Keynesismo militare
“Glossario” da Antitesi n.13 – pag.67
Il keynesismo militare è una politica economica dell’economia di guerra nella fase imperialista. Mentre il keynesismo classico attraverso l’indebitamento pubblico promuove l’aumento della spesa pubblica per produrre infrastrutture civili, con il keynesismo militare è il budget della difesa ad essere aumentato in funzione anticongiunturale in un periodo di crisi per contrastare la recessione, in un contesto di guerra incombente per la spartizione del mondo. Da un lato la crisi porta alla guerra e dall’altro la guerra viene utilizzata per tentare di far fronte alla crisi.
Come le misure del keynesismo civile anche quelle del keynesismo militare, per quanto riguarda la sfera della realizzazione, attraverso la spesa pubblica e l’indebitamento dello Stato (deficit spending), incrementano la domanda aggregata (investimenti più consumi) per cercare di contrastare la crisi di sovraccumulazione e rilanciare un ciclo economico espansivo.
A questo scopo, per quanto riguarda la sfera della produzione, attraverso il finanziamento pubblico della ricerca e del complesso militar-industriale, si alimenta l’innovazione tecnologica per incrementare la composizione di capitale e la produttività del lavoro, con ricadute anche nel settore civile (sviluppo dual band).
L’esempio più tipico di keynesimo militare è quello della Germania nazista dove la concentrazione di capitali nel settore militar-industriale favorì, nella seconda metà degli anni ‘30, una rapidissima espansione della capacità produttiva dell’industria, riducendo drasticamente la disoccupazione.
Un altro esempio è costituito dalle misure adottate nel 1950 dall’Amministrazione Usa (Truman) all’inizio della guerra fredda con la National Security Concil Resolution 68 (Ncs-68). Il documento segreto (reso pubblico solo a metà degli anni ‘70) prevedeva, su proposta del complesso militar-industriale, una grande espansione delle spese militari, un impegno strategico globale, il potenziamento della Nato e il riarmo della Germania occidentale. “Le relazioni tra i gruppi monopolisti produttori di armamenti e la burocrazia politico-militare subirono un’impennata senza precedenti, anche grazie al clima di Guerra Fredda che emerse con la fine della Seconda Guerra Mondiale. Emerse così quello che viene comunemente definito ‘Keynesismo Militare’, ‘Economia di Guerra’ o ‘Economia del Pentagono’. Durante le due guerre mondiali si era andato definendo il sistema di vincoli e legami tra i monopoli e la burocrazia politico-militare, strettamente connesso con l’organizzazione e il funzionamento di un apparato industrial-militare, che rappresentava un assunto di prim’ordine per agire in circostanze di guerra, ma i cui vincoli raggiunti, al medesimo tempo, e contrariamente ad altre fasi anteriori del capitalismo, smisero di avere carattere congiunturale e imposto da crisi politico-militari momentanee, e si convertirono in un fenomeno che in misura sempre maggiore cominciava a formare parte integrante del meccanismo generale di funzionamento della riproduzione capitalista. In altre parole, la produzione di armi e bellica in generale, iniziava a far parte del meccanismo di riproduzione del capitale in maniera strutturale. Essa veniva fortemente stimolata dal vantaggio rappresentato, per i gruppi industriali militari, di poter produrre a carico del bilancio dello Stato” (E. M. Domingues, Economia di guerra e il complesso industriale bellico: militarismo transnazionale, proteordbcub.it].
Il keynesismo militare tuttavia è una risposta alla crisi che, come storicamente dimostrato, è anche il presupposto di un suo aggravamento fino alla tragedia della guerra mondiale. Da una parte l’instabilità finanziaria può aggravarsi per effetto dell’incremento del debito pubblico, dall’altra l’incremento della produzione bellica rafforza la tendenza alla guerra: le armi prodotte sono merci che devono essere anche vendute e consumate (cioè utilizzate).