Debito
“Glossario” da Antitesi n.09 – pag.78
La questione del debito è sempre più alla ribalta con la crisi del Covid19, dato che la quasi totalità degli Stati ha dovuto mettere mano all’indebitamento pubblico per fare fronte al crollo della crescita economica con gli indici del Pil negativi a due cifre.
Anche componenti della sinistra di classe si pongono la questione. Talune sono preoccupate dalla grande crescita del debito pubblico e dalle sue possibili ricadute sulla condizione della classe operaia e delle masse popolari, in seguito alle misure che la borghesia potrà prendere per scaricarne su di loro i costi. Altre fanno dell’emissione di debito sovrano una rivendicazione politica strategica, in nome di un riformismo in campo finanziario, se non di una malcelata influenza da parte del sovranismo nazionalista borghese.
Che la borghesia imperialista sia sempre propensa a far pagare i costi delle crisi del suo sistema ai lavoratori e ai popoli dominati è un dato storicamente determinato, tuttavia, fermarsi a questo dato fenomenico non ci aiuta a comprendere l’origine del debito. Esso è infatti intrinseco allo sviluppo del sistema capitalistico e funzionale al suo mantenimento e alla sua riproduzione.
Un approfondimento sulla questione del debito pubblico porta a riflettere su problematiche veramente interessanti dal punto di vista rivoluzionario e, in particolare, sulla crisi del sistema capitalistico e sulla guerra connessa al suo sviluppo storico.
L’origine del debito pubblico è storicamente collegata in epoca moderna con le necessità di indebitamento del regno inglese in conseguenza delle guerre sostenute contro la Spagna e la Francia. Allo scopo fu dato il via alla prima Banca Centrale privata alla fine del 1600. La Bank of England fu costituita con il fine apparente di prestare alla monarchia somme di denaro illimitate (al tasso di interesse annuo dell’8%) per permettere la prosecuzione delle guerre. In cambio, però, la banca ottenne il diritto di emettere 1 milione e 200 mila sterline in banconote senza copertura aurea. Il 21 giugno 1694 si aprirono le liste di sottoscrizione e la somma fu interamente sottoscritta da investitori privati che ricevettero in cambio delle note di banca, banconote che avevano corso legale come moneta nel Regno Unito. Fu l’inizio di quella che è stata poi definita moneta-credito. Una forma monetaria che ha alla base il debito pubblico e che, con lo sviluppo della fase imperialista del capitalismo, si sgancia dalla ricchezza oggettivamente esistente (la preesistente moneta-merce era merce-denaro, oro o direttamente convertibile in oro).
Il presupposto della moneta-credito non è la ricchezza realmente esistente, ma una ricchezza stimata ex post, con la copertura garantita dalla capacità di prelievo fiscale dello Stato. La cosa si concretizza nell’emissione di mezzi di pagamento da parte del sistema bancario centralizzato e diretto dalla banche centrali. Mezzi di pagamento il cui valore si basa su una valutazione dei redditi attesi dal denaro come capitale monetario. Il denaro cessa di essere determinato da un valore intrinseco e diventa capitale potenziale, diritto su produzione futura o più precisamente sullo sfruttamento futuro del lavoro (capitale monetario fittizio non coperto da riserva metallica). In pratica si utilizza come mezzo di pagamento il debito dello Stato finanziato con l’emissione di moneta-credito da parte delle banche centrali (che la emettono e la prestano).
La Prima guerra mondiale è stata l’occasione dello sviluppo dei grandi settori monopolisti sotto l’ala dell’indebitamento pubblico, ma lo snodo storico fondamentale sulla questione del debito pubblico avviene in seguito alla Grande depressione del 1929, quando Keynes, per far fronte alla recessione arriva a teorizzare il deficit spending, l’indebitamento dello Stato per rilanciare l’economia. Un salto dell’interventismo statale che aveva già caratterizzato le economie dei paesi fascisti e che, nella forma di sviluppi autocentrati (autarchia) e conflittuali, portò inesorabilmente alla Seconda guerra mondiale.
Con la fine della guerra, gli accordi tra i vincitori a Bretton Woods e il Piano Marshall Usa formalizzarono un sistema del credito internazionale, basato sulla convertibilità dollaro-oro (Dollar Gold Exchange Standard), che sostituiva quella precedente sterlina-oro. La valuta Usa diventa così moneta mondiale, mezzo di pagamento e riserva di valore internazionalmente riconosciuto.
L’affermazione definitiva della moneta-credito avviene poi con la cessazione della convertibilità del dollaro con l’oro, in seguito della denuncia degli accordi di Bretton Woods fatta da Nixon nel 1971.
Anche qui incrociamo la guerra imperialista, perché l’elemento determinante fu l’eccessivo indebitamento pubblico Usa conseguente all’occupazione del Vietnam. Eccesso di debito pubblico che, coincidendo con l’inizio della crisi economica, non poteva essere ripagato senza una grave svalutazione del dollaro. In seguito a questo, la Francia di De Gaulle chiese la conversione in oro delle sue riserve in dollari e la risposta Usa fu l’abolizione della convertibilità stessa.
Con l’affermarsi della moneta-credito, nell’ambito della crisi economica esplosa nella prima metà degli anni ‘70, il debito acquisisce una grande libertà di sviluppo alimentato anche dalle politiche keynesiane messe in atto nella prima fase della crisi per farvi fronte. Inoltre, con la crisi di sovraccumulazione di capitale, in mancanza di investimento produttivo profittevole, quote sempre maggiori di denaro rifluiscono nei fondi di riserva come capitale monetario che trabocca nella sfera finanziaria (es. Eurodollari, Petrodollari, ecc.). Una parte chiude il cerchio investendosi in titoli di debito pubblico ma, in generale, si realizza un enorme rigonfiamento della sfera finanziaria con la lievitazione del valore dei titoli e il fiorire della speculazione. Questa lievitazione è propedeutica ad un nuovo incremento del debito, questa volta nella forma del debito privato. I detentori di risparmio in pacchetti azionari, super valutati nel rigonfiamento della sfera finanziaria, diventano propensi ad indebitarsi e così viene tirata la volata al grande sviluppo del credito al consumo. Sviluppo che soddisfa le necessità di realizzazione del valore (che la crisi aveva drammatizzato) e che dà corso a una ripresa economica negli anni ‘90 in una forma che è definibile come “economia del debito”.
Questo processo va a sbattere nel 2007 nella Grande recessione innescata dalla crisi dei subprime. Recessione che è stata affrontata con un ulteriore rilancio del debito pubblico e che, oggi in seguito alla pandemia, vede un nuovo e imponente sviluppo, mai visto di questa portata in “tempo di pace”.
In conclusione, il debito, con buona pace di chi se ne preoccupa nel campo di classe, è connesso strutturalmente al capitalismo, fin dalle sue origini. È semplicemente un tratto chiaro ed evidente della sua crisi, che è crisi di sovraccumulazione di capitali, capitali che non trovano sufficienti condizioni di valorizzazione. Porsi quindi la questione del contenimento del debito equivale a pensare di risolvere la crisi del capitalismo nell’ambito del capitalismo, pura utopia riformista. Allo stesso modo è errata la concezione per cui lo sforamento delle compatibilità finanziarie, in termini di debito, dettate dall’Ue e dagli organismi finanziari internazionali, possa portare ad un avanzamento nella lotta al capitalismo. Lo sforamento del debito porta semplicemente ad una sua ridefinizione, nello scontro tra tendenze di sviluppo sovranista ed equilibri sovranazionali.
Altro problema è quello di sviluppare la resistenza di classe alle misure che la borghesia prende per far pagare i costi della crisi del suo sistema ai lavoratori, ai proletari e alle masse popolari. Questa è una questione di rapporti di forza. E la ricostruzione di un rapporto di forza favorevole alla classe riguarda la capacità di resistenza e di organizzazione nei posti di lavoro, nella scuola e nel territorio. Ma principalmente riguarda la lotta politica per rivoluzionare il sistema, denunciandone le forme di oppressione con l’obiettivo di strappare il potere alla borghesia. Non basta, infatti, dire “noi il debito non lo paghiamo”: bisogna costruire dei rapporti di forza con i padroni e il capitalismo e puntare a rovesciare i rapporti sociali che sono all’origine della necessità del debito e del suo peso generazionale.