l’Unione europea ha comprato da Mosca quasi 53 miliardi di euro di petrolio e gas.” e ancora “L’embargo proposto dai ragazzi e ragazze di Fridays For Future in Ucraina è l’unica arma a disposizione dell’Unione europea per fermare immediatamente la guerra.” E per concludere “Mentre l’Europa si prende il suo tempo per la transizione ecologica, l’Ucraina deve prendere decisioni all’istante. La vita dovrebbe avere la priorità, essere protetta a tutti i costi. Invece con questa guerra si sta uccidendo tutto, comprese le speranze per il nostro futuro”6.

Dello stesso tenore il comunicato della sezione ucraina di Extinction Rebellion, che recita “I combustibili fossili rappresentano una minaccia per la pace a livello mondiale indipendentemente da considerazioni strettamente legate al clima, perché contribuiscono a finanziare regimi dittatoriali in tutto il mondo. Il caso del regime di Putin è particolarmente significativo”. Oppure “Dobbiamo cominciare a disinvestire dai combustibili fossili e da ogni attività commerciale che contribuisce a finanziare minacce di scala planetaria come la macchina militare di Putin e la crisi climatica.” Per concludere con un eloquente “Per questo, chiediamo di protestare attivamente davanti a tutte le sedi di compagnie petrolifere e di gas naturale della Federazione Russa, e dei loro soci nell’Unione Europea, nel Regno Unito e in tutto il mondo7.

Alla luce di tali dichiarazioni, risulta chiaro l’allineamento politico di tali organizzazioni rispetto all’agenda imperialista yankee: disaccoppiare l’asse energetico russo-tedesco, sfruttando come contraddizione l’utilizzo di combustibili fossili acquistati dall’Europa dal gigante russo, spingendo poi su un rinnovamento green a tappe forzate secondo quanto impostato dalla Commissione Europea.

Tutto ciò evidenzia come tali movimenti, non ponendo politicamente al centro la guerra, soffrono di debolezza ideologica rispetto ai tentativi di egemonia della classe dominante, rivelandosene per molti aspetti subalterni. Ciò emerge anche rispetto alle ambiguità delle rivendicazioni formulate. Basti guardare quelle lanciate da Ultima Generazione, la più “radicale” tra le organizzazioni ecologiste presenti nel nostro paese: la richiesta è lo stop al finanziamento pubblico del fossile per poter promuovere politiche economiche di rinnovamento green. Tradotto: miliardi di euro che entrano nelle tasche dei padroni che si sono convertiti alla cosiddetta sostenibilità, tra l’altro solo apparente8. Del resto Ultima Generazione fa parte di una piattaforma, chiamata A22, finanziata, oltre che da numerosi “filantropi”, direttamente dal Climate Energy Found, organizzazione legata a doppio filo dai magnati del capitalismo green.

Il fatto che una parte del movimento ecologista sia egemonizzato da posizioni paraguerrafondaie e organiche alla ristrutturazione capitalistica non deve farci indietreggiare dal relazionarvisi, perché la contraddizione capitale/natura è drammaticamente reale e sono comunque positive le mobilitazioni popolari e giovanili che la cercano di affrontare, aldilà di chi le dirige o influenza. Bisogna guardare alla sinistra di questi movimenti, ad esempio alle componenti che si pongono la questione della devastazione ambientale operata dalla guerra imperialista e dal capitalismo in quanto tale. Anche perché la favola del capitalismo green in Europa, soprattutto a causa delle contraddizioni determinate dalla guerra, sta rivelandosi tale. Basti pensare al rilancio delle “grandi opere”, a uso anche militare, devastanti per i territori, all’imposizione di rigassificatori, al ritorno al carbone e al rilancio del nucleare. Il livello di conflittualità che le masse sono disposte a mettere sul campo rispetto alla difesa dell’ambiente è talvolta notevole: dalla storica lotta No Tav in Italia alle grandi mobilitazioni popolari e giovanili di Lutzerath in Germania, lo scorso inverno, e quella di Sainte-Soline in Francia.

L’applicazione corretta della linea di massa in tali movimenti è fondamentale, sia per fare inchiesta sia per poterci relazionare con la loro sinistra e poter formare dei quadri comunisti che in prospettiva siano capaci di organizzare l’ala rivoluzionaria del movimento, conquistarne il centro e lottare contro l’egemonia della destra filoimperialista.

I comunisti e la guerra

Abbiamo analizzato lo sviluppo dei movimenti nel nostro paese utilizzando la contraddizione della guerra inter-imperialista come elemento per far luce rispetto alle varie linee opportuniste, scioviniste e riformiste presenti in questi, con il chiaro intento di voler distinguere quella che riteniamo sia una scelta di campo autenticamente rivoluzionaria rispetto alle altre. Siamo consci che la lotta ideologica è fondamentale, in particolare in periodi tanto caotici come il nostro dove le categorie di “amico e nemico” tendono a confondersi o sovrapporsi nella nebbia di guerra. Anche se la mobilitazione di ampie masse contro la guerra non si sta manifestando, il 25 febbraio è stata una data importante per costruire un movimento reale in tal senso. Prioritario per costruirlo sarà combattere, in ogni sua manifestazione, l’egemonia della sinistra borghese, Pd ed addentellati, vista la profonda e necessaria aderenza che il Partito Democratico ha con l’agenda dell’imperialismo italiano e statunitense.

Sebbene le contraddizioni materiali stiano diventando sempre più determinanti da giustificare una mobilitazione in massa delle classi sfruttate, registriamo la mancanza di un soggetto rivoluzionario capace di raccogliere tali spinte.

Allo stesso tempo le contraddizioni del capitalismo di guerra sono potenzialmente esplosive; in primo luogo rispetto alle condizioni economiche delle masse popolari visto che i costi della guerra verranno necessariamente scaricati su di esse. Basti pensare al taglio del reddito di cittadinanza e alle altre politiche di austerità del governo Meloni, parallele all’aumento al 2% delle spese militari, all’inflazione ed alle politiche deinflattive della Bce e a tutti gli altri costi della crisi scaricati sul proletariato europeo.

Queste politiche economiche antipopolari è probabile che tendano ad aumentare il conflitto sociale e, come ben sappiamo, durante la guerra, la pacificazione interna è necessaria alla borghesia imperialista per portare avanti i suoi obiettivi. Il disciplinamento sociale di massa, ampiamente testato in epoca Covid, l’aumento della repressione e del controllo, saranno esponenziali nel prossimo periodo.

L’unico movimento che sia stato capace di darsi una continuità nella lotta, negli ultimi anni, è stato il movimento No Green Pass, certo non vigoroso come quando sorse, ma comunque presente e con una posizione chiara: il nemico principale è il governo Meloni e le sue politiche guerrafondaie e questa è una guerra voluta e preparata dalla Nato. L’importanza di tale movimento sta quindi nel fatto che, se sullo sviluppo di contraddizioni reali si lavora per far emergere contenuti politici, le masse sono disposte a recepire ed assorbire tale dialettica, esprimendo non più solo rivendicazioni che le riguardano direttamente e personalmente, come nel caso dell’imposizione della tessera verde per lavorare e avere una vita sociale.

La presenza di compagni e compagne in tali movimenti è stata fondamentale, dal momento che la nostra prassi ha portato dei frutti e che quindi è auspicabile il replicarsi di tale metodologia di lavoro: stare in mezzo alle masse ed applicare il metodo della linea massa è la chiave per poter crescere sia politicamente che organizzativamente.

Come comunisti abbiamo molto lavoro da fare. La grande sconfitta storica che ha subito il movimento rivoluzionario nel nostro paese e la concretizzazione poi a livello internazionale del disastro determinato dal revisionismo moderno, con il crollo dell’Urss e del campo socialista, fa sentire i suoi effetti ancora oggi.

Non dobbiamo tuttavia lasciarci scoraggiare, la buona novella di uno spettro che si aggira per l’Europa è ancora vivida e gli attuali rapporti tra le classi lo confermano: non è la lotta di classe a mancare, semmai è l’organizzazione e la prospettiva. Dopo gli anni del grande riflusso e l’esplosione della globalizzazione, quindi dell’imperialismo Nato, ora la storia si è rimessa in moto, anche se a guardar bene non si è mai fermata. La guerra, necessaria espressione dei rapporti capitalistici nella loro fase più conflittuale tra blocchi imperialisti, è iniziata. Questo ci dà la possibilità di enormi spazi di agibilità all’interno delle contraddizioni per mobilitare, istruire ed organizzare il proletariato. Mantenere una presenza fissa all’interno dei suoi ambienti, movimenti ed avanguardie per conquistare cuori e menti, e quindi guadagnarne la fiducia, il riconoscimento e la legittimità dal punto di vista comunista è il nostro primo obiettivo. Applicare correttamente la linea di massa nei vari contesti nei quali concretamente interveniamo e ragionare da partito per costruire il partito, è la chiave per ottenere i nostri obiettivi strategici. Allo stesso tempo contrastare le idee borghesi che albergano in seno al proletariato o che ne tentino un eterodirezione è il nostro compito per creare un’egemonia della nostra classe nella nostra classe.

La guerra ha fatto venir fuori i nodi delle contraddizioni: sciovinismo, opportunismo, campismo e riformismo sono presenti nei movimenti e nella classe, come necessario riflesso dell’ideologia dominante, e pensare di poter portare avanti i nostri obiettivi senza recidere i legami che tali visioni hanno con il proletariato è irrealistico. La parola d’ordine risulta quindi essere “colmare il ritardo”, dove per ritardo intendiamo l’arretramento che il movimento comunista internazionale, e quindi nazionale, ha subito dopo la grande sconfitta storica. Consci che l’unica alternativa credibile al capitalismo e le sue barbarie è la costruzione di una società socialista, senza classi, guerre e sfruttamento, lavoriamo in questa direzione nei movimenti delle masse popolari, tenendo alta la bandiera che ci è stata consegnata dai rivoluzionari che ci hanno preceduto; trasformare la guerra imperialista in lotta rivoluzionaria.


1 Sul Fianco Est oltre 1.250 militari italiani sono in Lettonia, Ungheria e in Bulgaria. In quest’ultima l’Italia guida le operazioni con reparti dell’Esercito nell’ambito delle misure di Enhanced forward presence e di Enhanced vigilance activity della Nato. In Romania una task force dell’Aeronautica è impegnata con i velivoli EF-2000 “Typhoon” nell’ambito della Nato Enhanced air policing per la sorveglianza degli spazi aerei alleati.

2 Reperibile su marxist.org

3 “Le radici di classe del socialsciovinismo e dell’opportunismo sono identiche: l’alleanza di un debole strato di operai privilegiati con la ‘sua’ borghesia nazionale contro le masse della classe operaia, alleanza dei lacchè della borghesia con quest’ultima contro la classe che essa sfrutta”, V. I. Lenin “L’opportunismo e il crollo della II Internazionale”, Edizioni progress, Mosca 1978, p. 246

4 Vedi Antitesi n° 13, Sezione seconda, Movimento contro la guerra in Italia, in particolare p. 24

5 Rete dei comunisti, Rompere la gabbia euroatlantica, retedeicomunisti.net, 21.11.22

6 M. Bongioanni, I Fridays For Future Ucraina: serve un embargo sulle fonti fossili russe, 28.7.22, valori.it

7 Extinction Rebellion – Ucraina, Appello per una risposta unita contro la violenza alimentata dai combustibili fossili, 10.3.2022, rebellion.global.it

8 Vedi Clima di guerra in Antitesi n°12 pp. 44 ss