La guerra in cattedra
Opporsi al modello imperialista nella scuola e nell’università
“Classi sociali, proletariato e lotte” da Antitesi n.13 – pag.21
Con questo breve contributo cerchiamo di illustrare l’elaborazione che possiamo fare, con le nostre forze attuali, per sviluppare l’opposizione alla guerra nel contesto della scuola pubblica, quale terreno di intervento per sperimentare una pratica di classe.
Pensiamo che la scuola pubblica sia un contesto cruciale, sotto numerosi punti di osservazione, in quanto essa riflette le contraddizioni politiche, economiche e sociali dell’intera società. Come diceva Lenin, infatti, “(…) quanto più evoluto è uno Stato borghese, tanto più sottilmente esso mente affermando che la scuola può restare estranea alla politica e servire la società nel suo complesso. In realtà, la scuola è stata trasformata per intero in uno strumento di dominio della classe borghese, è stata permeata dello spirito borghese di casta, si è vista assegnare il compito di fornire ai capitalisti docili servi e operai capaci (…). Noi diciamo che nel settore della scuola la nostra causa è la stessa lotta per rovesciare la borghesia e dichiariamo apertamente che la scuola estranea alla vita e alla politica è una menzogna e un’ipocrisia”1.
Oggi, infatti, la scuola costituisce un terreno di escalation dell’autoritarismo e della militarizzazione interna, testimoniata da una didattica che sempre più strizza l’occhio al fascismo, dall’affinamento degli strumenti di controllo, dalla negazione degli spazi, dall’esautorazione degli organi collegiali e dalla repressione delle voci critiche. I processi che la investano e quello della deriva autoritaria e militarista della società sono due binari che viaggiano insieme, come l’esempio del green pass dimostra efficacemente.
Pensiamo ai casi del personale non vaccinato prima sospeso, poi rientrato in servizio e oggetto della vessazione di non poter far lezione, destinato ad altre mansioni non specificate, con un orario esteso fino a 36 ore.
Sono state esemplificative anche le vergognose parole del ministro Bianchi sul rientro a scuola del personale non vaccinato: “Gli insegnanti inadempienti disattendono il patto sociale ed educativo su cui si fonda la comunità nella quale sono inseriti. Il puro e semplice rientro in classe avrebbe comportato un segnale altamente diseducativo. Per questo si è dovuto trovare un ragionevole equilibrio tra il diritto dei docenti non vaccinati di sostentarsi e il loro dovere di non smettere mai di fornire il corretto esempio”2.
Che il ruolo del docente sia stato svilito lo si poteva già notare anche a partire dal fatto che lezioni e videoconferenze su Costituzione e cittadinanza, bullismo e cyberbullismo, storia, scienze naturali, tecnologia e scienze motorie sono state sempre più frequentemente tenute da militari e poliziotti, in un’opera costante di depauperamento del ruolo del docente.
Ciò rappresenta un tassello particolare di una tendenza più generale, quella della promozione dell’autoritarismo, dell’uso dell’approccio militare e della paura nelle scuole, per formare individui pronti a chinare la testa nel mondo del lavoro e assuefatti al clima di guerra nel quale l’imperialismo ci sta precipitando.
La militarizzazione dell’istruzione
Nei contesti degli istituti scolastici, nell’ultimo decennio sono visibilmente aumentati i progetti di alternanza lavoro, ora “Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento” (Pcto), presso consorzi industriali di produzione di armamenti, caserme e basi militari mentre, parallelamente, si è assistito a cori, sfilate e bande musicali di militari nelle scuole di ogni ordine e grado, soprattutto in zone limitrofe a basi dell’esercito, come è il caso della Sicilia.
Proprio al termine dello scorso anno scolastico, nella città di Messina, oltre trecento alunne e alunni di scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado, con i loro docenti, hanno partecipato alla “Festa dell’Arma” in presenza di carabinieri e forze speciali, con il relativo sfoggio di armi, nella cornice ideologica del “passaggio di consegne” alle future generazioni.
La tendenza alla militarizzazione dell’istruzione non è una parola vuota, bensì un processo graduale, benché incalzante, che rispecchia la direzione ideologica della classe al potere e che trova chiarezza nel testo della Legge n.124 del 2007 in cui si palesa l’obiettivo nelle scuole di “far crescere la consapevolezza per i temi dell’interesse nazionale, e della sua difesa (…)”. Nella medesima direzioneopera il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (Dis), cioè del vertice governativo dei servizi segreti italiani: il Dis “deve essere in continuo contatto con il sistema educativo nazionale, dalle scuole superiori all’Università, e con tutti coloro che si occupano a vario titolo di intelligence e contribuiscono alla creazione di una via nazionale per la diffusione della cultura della sicurezza”.
A partire dalla Legge n. 124 nascono e si concretizzano numerose collaborazioni pilota a livello locale fino al 2014, anno in cui il legame tra apparato militare e istituzioni scolastiche registra un salto di qualità, perché viene formalizzato in ambito nazionale per mezzo di un protocollo d’intesa ad hoc tra ministero della difesa e ministero dell’istruzione, università e ricerca. Tale protocollo sarebbe volto a favorire “l’approfondimento della Costituzione italiana e dei principi della Dichiarazione universale dei diritti umani, in riferimento all’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione” . A tale protocollo nazionale ne seguiranno diversi a livello locale.
Una primo esempio è la firma, nel 2015, di un protocollo d’intesa tra l’Ufficio Scolastico regionale dell’Emilia Romagna con il locale comando militare dell’esercito per la realizzazione delle attività di alternanza scuola-lavoro rivolgendosi, come da prassi, ai licei e agli istituti tecnici e ad indirizzo economico, per impiegare studentesse e studenti in pratiche di archiviazione e aggiornamento dei data base presso l’ufficio documentale dell’esercito.
Un altro esempio più recente, rispetto al processo di militarizzazione che investe la scuola pubblica, è rappresentato dal caso della Sicilia dove, il 20 dicembre 2021, l’ufficio scolastico regionale dell’isola e il comando dell’esercito hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per promuovere lo svolgimento delle attività di Pcto prima citate in alcuni dei principali reparti delle forze armate sul territorio, in nome di non meglio precisati valori etico-sociali, della storia e delle tradizioni militari.
Il protocollo in questione fornisce un elenco di reparti, reggimenti ed enti individuati proprio dal Comando dell’Esercito in cui è possibile, dallo scorso anno scolastico fino ai prossimi tre anni, sviluppare dei percorsi di formazione per gli studenti, ovvero impiegarli come manodopera gratuita in “riparazioni di apparati telecomunicazioni e veicoli”, “gestioni magazzini e depositi”, “manutenzione del verde”, “gestione del servizio cucina e distribuzione del vitto”, “falegnameria”, “verniciatura”, “lavorazioni in officina e laboratori presso il 6° Reggimento Bersaglieri della Brigata Aosta a Trapani” e altri3.
Sottolineiamo inoltre che la militarizzazione dell’istruzione non passa esclusivamente tra i banchi di scuola, ma pervade anche le nostre università4, non solo attraverso accordi bilaterali e collaborazioni di ricerca militare con regimi di occupazione e criminali quali quello sionista, ma anche tramite veri e propri corsi di laurea basati su accordi con le istituzioni militari. Pensiamo al caso della regione Sardegna dove, a Sassari, un corso di laurea in “cooperazione e sicurezza internazionale”, afferente al dipartimento di giurisprudenza, si propone di formare soggetti capaci di attivare “un’analisi di impatto delle politiche di sicurezza, supporto alla pace e cooperazione allo sviluppo e un’analisi dei bisogni delle popolazioni oggetto di aiuti umanitari”. La figura professionale formata, secondo questi apparentemente nobili scopi, potrà intraprendere la carriera di quadro o funzionario nelle amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche tese alla protezione civile, nelle organizzazioni internazionali non governative e nelle reti di volontariato orientate alla tutela dei diritti umani, alla cooperazione internazionale, alla risoluzione dei conflitti, finanche alla tutela dei beni artistici e storico-culturali, fino ad arrivare alla carriera di tecnico analista in organizzazioni private e pubbliche, “ con particolare riguardo al monitoraggio delle emergenze”. In altre parole, la figura che emerge dalla formazione di questo percorso accademico sarà in grado, in realtà, in contesti definiti emergenziali, di intervenire con una continuità tra il contesto militare e quello civile.
Se infatti il personale militare ha accesso alle università pubbliche, allo stesso tempo viene formato del personale civile per essere collocato nel contesto della gestione delle missioni militari con il compito di gestire i rapporti con la popolazione locale.
Ciò rappresenta una ridefinizione sostanziale dei confini e delle commistioni dell’ambito militare e di quello civile.
Aggiungiamo, infine, che non sia un caso che gli atenei di Sassari e Cagliari siano presenti all’interno del Distretto aerospaziale sardo (Dass). Costituitosi il 15 ottobre del 2013, si pone gli obiettivi di far crescere, sviluppare e far collaborare le imprese sarde del settore, sostenere la ricerca e favorire la formazione professionale. Tra le società presenti del Dass si segnalano la nota Alenia Aermacchi e la Vitrociset, con sede a Capo San Lorenzo, attigua al Poligono Sperimentale del Salto di Quirra, utilizzata per i test e l’addestramento su sistemi di guerra elettronica e sistemi aerei e missilistici.
La subordinazione della scuola alla guerra imperialista la si vede del resto anche dai prospettati tagli all’orario e al riscaldamento per il risparmio energetico imposto in nome delle sanzioni alla Russia.
Costruire collettivi studenteschi
È chiaro che l’adesione ideologica alla guerra imperialista e il reclutamento di giovani nelle fila delle forze armate statali sono gli obiettivi del processo di militarizzazione della scuola pubblica: un’adesione che in primis consenta di convincere i giovani che i loro interessi combacino con quelli della “patria”, rendendosi quindi disponibile ai sacrifici, nel nome di un presunto interesse comune e, conseguentemente, siano portati a identificarsi con l’imperialismo italiano.
Come era già accaduto nei confronti dell’autoritarismo “pandemico”, fra gli insegnanti non sono comunque mancati esempi di rifiuto della narrazione imposta dal regime sulla guerra, con dibattiti e iniziative, ma anche attraverso la trasmissione di un punto di vista critico agli studenti.
Non potendoci limitare a questo dato d’inchiesta, serve dotarci, come comunisti, di strumenti che consentano di rivolgerci al referente degli studenti, con l’obiettivo di una formazione necessaria alla lettura della realtà, per poterla mettere in discussione.
L’erosione dell’agibilità politica e di spazi di dibattito e approfondimento registrata nelle scuole in questi ultimi due anni, ci deve spronare alla mobiliazione per respingerla creando aggregazione e organizzazione sul tema della lotta alla guerra imperialista e del militarismo nelle scuole. Dopo anni di tagli all’istruzione pubblica, isolamento, negazione degli spazi, didattica a distanza, profondi disagi e abbandono scolastico, serve dare fiato e spazio al protagonismo della componente studentesca con la quale è possibile organizzare lezioni ad hoc sulle cause della guerra imperialista, assemblee di classe e d’istituto, affinché dalla formazione possa germogliare la consapevolezza di dover lottare in primis contro l’imperialismo di casa nostra.
Questi strumenti di formazione possono rivelarci quanta curiosità e quanta spinta al cambiamento siano nascoste nelle giovani generazioni sotto la coltre di un contesto, come quello scolastico, che le conduce alla passività e all’atomizzazione. Nelle università bisogna prendere esempio e relazionarsi agli studenti contro il green pass, che hanno già preso una chiara posizione contro la guerra imperialista e la Nato.
In conclusione, è necessario che si faccia il possibile per favorire le condizioni ideali affinché nelle scuole si sperimenti la creazione di collettivi studenteschi, quali strumenti per lo sviluppo del dibattito, della formazione e della lotta. Di fronte all’acuirsi della volontà della borghesia imperialista di piegare la scuola alle logiche ed esigenze belliche serve organizzarsi e mobilitarsi per la difesa della scuola pubblica come conquista delle masse e per contrastare la “guerra in cattedra”, con l’orizzonte di una società in cui l’istruzione non sia piegata al profitto, ma all’interesse collettivo.
1 Lenin, Discorso al I Congresso di tutta la Russia dei lavoratori dell’istruzione e della cultura socialista, 1918, in Opere Complete, volume 29, Editori Riuniti, p. 489
2 N. De Cristofaro, I Cobas dicono No all’accanimento contro i docenti sospesi, Giornale dei Comitati di base della scuola, n.13, aprile 2022, pag 6
3 A. Mazzeo, Alternanza scuola lavoro nelle forze armate. Il protocollo d’intesa tra l’USR Sicilia e il Comando dell’Esercito, 1/5/2022, antoniomazzeoblog.blogspot.com
4 A tal proposito si veda l’opuscolo del movimento No Muos, Università e guerra, Catania, 2022