Andrà tutto bene se lottiamo
Lotta di classe nella seconda fase pandemica
“Classi sociali, proletariato e lotte” da Antitesi n.10 – pag.23
Offensiva padronale e lotta operaia
La primavera scorsa, l’inizio della fase pandemica di Covid19 è stata scandita dalle forti mobilitazioni dei lavoratori, scesi in campo in difesa della salute nei luoghi di lavoro. Mentre i Dpcm imponevano il lockdown nei territori, lasciavano “liberi” i lavoratori di continuare a produrre per il profitto, a discapito della loro salute e sicurezza. Il protagonismo operaio si è manifestato con scioperi spontanei e blocchi dei reparti, rivendicando l’attivazione delle condizioni minime di sicurezza, battendosi contro padroni, governo e burocrazie sindacali confederali, imponendo loro la chiusura parziale degli impianti fino a che non fossero state adottate le misure di sicurezza anti-contagio necessarie1. Le iniziative governative di “legge e ordine” dei mesi successivi, gli accordi sindacali confederali sulle condizioni di lavoro in fabbrica in merito alla diffusione pandemica, la pesante crisi economica che si è abbattuta con licenziamenti e casse integrazioni, sono andate nella direzione di provare a “silenziare” le lotte e normalizzare la situazione.
Ora, nella fase attuale, caratterizzata dall’approfondimento delle misure governative coercitive che stanno portando letteralmente alla fame interi settori di masse popolari, si inserisce l’offensiva di governo e padroni per definire ulteriori misure a difesa del profitto e per intensificare gli attacchi alle conquiste del proletariato.
Il neonato governo a guida Draghi, esponente di punta dell’oligarchia finanziaria, si pone in continuità e accelerazione sul piano dell’attacco alle conquiste di classe, portate avanti dai governi di ogni colore in questi anni. Inoltre dovrà gestire l’enorme quantità di denaro proveniente dal recovery fund rispondendo agli interessi di Confindustria e del capitale finanziario, con il quasi intero sostegno delle forze politiche parlamentari e con quello dei vertici dei sindacati collaborazionisti.
Un piano di offensiva padronale, fondato sul clima di “unità nazionale”, che dovrà tenere conto degli esempi di lotta, agitazione e insubordinazione che vi sono stati in questi mesi da parte della classe operaia e delle masse popolari. Anche se in modo diversificato, contraddittorio e frammentato, le variegate mobilitazioni di questi mesi hanno espresso il malcontento sociale che serpeggia e che potrebbe esplodere con l’avvitarsi della crisi.
Per questo motivo l’offensiva di Stato e padroni dovrà essere calibrata con la politica del “bastone e la carota”, con l’unione di misure di attacco ad altre di contenimento e prevenzione del malessere sociale, con l’obiettivo di mantenere una condizione di egemonia rispetto ai lavoratori e alle masse popolari e prevenirne ogni loro possibile protagonismo.
Un banco di prova per questo modello di azione sarà dato, anche, dalla tornata di rinnovi contrattuali nelle prossime settimane: nel settore privato sono 49 i contratti in attesa di rinnovo e coinvolgono circa 10 milioni di lavoratori (l’80,9% del totale). Tra i contratti nazionali in attesa di rinnovo vi sono quelli delle aziende del terziario e della distribuzione dei servizi, il Ccnl della logistica e del trasporto merci, delle imprese dei servizi di pulizia e quello delle cooperative del settore socio-sanitario, assistenziale ed educativo2.
In questa tornata di rinnovi contrattuali i padroni punteranno al depotenziamento degli istituti contrattuali nazionali, a favore della contrattazione decentrata, territoriale e aziendale, cercando di capitalizzare a proprio vantaggio la situazione di chiusure, precarietà e ricattabilità affermatasi in questi mesi. Il fallimento della politica sanitaria nazionale, dovuto alle privatizzazioni e ai tagli dei fondi pubblici alla sanità attuato da governo e regioni negli ultimi anni, verrà usato a favore dei padroni per incentivare l’istituzione dei welfare aziendali, della previdenza e della sanità integrativa, istituti che già sono stati introdotti ed estesi a moltissimi contratti collettivi di lavoro negli anni passati.
Azione padronale che, come detto, dovrà conciliare l’obiettivo di sfruttare a proprio vantaggio l’attuale rapporto di forza favorevole evitando di gettare troppa benzina sul fuoco delle contraddizioni e verrà portata avanti cercando di scaricare sui lavoratori la loro crisi di profitto, ma con l’attenzione a non esacerbare lo scontro in una fase di fibrillazione sociale.
Una versione di questo modello di azione può essere letto analizzando la recente firma di accordo di rinnovo del contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici, siglato tra le organizzazioni padronali (Federmeccanica, Assistal) e confederali il 5 febbraio scorso.
Un accordo che è il prodotto del corporativismo dei sindacati confederali3 e del cambio di rotta all’interno di Confindustria. Dopo una prima rottura del tavolo di trattativa ad opera di Federmeccanica, la quale su pressione del neoeletto Bonomi non voleva concedere aumenti salariali, la trattativa si è magicamente sbloccata dopo appena 4 ore di sciopero nazionale, evitando quindi, il coinvolgimento e la mobilitazione attiva dei lavoratori.
Gli aumenti salariali concordati, 104 euro a regime nel 2024 per l’ex Terzo livello ora denominato D2, sono una elemosina che non recupera il salario perso negli anni passati, ma sono anche in controtendenza rispetto al contratto precedente che vedeva gli aumenti legati all’indice Ipca e alle offerte iniziali dei vertici di Federmeccanica e Assistal, che proponevano aumenti massimi di 40 euro. Il prodotto economico finale di questa ipotesi di accordo è risultato così in opposizione alla linea più volte espressa dal capo di Confindustria Bonomi4 che, minacciando un futuro di chiusure, licenziamenti e disoccupazione, ed essendo espressione delle aziende legate più all’esportazione che ai consumi interni, non voleva concedere alcun aumento salariale, al limite accettando uno scambio che incentivasse il welfare aziendale o la previdenza sostitutiva. Cosa che è stata fatta in questo accordo contrattuale con l’aumento del contributo aziendale al fondo previdenziale Cometa che passa dal 2 al 2,2% per i lavoratori under 35 anni iscritti al fondo. Ma la sottoscrizione di questo accordo sul rinnovo del contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici ha il pregio, per la borghesia industriale nostrana, di tenere fuori dall’arena delle piazze la classe operaia del manifatturiero metalmeccanico e far si che le lotte di questo settore, un comparto produttivo che conta circa 1 milione e ottocentomila lavoratori, non si saldino con le altre lotte delle masse popolari sotto attacco. Hanno perseguito l’obiettivo, quindi, di comprare la pace sociale nelle fabbriche, con la complicità dei servi confederali.
In questo rinnovo contrattuale l’attacco al salario operaio gli industriali lo ottengono in forme diverse, con l’allungamento della durata del contratto, che si protrarrà per un anno arrivando al 2024 e con la modifica dell’inquadramento contrattuale istituito nel Ccnl del 1973.
“Tutto questo è stato possibile ottenerlo, dice il presidente di Federmeccanica Dal Poz, grazie alla riforma dell’inquadramento che Federmeccanica e Assistal hanno messo al centro della trattativa”5. Con il pretesto di cambiare un istituto contrattuale considerato arretrato in vista della implementazione di nuove mansioni professionali con l’attuazione del modello Industria 4.0, i padroni hanno riorganizzato la classificazione all’interno delle fabbriche, riparametrando così i corrispondenti livelli salariali. Pur venendo abolito il livello più basso, il Primo, nel nuovo inquadramento vengono aumentati il numero di profili professionali che possono essere inquadrati nel livello D1, corrispondente al vecchio Secondo livello6. Così ora mansioni professionali, che prima erano inquadrate nel vecchio Terzo livello (ora D2) e nelle quali si colloca la maggioranza degli operai metalmeccanici, ora vengono inquadrate nel livello più basso il D1 (il vecchio Secondo livello), con il conseguente abbassamento della quota di salario da corrispondere al lavoratore.
Con questo nuovo inquadramento contrattuale, studiato dai padroni su 43 mansioni principali che compongono il lavoro di fabbrica metalmeccanico, 27 partiranno da un livello più basso di quello del contratto precedente, 16 mansioni dallo stesso livello e nessuna mansione da livelli superiori7. Inoltre, in questa nuova classificazione contrattuale, sono inserite le cosiddette competenze trasversali soft skills, come ad esempio la conoscenza di uso di pacchetti informatici o competenze “relazionali e di gestione dei conflitti” (definite proprio così nell’accordo) che diventano un criterio disponibile nelle sole mani dei padroni per la determinazione di passaggio di livello professionale del lavoratore.
Questo nuovo contratto, il primo nell’era Draghi, da un lato recepisce nella sostanza le esigenze degli industriali con la riscrittura dei livelli, dall’altro, mette momentaneamente all’angolo la linea Bonomi, concedendo l’elemosina in cambio di una pacificazione delle fabbriche.
Il fatto che gli operai delle fabbriche tendano a mobilitarsi meno in questa fase, ad essere più facilmente circoscritti all’interno dell’argine del sindacalismo collaborazionista, non deve indurre a pensare che all’interno non maturino contraddizioni, scontri e malcontento. Per i comunisti è urgente porsi la questione dell’inchiesta in questo importante settore produttivo, per riallacciare e consolidare i legami con questa sezione della classe operaia, costantemente sotto attacco e che, nelle singole vertenze o quando riesce a rompere gli argini imposti dai sindacati corporativi, dimostra la sua forza e la sue potenzialità nello scontro di classe.
Il timore e la preoccupazione della borghesia di una possibile mobilitazione della classe operaia, ci viene indicato anche dai fatti del novembre scorso sulla lotta dei lavoratori all’ArcelorMittal (ex Ilva) di Cornigliano, Genova. Qui i lavoratori sono scesi in sciopero per fermare i licenziamenti di tre loro compagni adottati con motivi pretestuosi, come l’aver portato una macchina per il caffè nelle sale ristoro o aver denigrato il direttore in una chat privata. Alle iniziative di sciopero in solidarietà ai lavoratori licenziati la direzione di fabbrica aveva risposto con 250 lettere di sospensione, ma l’ulteriore inasprimento della lotta operaia con blocchi ai cancelli, manifestazioni in città con il coinvolgimento di lavoratori di altre fabbriche come Fincantieri e i portuali genovesi, hanno bloccato i licenziamenti e obbligato la direzione dello stabilimento a ritirare le lettere di sospensione comminate ai lavoratori8.
Oltre che con i rinnovi contrattuali, i padroni portano l’attacco al salario operaio per salvaguardare le proprie quote di profitto anche sugli strumenti della contrattazione aziendale, da loro invece prima esaltati come strumenti per difendere il “potere d’acquisto” del salario, ma solo per svalutare la forza dei contratti collettivi nazionali.
Lo sanno bene i duemila lavoratori degli stabilimenti Berco facenti parte del gruppo ThyssenKrupp dei siti di Copparo in provincia di Ferrara e di Castelfranco in provincia di Treviso. Gli operai degli stabilimenti del gruppo, il primo ottobre scorso, hanno dovuto attuare 56 ore di sciopero e presidi ai cancelli delle fabbriche contro la decisione della direzione aziendale di disdetta della parte economica dell’integrativo aziendale che doveva essere riconosciuta ad ogni dipendente, poiché non erano stati raggiunti gli obiettivi produttivi aziendali prefissati. Con questa forma di lotta e di determinazione i lavoratori e le lavoratrici degli stabilimenti sono riusciti ad imporre le proprie condizioni ai vertici aziendali e a riconquistarsi questa parte del salario9.
Altrettanto è dimostrato dalla decisione della direzione di Avm-Actv-Vela, azienda del trasporto pubblico e di servizi del comune di Venezia, che motivando con la causale pandemica, in barba alle condizioni in cui hanno dovuto continuare ad operare i lavoratori del trasporto pubblico, ha disdetto le voci economiche e normative dell’accordo integrativo aziendale per tutti i 3100 dipendenti, con un taglio complessivo di 16,5 milioni di euro, comportando una riduzione al salario dei lavoratori e delle lavoratrici di circa 250-350 euro lordi. Contro questa decisione aziendale vi è stata una mobilitazione generale dei lavoratori veneziani in occasione delle 4 ore di sciopero nazionale dei trasporti indetto l’8 febbraio scorso, inserito nella vertenza del rinnovo del contratto collettivo nazionale del trasporto pubblico e degli autoferrotranvieri. Per ammissione della stessa direzione aziendale di Avm-Actv-Vela allo sciopero hanno aderito il 97,6% dei lavoratori del settore navigazione e il 98,1% di quello automobilistico (gli autisti dei bus), con presidio di centinaia di lavoratori fuori degli uffici della direzione aziendale10.
Altro strumento usato per l’offensiva padronale, soprattutto dei grandi gruppi multinazionali, è quello della delocalizzazione degli impianti dettata da logiche di ristrutturazione complessiva del gruppo per la ricerca di maggiori quote di profitto. Come è accaduto ai 330 lavoratori della Whirlpool di Napoli che, dopo mesi di lotte con scioperi, blocchi stradali e manifestazioni cittadine hanno dovuto accettare la chiusura dello stabilimento il 31 ottobre scorso ed ora sono in cassa integrazione causa Covid, scaricando quindi i costi della ristrutturazione padronale sulla collettività, fino al primo aprile 2021. O come sta accadendo alla Abb di Marostica (Vi), fabbrica elettrotecnica, dove la multinazionale svizzera proprietaria ha deciso la chiusura degli impianti perché non rispondenti ai margini di profittabilità previsti, decidendo quindi il trasferimento degli impianti in Bulgaria ed ora un centinaio di lavoratori continuano la lotta con presidi ai cancelli per fermare questo progetto di delocalizzazione. Va comunque detto che il fenomeno della delocalizzazione, molto usata fino a pochi anni fa nelle politiche industriali dei grandi gruppi monopolisti, ha subito un notevole rallentamento e si sta progressivamente affermando, invece, la pratica del reshoring, la riallocazione nel proprio paese di stabilimenti prima delocalizzati11.
A fianco di queste lotte che si sono sviluppate a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale ci sono stati importanti episodi di lotta dei lavoratori e delle lavoratrici del comparto della logistica, che continuano nella difesa del salario e delle proprie condizioni all’interno dei magazzini, anche a prezzo di dure repressioni delle avanguardie di lotta e dei lavoratori. Ultimo ed importante esempio è stato quello della vincente lotta nel magazzino della Fedex-Tnt di Piacenza dove è intervenuta addirittura la celere con lacrimogeni e manganellate sugli operai per disperdere i blocchi ai cancelli attuati dai lavoratori per tredici giorni consecutivi. Queste lotta, espressione di una forte determinazione operaia, oltre che a problematiche interne, aveva l’obiettivo di contrastare i tagli al personale decisi dalla multinazionale statunitense della logistica che, a livello europeo, riguardano circa 6 mila lavoratori e, nei magazzini italiani, circa 600. Un processo questo della Fedex-Tnt (seconda multinazionale statunitense nel settore dopo Amazon) che va interpretato anche come conseguenza dello sviluppo di Amazon, il quale, con l’impiego di nuove modalità lavorative grazie all’espandersi delle piattaforme online, ha intaccato grosse fette di mercato degli altri competitori presenti nel settore, costringendoli a processi riorganizzativi generali per la riduzione dei costi di produzione12.
Le iniziative di sciopero dei lavoratori piacentini sono avvenute in accordo e simultaneamente con quelle in altri magazzini italiani e anche nel centro di movimentazione merci Fedex-Tnt dell’aeroporto di Liegi, in Belgio, dando prova di come lo sviluppo negli anni delle lotte in questo settore abbia allargato e consolidato forti rapporti di coordinamento tra lavoratori, anche a livello internazionale. Lotta che si è conclusa l’8 febbraio scorso con la sigla dell’accordo sindacale da parte del Si Cobas che sancisce la vittoria dei lavoratori del magazzino piacentino, che hanno ottenuto conquiste sull’applicazione del contratto collettivo, il riconoscimento del premio di risultato per il 2020 e la sua conferma per il 2021, il passaggio del ticket per il buono pasto da 5,20 a 7 euro, mezz’ora di pausa pranzo pagata e soprattutto il blocco dei licenziamenti.
Di fronte all’offensiva dei padroni e del loro governo che verrà sferrata nei prossimi mesi, a partire dalla nuova compagine governativa e dalla linea padronale in merito ai rinnovi contrattuali, nonché dalla loro necessità di sbloccare i licenziamenti, possiamo trarre insegnamenti dai significativi esempi di lotta descritti sopra. L’offensiva potrà essere fermata o ridimensionata solo in virtù dello sviluppo della capacità di lotta e organizzazione della resistenza da parte della classe operaia e del proletariato nel suo complesso.
Fiammate di rabbia popolare
A fine ottobre scorso, quando si profilava l’intenzione governativa dell’allora Conte bis di attuare altre misure contenitive di “legge e ordine”, vi sono state numerose forme di mobilitazione da parte delle masse popolari, sia di lavoratori che della piccola e media borghesia: commercianti, ristoratori, proprietari di bar ecc., con degli esempi di vere e proprie rivolte di massa, soprattutto nelle grandi città, a partire da Napoli per arrivare a Roma, Milano, Torino, Firenze, con migliaia di partecipanti che si sono mobilitati per manifestare la loro contrarietà alle misure governative, arrivando anche a scontrarsi con le forze di polizia. Una situazione esplosiva a cui molte organizzazioni, comitati popolari, realtà politiche dei diversi territori (anche legate ai partiti borghesi di “opposizione”) hanno partecipato unendosi e raccogliendo il disagio e il malcontento popolare che nei mesi di crisi era via via aumentato. Come a Cosenza, nel novembre scorso, dove in migliaia con la parola d’ordine “Derubati, ricattati, umiliati, è tempo di reagire” hanno protestato contro l’instaurazione della zona rossa, sfilando per la città e bloccando lo svincolo dell’autostrada, denunciando il disastro della sanità perpetrato negli anni nella regione Calabria da tutte le forze politiche che hanno gestito il sistema sanitario regionale a favore della sanità privata e saccheggiato i fondi pubblici a vantaggio di pochi privati.
Mobilitazioni di questo tipo hanno attraversato tutto lo stivale e hanno indotto il governo a misure di “alleggerimento” come i ristori per le attività commerciali, il prolungamento della cassa integrazione in deroga e il blocco dei licenziamenti, fino al 31 marzo 2021, per le aziende che hanno utilizzato lo strumento della cassa integrazione. Queste mobilitazioni hanno obbligato la compagine governativa, oltre che a definire le misure sopra citate, a recedere dall’imposizione di nuove misure coercitive che, successivamente, sono state realizzate con le diverse colorazioni delle regioni in giallo, arancione, rosso a seconda delle valutazioni dell’Istituto superiore di sanità (Iss) sul livello del contagio.
Queste mobilitazioni e la determinazione che le hanno caratterizzate, hanno espresso in potenza la formazione di un fronte delle masse popolari. Un fronte che si è formato spontaneamente come risposta alla situazione di immiserimento generale, di mancanza di prospettive per il futuro, all’interno di una contingenze concreta.
Aldilà della contingenza, nel proseguire ed aggravarsi della crisi, sarà lo sviluppo della capacità di lotta del proletariato e la possibile formazione di un suo reparto d’avanguardia che determineranno se e come esso riuscirà a mettersi alla testa delle masse popolari immiserite, sviluppando delle alleanze sociali contro i nemici principali che sono la borghesia imperialista e i suoi governi.
Lotte settoriali
I riders
Grande importanza hanno avuto gli scioperi e le mobilitazioni attuate dai lavoratori riders in difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro.
Lotte che sono partite dalle condizioni di estrema precarietà e ricattabilità in cui vivono questi lavoratori e lavoratrici, che si sono battuti per migliorare le proprie condizioni e combattere la situazione di oggettivo “lavoro a cottimo” che le varie piattaforme di delivery impongono. Le mobilitazioni in questo settore di lavoratori assumono una valenza significativa nel contesto di chiusura e controllo sociale che stiamo vivendo, esprimendo una forte determinazione alla lotta e dimostrando di saper cogliere e imporre un buon rapporto di forza in questo settore che ha visto un grande sviluppo delle piattaforme online in questo ultimo anno..
Dopo le numerose forme di protesta e di lotta attuate da questo comparto di lavoratori i padroni del settore delivery (Assodelivery), con la complicità del sindacato nero Ugl, a ottobre 2020 avevano siglato un accordo farsa di contratto collettivo nazionale del settore13. Un contratto siglato in tempi rapidi con l’obiettivo di contenere lo sviluppo delle mobilitazioni e iniziative di lotta, che non modificava sostanzialmente le condizioni di prevalenza del lavoro a cottimo, mantenendo di fatto il sistema di caporalato con la stretta sorveglianza sul lavoratore, obbligato a una continua “disponibilità al servizio”. Nel contratto era infatti inserita la modalità del “free login” con la quale il lavoratore è costretto ad essere sempre collegato alla piattaforma online della società di delivery e, nelle ore in cui il servizio è attivo, reperibile e pronto per il servizio di consegna, sostanzialmente obbligato a stare in strada ore ed ore senza percepire nessun salario. Veniva così smantellato il precedente sistema di prenotazioni in turni con il quale invece il singolo lavoratore si inseriva in una fascia oraria in cui prestare servizio. Inoltre, in questo contratto, la definizione di paga oraria è relativa solamente alle consegne effettivamente concretizzate e non al tempo di lavoro realmente praticato dal lavoratore, mantenendo così il sistema di lavoro a cottimo.
Contro questo accordo farsa fin da subito i riders sono scesi in campo con numerose mobilitazioni, che hanno coinvolto migliaia di lavoratori nelle principali città italiane, attuando picchetti nei punti di stazionamento e azioni di anticrumiraggio attraverso gli scioperi con ronda, dove gli scioperanti giravano per la città bloccando e requisendo le consegne e distribuendole ai loro compagni in lotta e ai senzatetto che incontravano. Queste lotte e la determinazione dimostrata da questi lavoratori e lavoratrici hanno obbligato una multinazionale del settore come Just Eat ad annunciare, per marzo 2021, le assunzioni alle proprie dirette dipendenze di migliaia di riders, introducendo rapporti di lavoro subordinato e fornendo il vestiario per le consegne del cibo14.
Per una maggiore comprensione della vicenda e prospettiva delle lotte nel settore dei riders rinviamo il lettore all’intervista fatta ad alcuni compagni riders attivi nelle mobilitazioni riportata all’interno di questo articolo.
Il forte aumento avuto nel settore della consegna dei pasti a domicilio, circa il 46% nel 2020, ed i margini di profitto che consente (il 30% del costo della consegna è in media la quota che viene richiesta dalle piattaforme di delivery ai ristoratori) sta portando alla nascita di nuove piattaforme che, sfruttando a proprio vantaggio il clima di contrarietà al lavoro a cottimo, determinatosi grazie alla mobilitazione dei lavoratori riders, irrompono nel mercato delle consegne a domicilio, proponendosi come modello di lavoro “etico”. La loro differenza con le piattaforme tradizionali è il fatto che il lavoratore è assunto con contratti part-time ed il mezzo di trasporto è fornito dall’azienda. Ė il caso di piattaforme come Consegne Etiche a Bologna, azienda patrocinata dal comune, di Giusta a Roma o di Starbox a Milano15. Sempre nel campo del recupero borghese della lotta dei riders, va infine segnalato il tentativo della magistratura di promuovere, con la pressione giudiziaria, un miglioramento delle condizioni di lavoro secondo i canoni della legalità. Si tratta di una campagna giudiziaria a cui le istituzioni sono state in un certo senso costrette dalla forza della mobilitazione, ma che punta a sostituirsi politicamente all’azione diretta dei lavoratori e a rimediare all’assenza dei sindacati paraistituzionali da questa vertenza.
Ovviamente, facendo tesoro di quanto appreso nel corso della lotta, i lavoratori più coscienti avranno la consapevolezza che, solo contando sulla propria mobilitazione e alleandosi con altri settori di classe e di masse popolari, potranno mettere in campo rapporti di forza reali contro il caporalato digitali delle piattaforme, senza fare affidamento al “capitale etico” e delegare nulla alla “giustizia” borghese.
Lavoratori della sanità
Nel settore sanitario, pienamente coinvolto in questa fase pandemica dall’emergenza sanitaria ed esempio plastico della gestione criminale della sanità pubblica da parte di governo e regioni, i lavoratori e le lavoratrici hanno dovuto fare fronte alle deficienze e alle ristrutturazioni attuate da decenni di tagli dei fondi pubblici a favore della sanità privata. Tagli che hanno smantellato il servizio di medicina territoriale ed i posti letto e complessivamente hanno ridotto il personale sanitario di circa 50mila unità, i presidi ospedalieri da 1381 del 1998 a circa 1000 nel 2017, i posti letto da 311mila a 191mila, con la sanità privata che pesa per il 48,2% sulla sanità complessiva. Ad esempio, in Lombardia, il 35% dei ricoveri è sostenuto da ospedali privati a cui va il 40% delle risorse sanitarie regionali16. Drastica riduzione dei posti letto e degli istituti ospedalieri che negli anni è stato giustificato da governi e regioni per incrementare gli istituti di medicina territoriale, come “una necessità di portare al domicilio del paziente le cure di riabilitazione e quelle palliative con assiduità e competenza, e di realizzare forme di ospedalizzazione a domicilio con personale specializzato, che eviti al paziente di muoversi e di affrontare il disagio di recarsi in ospedale”17. Giustificazione di facciata, volta solo a nascondere i veri progetti diretti al taglio dei fondi pubblici, per ampliare gli spazi di intervento della sanità privatizzata in settori in cui è maggiore la quota di profitto per gli ospedali convenzionati e le case farmaceutiche, come gli interventi di chirurgia e le Rsa per anziani, lasciando così lettera morta i piani di sviluppo della medicina territoriale, di prevenzione e di emergenza.
E nel settore della sanità, soprattutto in Lombardia, vi sono continue mobilitazioni dei lavoratori e delle lavoratrici come ad esempio all’ospedale San Carlo, dove i lavoratori rivendicano l’assunzione ed internalizzazione del personale infermieristico e degli operatori socio sanitari che vengono ora assunti con contratti da agenzie interinali e contestano la carenza cronica dei posti letto.
Per ciò che riguarda i rinnovi contrattuali nel settore vi è stato il rifiuto da parte di Aiop (Associazione italiana ospedalità privata) di rinnovo del contratto collettivo (scaduto da 14 anni!), con la vergognosa motivazione che i danni economici li hanno avuti le aziende e non i medici e il personale sanitario, che in questi mesi di emergenza Covid19 hanno sopportato turni massacranti e subito il contagio nei reparti ospedalieri18.
Donne e studenti
Va considerato che tra le categorie sociali più colpite in questo periodo di crisi e di “emergenza sanitaria” vi sono state specialmente quelle delle donne e degli studenti.
Nel mondo femminile vi è stata una fortissima perdita di posti di lavoro. In un solo mese, da novembre 2020 a dicembre 2020, di 99 mila unità, contro 2mila unità per gli uomini, da marzo a dicembre 2020 sono state 312 mila le lavoratrici che hanno perso il posto di lavoro19. Oltre a ciò, le restrizioni imposte, in una società ancora caratterizzata dal patriarcato, le politiche criminali di tagli ai servizi sociali e di aiuto alle famiglie hanno pesato sul carico di lavoro familiare e di cura degli anziani, che è stato ancora di più riversato sulla componente femminile.
Come le condizioni di sfruttamento e di oppressione nella società capitalista pesino sulla condizione femminile è ben spiegato dall’esempio delle lavoratrici della Lis Group, azienda di facchinaggio che opera all’interno della Yoox, colosso dell’e-commerce dell’abbigliamento all’interporto di Bologna, che stanno lottando per denunciare il clima di sfruttamento, razzismo, maschilismo e molestie dominante all’interno del magazzino. Queste lavoratrici e madri, molte di loro immigrate, che hanno iniziato la vertenza sindacale rivendicando turni di lavoro migliori per poter passare più tempo in casa con i propri figli, visto che non hanno salari sufficienti per potersi permettere delle babysitter, hanno scioperato per diversi giorni e hanno lanciato un appello alle lavoratrici ed ai lavoratori della città a sostegno delle loro rivendicazioni il 25 novembre scorso, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne20.
Anche per i giovani studenti, le chiusure imposte da governo e regioni hanno sostanzialmente impedito, dal marzo scorso, il diritto allo studio, rendendo palesi i risultati dei tagli dell’amministrazione pubblica attuata da tutti i governi, di centro destra e centro sinistra, negli anni precedenti. I continui tagli miliardari ai fondi, al personale e agli investimenti nell’istruzione pubblica, oggi più che mai mostrano la caratteristica di una scuola segnata sempre più da un netto divario di classe a scapito degli studenti delle classi popolari.
Già dal lockdown del marzo scorso migliaia di studenti delle scuole e dell’università si sono mobilitati in difesa della scuola pubblica e contro la Didattica a distanza (Dad) che, di fatto, ha impedito lo studio a migliaia di studenti. I dati ci dicono che due studenti su tre non possiedono un computer né un tablet, uno su tre non ha connessioni internet o spazi adeguati in casa e, per questi motivi, metà degli studenti non ha potuto seguire regolarmente le lezioni online21. Durante il periodo primaverile di didattica a distanza, il ministero dell’istruzione non si è preoccupato, e non se ne preoccupa tuttora, di fornire delle piattaforme di interfaccia nazionali alle scuole, di formare gli insegnanti sullo svolgimento di una lezione online, né di procurare loro i mezzi necessari, relegando la responsabilità ai singoli docenti. Detto in altri termini: per tre mesi a milioni di studenti non è stato garantito il diritto allo studio. Tuttavia, il ministro Azzolina definiva la Dad come un “successo”, nonostante le polemiche di massa sorte dagli studenti stessi, dagli insegnanti e da vari rappresentanti studenteschi.
La mobilitazione studentesca, dei lavoratori del settore e delle famiglie, ha avuto sviluppo fin dal maggio scorso, portando parole d’ordine come trasporti adeguati a prevenire il contagio, il diritto allo studio universale, pubblico e gratuito, non volendo pagare il fallimento della didattica a distanza, rivendicando il rientro in sicurezza nelle aule con sufficienti spazi per tenere un massimo di 14 studenti, in modo da garantire 5 metri quadri per persona, più assunzioni perché il rapporto docente studenti sia di uno a tredici, un piano straordinario per l’edilizia scolastica e forti riduzioni delle tasse universitarie. Alle rivendicazioni non vi è stata nessuna risposta da parte del ministero dell’istruzione, il quale alla riduzione del numero di componenti della singola classe riassunta nella parola d’ordine “no classi pollaio” rispondeva ridicolmente “aprite le finestre”.
Le mobilitazioni studentesche, dei genitori e dei lavoratori, sono continuate nei mesi scorsi con continui presidi davanti alle scuole e università chiuse, con lezioni autogestite dagli studenti e con occupazioni, come al liceo Manzoni di Milano e al liceo Kant di Roma che ha visto l’intervento della sbirraglia nel tentativo di bloccare la determinazione della lotta.
Altre mobilitazioni e lotte nelle carceri
Se il mondo della sanità e della scuola sono stati fortemente attaccati dalle politiche criminali di taglio ai fondi pubblici realizzate da tutti i governi succedutisi negli anni, questo non è avvenuto nei piani di costruzione della linea ad alta velocità Torino-Lione, che per padroni e governo rappresenta ancora una priorità. Contro questi progetti da oltre venti anni è in lotta il movimento No Tav, che anche lo scorso dicembre ha attuato manifestazioni e presidi contro l’allargamento del cantiere a Chiomonte in Val di Susa rivendicando l’inutilità, la dannosità e nocività della linea Tav Torino-Lione, mettendo in relazione le scelte politiche dei governi che hanno avvallato la enorme spesa pubblica destinata alla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità (circa 9 miliardi di euro), ai tagli e ai disastri perpetrati nella sanità.
La forza del movimento No Tav si è vista soprattutto in merito alla capacità di resistenza nei confronti della repressione, che è stata mutata in rafforzamento ed estensione della lotta stessa. Così si è da ultimo verificato al carcere di Torino, dove le compagne imprigionate per la loro partecipazione alle mobilitazioni in Val di Susa, hanno condotto uno sciopero della fame e una mobilitazione assieme ad altre prigioniere per rivendicare migliori condizioni di detenzione.
In diverse carceri italiane, infatti, dalla primavera scorsa vi sono mobilitazioni dei detenuti, poiché il disastro sanitario nella fase di diffusione pandemica da Covid19 ha riversato le sue conseguenze anche in questa parte di società. Mentre il governo attuava misure e direttive per il distanziamento sociale e l’utilizzo delle mascherine, nulla veniva fatto nelle carceri per impedire la diffusione del contagio e garantire la salute dei detenuti, ma anzi, l’unica misura presa dalla direzione penitenziaria è stata quella di impedire i colloqui e la consegna dei pacchi dei familiari, con la motivazione di prevenire la diffusione del Covid19.
Tutto ciò ha portato alle rivolte dei detenuti, nel marzo scorso, che a partire dal carcere di Modena si sono estese in 21 carceri italiane alle quali la polizia penitenziaria ha risposto con brutali repressioni, con 13 assassinii di detenuti, gestiti dai massmedia come morti per overdose di farmaci e metadone, e con vessazioni continue e trasferimenti di detenuti nelle settimane successive alle rivolte.
A squarciare il velo di ipocrisia e omertà istituzionale sul comportamento dei reparti della polizia penitenziaria e a dire la verità sulle morti dei loro compagni di cella sono stati proprio alcuni detenuti rinchiusi allora nel carcere di Modena, che hanno denunciato il terrorismo attuato dagli sbirri, con spari ad altezza d’uomo e pestaggi indiscriminati e continui nei confronti dei prigionieri.Questi cinque detenuti sono ora oggetto di vessazioni, con continui trasferimenti, blocco della posta, dei pacchi, mancanza di cure mediche e minacce da parte degli sbirri e dei Pm perché ritrattino le loro denunce.
Le mobilitazioni a sostegno dei detenuti che ci sono state da parte di collettivi di compagne e compagni, con presidi e manifestazioni nei pressi delle carceri, hanno contribuito a che le loro denunce non passassero sotto silenzio.
Contro questa pratica solidale e tutte le lotte dei detenuti, si colloca la direttiva del capo della polizia Gabrielli del 29 gennaio scorso che dispone l’attivazione diretta della polizia da parte dei questori e l’impiego di reparti mobili da schierare in caso di rivolte interne alle carceri ed anche nel caso di manifestazioni di protesta e solidarietà con i detenuti organizzate all’esterno22.
La drammatica situazione economica che sta colpendo le masse popolari si riverbera anche nella questione del diritto alla casa, dove migliaia sono le occupazioni di case da parte dei proletari che attuano questa forma di lotta per far fronte alle drammatica condizione in cui vivono. Il governo ha dovuto prorogare fino al giugno 2021 la esecuzione degli sfratti di case e negozi per morosità, proprio per evitare un acutizzarsi della situazione sociale, che potesse aggravare ulteriormente il peso delle contraddizioni sociali già notevole in questa situazione di crisi. In realtà gli sgomberi sono proseguiti soprattutto in quelle città (Torino, Milano, Roma) dove più radicata è la lotta e il movimento per la casa e più importanti i progetti di speculazione edilizia in atto.
Altro aspetto della mobilitazione delle masse, che si è evidenziato fin dall’inizio della fase del lockdown del marzo scorso, riguarda le molte iniziative di mutuo soccorso da parte di comitati, collettivi, gruppi di quartiere, già presenti o costituitisi nelle settimane successive alle misure di chiusura governativa, per dare solidarietà popolare nella forma di cibo, vestiti, farmaci ed altro alle famiglie proletarie più colpite dalla crisi. Queste forme di solidarietà proletaria sono importanti soprattutto per contrastare l’egemonia che la borghesia esercita sulla solidarietà attraverso i suoi istituti. Ad esempio perfino gli strozzini delle banche fanno raccolte di denaro da versare agli istituti statali o religiosi e quest’anno, a Milano, l’“Ambrogino d’oro” è stato assegnato alla coppia di influencers Chiara Ferragni-Fedez che aveva raccolto fondi da destinare al San Raffaele, ospedale privato che in piena pandemia e lockdown esigeva 480 euro per una visita a domicilio, oppure 80 euro per un consulto telefonico. Invece, le forme di mutuo soccorso realizzate dai gruppi di compagne e compagni sono importanti nell’ottica del radicamento tra le masse nei quartieri dove sono presenti e di costruzione di organizzazione popolare. Questo anche per indirizzarle verso percorsi di lotta e mobilitazione per l’appropriazione dei beni di prima necessità o per esigere concreti interventi delle pubbliche amministrazioni a favore dei proletari.
Che insegnamenti trarre dalle lotte in corso?
Dal ricco elenco sopra descritto emerge come, nonostante il clima terroristico coronato dal coprifuoco “stile guerra”, i lavoratori e le masse popolari siano, a livello generale, in crescente movimento e ciò anche malgrado l’assenza di una rappresentanza politica adeguata e l’insufficiente capacità dei comunisti di essere interni alle mobilitazioni con la capacità di darne orientamento. È questo enorme buco che va colmato.
Pensiamo, invece, che il nostro intervento sul piano economico debba rispondere concretamente alla specificità e al particolare modo di svilupparsi delle forme di scontro più adeguate nella lotta contro il nemico. La frammentazione della classe non si risolve con parole d’ordine economiche astratte, le quali possono trovare sbocco e cercare soluzioni solo sul piano del riformismo. L’estenuante ricerca di parole d’ordine generali di stampo economico (reddito di cittadinanza, salario garantito, ecc.) non ci risulta abbia portato a chissà quale sviluppo della coscienza di classe. Anzi, perlopiù sono servite a qualche partito istituzionale per raccogliere consensi elettorali.
La soluzione non è politicizzare le lotte economiche, ma sviluppare la lotta ideologica e la lotta politica, forgiando compagni in grado di farlo. In buona sintesi pensiamo che i comunisti debbano articolare e diversificare il loro lavoro sul piano della lotta economica, coglierne le specificità e radicarsi, per generalizzare sul politico e sviluppare la prospettiva rivoluzionaria. Gli esempi riportati sulle lotte mostrano che, oggettivamente, il proletariato entra in campo per difendere le proprie condizioni di vita e di lavoro, trovando anche forme nuove di mobilitazione. I lavoratori imparano per propria esperienza diretta, e a proprie spese, quale sia il livello di conflittualità con il padronato e che ciò che serve loro sia invece la forza politica organizzata capace di assumersi la responsabilità di indicare e praticare un percorso generale per il cambiamento della società.
Rispetto ai diversi terreni di lotta che si affermano nello scontro di classe crediamo sia urgente e debba essere una “guida all’azione” la ricerca costante del radicamento tra i lavoratori, con particolare attenzione anche alla classe operaia industriale. I tentativi di tenerla chiusa in fabbrica e di non farla scendere in campo, dimostrano che la sua forza è essenziale nello scontro con la borghesia imperialista. Inoltre, storicamente e per posizione oggettiva nel processo di produzione capitalista, la classe operaia industriale ha la capacità di assumere un ruolo dirigente sulla mobilitazione di tutto il proletariato. Infine, è facilmente prevedibile che la parte principale dell’offensiva padronale si articolerà proprio sulla classe operaia. Se è vero che uno degli assi principali del recovery fund sarà l’Industria 4.0, questo significherà espulsione di manodopera e aumento dello sfruttamento per i lavoratori. In prospettiva le contraddizioni derivanti dalla crisi del capitalismo e dal tentativo dei padroni di recuperare i profitti persi, renderanno la situazione sempre più tesa, indebolendo l’argine rappresentato dal sindacalismo confederale e della politica di “unità nazionale”. Un argine che, se pur indebolito, non cadrà da solo.
1 Vedi Antitesi 9 pp. 19-20
2 La Repubblica, Lavoro, rallentano i rinnovi dei contratti a causa della pandemia: in 10 milioni aspettano, repubblica.it, 29 gennaio 2021
3 su Corporativismo vedi glossario Antitesi 7, pp. 52-53
4 vedi anche Antitesi 9 pp. 23-24
5 Giorgio Pogliotti, Metalmeccanici: intesa sul contratto, ilsole24ore, 6/02/2021
6 In questa nuova classificazione hanno anche cambiato le denominazioni dei livelli: ora il Secondo livello corrisponde alla classificazione D1, il Terzo livello a D2, il Terzo super a C1, il Quarto a C2, il Quinto a C3, il Quinto super a B1, il Sesto a B2, il Settimo a B3, l’Ottavo ad A1
7 Area d’alternativa nella Cgil “Giornate di Marzo”, Ccnl metalmeccanici: è nell’inquadramento che si nasconde la coda del diavolo, giornatedimarzo.it, 11/02/2021
8 D. D’Anna, Ex Ilva, dopo il corteo “schiarita a Genova. Ritirate le 250 lettere di sospensione. Reintegrato un lavoratore, ilsecoloxix.it, 11/11/20
9 V. Franzoni, L’accordo sul premio di risultato votato dal 91% dei lavoratori, ilrestodelcarlino.it, 20/12/2020
10 Il Gazzettino Venezia-Mestre, pp. 2 e I3, 9 febbraio 2021
11 Su questo aspetto vedi Antitesi n.9 Il capitalismo in terapia intensiva, paragrafo Tendenza alla degoblalizzazione, pp. 13-17
12 Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria, Lo sciopero del 29 gennaio, i fatti di Piacenza, Draghi: il cuore del problema, sicobas.org, 3 febbraio 2021
13 Sulla strada della sigla di contratti di comodo per i padroni si è messa anche Assogrocery, unione padronale delle piattaforme online per la consegna a domicilio della spesa, che a inizio anno ha siglato un accordo con Fisascat-Cisl, in cui veniva riconosciuto e mantenuto il sistema di lavoro a cottimo e non erano riconosciute previdenze come la malattia o la maternità. Come nel caso dei riders, anche questi lavoratori, gli shoopers, hanno rifiutato completamente questo accordo farsa. Vedi Elisa Erriu, Consegne a domicilio: dopo i riders anche gli shoopers bocciano il contratto Cisl, dissapore.com, 9 gennaio 2021
14 Assunzioni che avverranno secondo il modello interno alla multinazionale, detto scoober, presente in 12 paesi e 140 città dove è attivo il gruppo multinazionale, che classifica i riders come lavoratori dipendenti. Vedi Just Eat assumerà i rider dal 2021, ilsole24ore.com, 9 novembre 2020
15 Vedi Stefano Galavotti, Pasti a domicilio, nascono le piattaforme di delivery “etiche” che assumono i rider. E sono più convenienti per i ristoratori, ilfattoquotidiano.it, 10 febbraio2021
16 Pagella Politica per Agi, La riduzione di ospedali e posti letto negli ultimi anni, agi.it, 14 marzo 2020
17 Ibidem
18 S. Galeotti, Per i medici della sanità privata niente rinnovo del contratto: Aziende non vogliono sostenere i costi e chiedono più soldi alle Regioni, ilfattoquotidiano.it, 12 gennaio 2021
19 A. Ducci, Lavoro, la crisi colpisce le donne: sono il 98% di chi ha perso il posto, ilcorriere.it, 2 febbraio 2021
20 Data che ricorda l’assassinio delle tre sorelle Patri, Minerva e Maria Teresa Mirabal, a Santo Domingo, il 25 novembre 1960 perché impegnate nella lotta contro la dittatura fascista di Trujillo
21 Orizzonte scuola, Didattica a distanza, Cittadinanzattiva: 85% dei docenti ha fatto lezione in diretta. Ma mancano le connessioni, orizzontescuola.it, 17/05/20
22 L. Pleuteri, Rivolte in carcere e presidi di protesta, le linee guida del capo della polizia, repubblica.it, 16/02/21
La parola ai compagni riders
Pubblichiamo una breve intervista ad alcuni lavoratori riders, attivi nell’organizzazione delle lotte in questo settore lavorativo.
Che problemi avete incontrato in quanto compagni che lavorano come riders e che cercano di svolgervi un intervento politico (inchiesta, composizione di classe, precarietà…)?
I problemi a livello di organizzazione dei lavoratori con cui dobbiamo confrontarci ogni giorno sono svariati: elevato turn over della forza lavoro, scarsa sindacalizzazione, ambito lavorativo con regole non definite e in continua evoluzione, propaganda padronale pro-cottimo e pro-lavoro autonomo. Inoltre, vista la composizione prevalente di immigrati che svolgono questo lavoro a tempo pieno, come compagni comunisti ci stiamo interrogando su come riuscire ad essere incisivi. Un lavoro di inchiesta ad esempio è possibile portarlo avanti all’interno dei gruppi Whatsapp, o nei luoghi di stazionamento dei lavoratori. Ovviamente è difficile avere un contatto costante per stabilire rapporti duraturi di fiducia tra noi e gli altri lavoratori.
Come avete vissuto la questione sindacale, avete l’esigenza di una rappresentazione sindacale?
Per diventare un punto di riferimento e dare una forma stabile al nostro intervento riteniamo possa essere utile collaborare con il sindacato (S.I. Cobas nel nostro caso). Ci siamo resi conto di come il bisogno e la richiesta di sostegno tecnico/legale in questo lavoro sia sempre alto (problemi dei riders immigrati con il permesso di soggiorno, problemi di funzionamento delle applicazioni, assistenza per problematiche fiscali legate alla partita Iva, ecc.). Partendo da questo sostegno si tenterà di entrare in contatto più stretto con i lavoratori, per poterli organizzare meglio e per non lasciare spazio ai sindacati confederali, che sulle forme di “assistenzialismo” giocano tutta la loro partita politica nel mondo dei riders. In questa fase pensiamo che appoggiarsi a sindacati combattivi possa spingere sempre più lavoratori a lottare, soprattutto coloro che, fidandosi poco dei confederali, sono scettici riguardo alla efficacia delle lotte per proteggersi dai continui soprusi delle piattaforme. È anche vero che per potersi muovere agilmente nelle dinamiche del mondo dei riders (partecipare a picchetti e scioperi spontanei) la forma di un collettivo coeso può risultare molto più funzionale per riuscire a stare al passo con una realtà fluida e sempre in movimento. In ogni caso è importante mantenere l’autonomia politica, decisionale, organizzativa del collettivo dei lavoratori rispetto alle strutture sindacali.
Che insegnamenti potete trarre dalla vostra internità alla lotta e dal protagonismo esploso in concomitanza con la pandemia, sia dal punto di vista dell’organizzazione della lotta che da quello del ruolo dei comunisti?
Gli insegnamenti che si possono trarre da questa lotta sono molteplici.
A Milano e provincia esiste un nuovo protagonismo (se pur discontinuo) nelle lotte da parte dei lavoratori. Gran parte degli scioperanti sono immigrati, principalmente africani, asiatici e sudamericani. Questo nuovo protagonismo si è creato soprattutto a partire dall’entrata in vigore del Ccnl firmato dall’Ugl a novembre. Il “passaparola” delle proteste prende corpo a partire dai legami di comunità esistenti nei vari gruppi etnici che compongono la forza lavoro. Infatti, per distanza linguistica e culturale non è facile mobilitare su date precise i lavoratori e far capire l’importanza di un’organizzazione stabile di tutti aldilà dei gruppi nazionali. Le mobilitazioni che abbiamo visto, dopo un’iniziale presenza della Uil e di Deliverance Milano, che hanno cercato in ogni modo di frenare le proteste, hanno vissuto di autorganizzazione e di spontaneismo: ciò ha causato anche situazioni caotiche e con obbiettivi non sempre chiari. Pensiamo che il ruolo dei comunisti in questa fase sia cercare di organizzare i lavoratori più combattivi e di costruire relazioni con essi, di instaurare con gli altri una dialettica adeguata, di indirizzare le mobilitazioni verso obbiettivi chiari e concreti. Inoltre, questa lotta può essere un campo dove i comunisti possono fare esperienza diretta e crescere a contatto con uno spezzone di classe per certi versi nuovo e molto difficile da organizzare, potendo ad esempio sfruttare il fatto che non si è sottoposti al controllo stringente dei capi reparto come avviene in altri settori.
Secondo voi quali sono i fattori che hanno permesso di scioperare così tanti giorni con alta partecipazione, nonostante le difficoltà di sindacalizzazione tipica di questo lavoro, derivanti dalla dispersione fisica e dalle differenze linguistiche e culturali tra i lavoratori?
Il 3 novembre, con l’entrata in vigore del nuovo contratto firmato da Assodelivery e Ugl, le tariffe a consegna di tutte le piattaforme sono immediatamente calate. Inoltre, con la contestuale introduzione del free-login da parte di Deliveroo, sono diminuiti di colpo gli ordini su questa piattaforma. I colleghi si sono subito resi conto di tutto questo e la rabbia è stata immediata. Per quattro giorni, dalla mattina alla sera, Milano è stata attraversata da mobilitazioni, spesso spontanee, di lavoratori del food-delivery. La forte rabbia, sia per l’introduzione contestuale del nuovo contratto, sia come sfogo di una condizione esistenziale fatta di esasperata precarietà e sfruttamento, è stato il fattore primario che ha permesso una protesta duratura e radicale. Poi, il fallimento della “pacificazione” sindacale (Uil e Deliverance Milano), che avrebbe voluto concludere le proteste dopo un giorno e mezzo con un presidio statico di fronte alla stazione centrale, ha permesso che la mobilitazione continuasse con numeri ancora maggiori.
Gli scioperi hanno influito sul livello di coscienza politica antagonistica nell’ottica di uno sviluppo dell’egemonia di classe?
Gli scioperi di inizio novembre hanno consentito di aumentare la consapevolezza della forza collettiva dei lavoratori. Gli alti bonus introdotti, soprattutto da Glovo, per far terminare le proteste, hanno fatto comprendere ai colleghi come la lotta possa essere uno strumento valido per ottenere miglioramenti delle condizioni lavorative. Inoltre, lo stare assieme per ore in bici, condividendo magari il pasto fatto con un ordine rubato assieme ai colleghi, ha aiutato a conoscersi e tessere relazioni. Non crediamo che da questo si possa parlare di una vera e propria coscienza politica, ma di certo la forma dello sciopero e delle agitazioni di novembre è stata replicata. Nel recente sciopero a Monza (30 gennaio), erano ben vive le esperienze dell’agitazione milanese e anche qui si è affermata, ad esempio, la pratica di togliere l’ordine al collega (non scioperante, ndr) incontrato durante la protesta, per danneggiare economicamente la piattaforma.
Sulla rivendicazione della patrimoniale
Nelle lotte proletarie condotte nell’ultimo periodo è stata posta la questione della patrimoniale come rivendicazione politica generale della classe operaia contro il sistema capitalista.
Questa misura non ha in sé nulla di rivoluzionario tanto che storicamente è stata spesso applicata, in determinate fasi della vita economica dei paesi capitalisti, come forma di “raccolta fondi” da parte dello Stato borghese, per gestire le necessità delle guerre imperialiste o dei passaggi strategici dal punto di vista finanziario. L’interventismo economico e sociale dello Stato, che contrassegna il capitalismo nella fase imperialista, si basa infatti anche su una fiscalità che possa rastrellare ricchezze o comunque risorse private per investimenti e spesa pubblica. Si pensi in proposito alla patrimoniale applicata dal fascismo per pagare le guerre coloniali in Africa o quella del governo Amato per mantenere la lira agganciata al Sistema Monetario Europeo.
Tuttora, in una crisi sempre più devastante per le masse popolari, i settori politicamente più lungimiranti, in senso socialdemocratico, della borghesia imperialista statunitense, hanno chiesto l’applicazione di una tassazione più forte sugli immensi patrimoni di cui dispongono. Anche in Italia una parte della sinistra borghese, il duo Fratoianni-Orfini, aveva fatto promosso una proposta legislativa in tal senso, poi respinta alla Camera.
Attualmente la maggior parte della borghesia imperialista e delle classi dominanti italiane si oppone ad una patrimoniale, anche se Confindustria non l’ha esclusa in futuro, perché tassarsi non appare necessario per mettere a disposizione dello Stato borghese capitali da investire e spendere per gli interessi complessivi della classi dominanti stesse. Quest’ultime puntano attualmente infatti soprattutto sui capitali di provenienza europea del recovery fund, oltre che a far pagare la crisi ai lavoratori e alle masse popolari, come già accaduto nelle precedenti fasi di aggravamento della situazione economica.
La patrimoniale potrebbe divenire necessaria per le classi dominanti se le classi oppresse riuscissero a mettere in campo dei rapporti di forza, in termini di lotta, che obblighino lo Stato borghese ad una maggiore spesa sociale. In questa situazione maturerebbe la necessità di gettare acqua sul fuoco della mobilitazione per prevenirne sviluppi ulteriori. In questo caso la patrimoniale assumerebbe la natura di una riforma fiscale volta a ridistribuire, in senso socialdemocratico, parte della ricchezza dei capitalisti al proletariato e alle masse popolari. Lo Stato sarebbe costretto a fare questo passo da una grande pressione sui terreni reali e diretti dello scontro di classe, innanzitutto quello tra capitale e lavoro, e in generale tra gli interessi del profitto e della rendita capitalistica da un lato e delle condizioni di vita dei proletari (casa, istruzione, sanità…) dall’altro. In questo caso la richiesta di una patrimoniale come rivendicazione di carattere politico, che di per sé può essere legittima come elaborazione spontanea della classe (fare pagare la crisi ai padroni) è in genere utilizzata da settori politici di sinistra borghese al fine di arginare lo sviluppo potenzialmente rivoluzionario delle contraddizioni tra le classi. Da parte proletaria partire dalla patrimoniale come rivendicazione politica significa ribaltare i termini di sviluppo della contraddizione di classe e, in un certo senso, far propria la soluzione riformistica che lo Stato borghese potrà adottare per far fronte alla pressione della lotta di classe.