Denaro mondiale, Rotazione del capitale
“Glossario” da Antitesi n.11 – pag.81
Denaro mondiale
Per cogliere i tratti essenziali della dinamica monetaria internazionale che caratterizza la fase imperialista e in particolare le guerre monetarie che si manifestano nell’ambito della crisi generale del capitalismo, con il suo corollario della crisi di egemonia Usa e dell’indebolimento del dollaro come valuta globale, è necessario mettere al centro la questione della funzione del “denaro mondiale”.
Il dato di fatto è che il denaro reale, il mezzo di pagamento per eccellenza, è il “denaro mondiale”: la determinata forma autonoma del valore che si presenta di fronte a tutte le merci nel commercio mondiale. È quel denaro che concretamente funziona come mezzo di pagamento per la compensazione degli esiti sulle bilance dei pagamenti che risultano dagli scambi tra le diverse formazioni con monete diverse (cioè tra le diverse aree monetarie). È su questo denaro mondialmente riconosciuto che poggia necessariamente anche il sistema monetario basato sulla moneta-credito.
Con l’avvento della moneta-credito non convertibile, per far fronte alle condizioni di grave illiquidità determinate dalla crisi di sovraccumulazione iniziata alla fine degli anni ’60, è assunto come denaro mondiale il dollaro in quanto moneta nazionale della formazione imperialista dominante. Questa assunzione emerge con la “forza della necessità” dati i limiti dell’utilizzo dell’oro rispetto al ritmo di crescita e al volume dell’economia mondiale.
L’inderogabile richiesta di denaro mondiale si rivolge alla moneta nazionale della formazione economico-sociale che riunisce un insieme di caratteristiche costitutive del primato imperialista: 1) avere l’economia più grande per poter garantire più facilmente la massa critica di moneta necessaria alla circolazione mondiale; 2) esercitare il più forte dominio ed egemonia sul piano globale e disporre quindi della maggiore estensione di aree dominate e della più grande sfera d’influenza; 3) avere la Banca centrale (Bc) con la maggiore credibilità antinflazionistica per poter garantire più stabilmente le relazioni di valore. In sintesi il primato imperialista determina che i mercati internazionali (circolazione delle merci e dei capitali) siano denominati nella divisa della potenza dominante. Si tratta di prezzi e quotazioni di materie prime, prodotti, titoli, eccetera, oltre che investimenti esteri e ritorno di profitti. Tutti denominati nella valuta della potenza imperialista dominante che funziona da vero e proprio denaro mondiale.
Ne deriva che nei flussi monetari internazionali una posizione esclusiva è occupata dalla formazione imperialista la cui moneta funziona come denaro mondiale, il dollaro Usa. Il flusso e il deflusso di denaro mondiale riguarda la sua stessa moneta di cui la Fed (la Bc degli Usa) ha naturalmente potere di emissione. Qui il deflusso è un deflusso di moneta che non deve essere riacquistata dalla Fed e non ne intacca le riserve dato che può essere sostituita, e quindi la riserva reintegrata, semplicemente tramite nuove emissioni. Inoltre la moneta defluita, trattandosi di denaro mondiale, facilmente finisce con l’accumularsi nei fondi di riserva pubblici e privati (delle Bc, delle banche e delle grandi imprese) delle altre formazioni, evitando così ricadute inflattiva.
La formazione imperialista dominante gode quindi del privilegio esclusivo di avere la propria moneta-credito non convertibile accolta ovunque come riserva di valore, con gli enormi vantaggi che ne derivano come, ad esempio, quello di poter avere la bilancia commerciale in costante (e anche consistente) passivo senza che ciò sia causa di crisi monetarie. I saldi della sua bilancia dei pagamenti in disavanzo, finanziati tramite nuove emissioni monetarie della sua Bc, costituiscono infatti la base di offerta del denaro mondiale. E finché la sua moneta funziona come denaro mondiale, cioè finché resta la formazione imperialista dominante, il suo debito si trasforma in “oro”.
Quindi grande è la posta in gioco rispetto ai recenti tentativi delle potenze imperialiste rivali agli Usa, come Cina e Russia, di porsi in controtendenza al ruolo mondiale del dollaro.
Rotazione del capitale
Il tempo in cui il capitale compie il suo ciclo è la somma del tempo di produzione e del tempo di circolazione. Il tempo di circolazione e il tempo di produzione si escludono a vicenda e durante il tempo in cui circola il capitale non si ha valorizzazione (produzione di plusvalore)1.
Marx definisce il ciclo del capitale, determinato non come processo singolo, ma come processo periodico, la rotazione del capitale. La durata della rotazione del capitale è data dalla somma del tempo di produzione e di quello della circolazione del capitale.
La rotazione è quindi il ciclo che compie il valore capitale che un capitalista individuale investe (in qualunque branca produttiva) sino al compimento della realizzazione, cioè quando il capitalista individuale, dopo aver realizzato il valore capitale tramite la vendita delle merci prodotte, se lo ritrova nella forma utile per rinnovare nuovamente il suo ciclo. Il capitalista individuale si trova quindi nella condizione di dover rinnovare continuamente il ciclo per continuare a valorizzare il capitale investito.
Il tempo di rotazione (che è la somma del tempo di produzione e del tempo di circolazione) corrisponde alla durata del ciclo; minore è il tempo di rotazione più velocemente il capitalista può rinnovare il processo di valorizzazione. Quello che ne deriva è che la riduzione del tempo di circolazione permette una più veloce rotazione e quindi una maggiore valorizzazione in un arco temporale determinato.
La velocità di rotazione dei capitali individuali compone la velocità di rotazione del capitale complessivo e influisce sulla cosiddetta redditività sistemica. Da ciò deriva che la velocizzazione della circolazione delle merci (sia che si trovino nella forme di mezzi di produzione che di beni di consumo) diventa compito primario per le istituzioni poste a garanzia della valorizzazione complessiva (Stati, o istituzioni come Banche Centrali, che erogano finanziamenti pubblici) come si evidenzia con gli investimenti pubblici nella ristrutturazione del settore (vedi Tav, porti, ecc.).
La rivoluzione continua nella logistica e nei mezzi di trasporto è la conseguenza di questa spinta per una sempre maggiore rapidità, congiunta all’incremento della capacità dimensionale, per concretizzare una diminuzione del tempo di circolazione del capitale, parallelamente alla diminuzione dei costi. Tutto ciò si traduce inevitabilmente in una spinta all’intensificazione dello sfruttamento dei lavoratori impiegati nel settore dei trasporti e della logistica.
1 Cfr. Carl Marx, Il Capitale, vol. 2, cap. 5