Egemonia, Populismo, Plusvalore
“Glossario” da Antitesi n.04 – pag.68
Egemonia
Egemonia è sinonimo di direzione politica, talvolta unita, talvolta contrapposta a dominio e anche, in un senso forse più pregnante, elemento di raccordo tra il momento del consenso e quello della forza. Il massimo teorico dell’egemonia nel pensiero comunista è stato Antonio Gramsci (1891 – 1937) soprattutto grazie all’elaborazione svolta nei suoi scritti durante gli anni di prigionia infertagli dal regime fascista, poi raccolti nei Quaderni del carcere.
Secondo Gramsci, il potere è fondato sulla presenza contemporanea di forza e consenso: se prevale l’elemento della forza si ha il dominio; se prevale il consenso si ha l’egemonia. L’egemonia si manifesta come capacità di orientamento e di aggregazione di altri gruppi sociali e di direzione politica, intellettuale e morale su vasti settori di popolazione che non appartengono al gruppo sociale egemone, per guadagnare l’adesione ad un determinato progetto politico e culturale. Nel caso di una formazione sociale sviluppata e complessa la funzione egemonica comprende in sé sia il momento della direzione e dell’orientamento politico sia della coercizione, del dominio sui gruppi sociali egemonizzati. Rispetto alla funzione, l’egemonia non mira soltanto alla formazione di una volontà collettiva, capace di creare un nuovo apparato statale e di trasformare la società, ma anche all’elaborazione, e quindi alla diffusione ed attuazione, di una nuova concezione del mondo.
Funzioni egemoniche si riscontrano pertanto a ogni livello della vita politica nazionale e internazionale, sia in sede di ricostruzione storica, sia in sede di analisi della situazione attuale, sia ancora in sede di progettualità di azione futura. L’egemonia si lega a rapporti di potere territoriali all’interno di uno Stato (città-campagna, nord-sud, come la cosiddetta questione meridionale in Italia e il rapporto che si è storicamente realizzato tra il gruppo dirigente industriale del nord e il sud arretrato), tra un gruppo di Stati, su un’area geopolica, sul mondo intero (imperialismo); di una classe o di un gruppo sociale, sui ceti subordinati, ma anche, all’interno di ognuno di questi, da parte di vari gruppi o di partiti. È necessario sottolineare che Gramsci parla principalmente di “egemonia di un gruppo sociale sull’intera società nazionale” e che identifica le capacità egemoniche di un gruppo sociale come un’emanazione fisiologica di necessità economiche.
L’egemonia si esercita mediante apparati, che possono essere sia pubblici, cioè appartenere alla sfera dello Stato (la scuola, il governo, il parlamento, la magistratura e polizia), sia privati, rientranti nella sfera della società civile (organizzazioni politiche, sindacali, culturali, religione, stampa ecc.). Per approfondire questo particolare aspetto si rimanda all’articolo “La democrazia governante” nel numero 3 di Antitesi.
Grazie a questi, nei regimi parlamentari “democratici” l’egemonia si conserva, fino a quando è possibile, mediante un delicato equilibrio tra forza e consenso, realizzatosi storicamente nella divisione dei poteri e con la formazione della cosiddetta opinione pubblica, il che non esclude, anzi implica, in situazioni di crisi d’egemonia, il ricorso alla coercizione, al dominio. Un ruolo cruciale di funzionari dell’egemonia lo svolgono gli intellettuali (in senso lato: “Ogni gruppo sociale, nascendo sulla base originaria di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica, crea insieme, orga-nicamente, un ceto o più ceti di intellettuali che gli danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione nel campo economico: l’imprenditore capitalista crea con sé l’economista, lo scienziato dell’economia politica” Quaderni del carcere), organici al ceto dominante, o che aspira a divenire tale, che hanno la funzione di allargare al massimo il consenso spontaneo da parte dei ceti subordinati, imponendo loro come universale la propria concezione del mondo. A loro volta, gli esponenti organici ai ceti subalterni devono intraprendere con essi una lotta per imporre la propria anti-egemonia, dapprima sulla loro stessa classe di provenienza, strappandola all’egemonia dei ceti dominanti, e poi via via su quelle alleate e avversarie, e infine sulla società tutta. L’apparato teorico di questa lotta è costituito dal marxismo e l’apparato pratico, che permetterà al proletariato di conseguire, conservare ed estendere progressivamente l’egemonia nella fase che precede alla presa del potere e durante la fase di transizione, è costituito dal partito.
Il dibattitto sull’egemonia tra i comunisti è cruciale principalmente per due ragioni. La prima è di contrastare la vulgata revisionista che storicamente ha cercato di mistificare il termine egemonia presente negli scritti gramsciani, attribuendogli esclusivamente un significato intellettuale e svuotandolo di tutto il suo portato teorico-pratico. Gran parte del lavoro lasciatoci dal fondatore del PCd’I è stato rivisto in chiave intellettuale, come la sua stessa figura, per privare la classe e il proletariato di uno dei più importanti punti di riferimento che l’Italia ha lasciato allo sviluppo del patrimonio comunista e allontanarsi dalle posizioni rivoluzionarie. Ad esempio, in alcuni scritti Gramsci sembra stabilire una certa “distinzione” tra egemonia e dittatura del proletariato (l’egemonia costituirebbe la base sociale per la dittatura del proletariato) e proprio su questa “distinzione” i revisionisti, e Togliatti stesso, ci giocarono pesantemente, contrapponendo i due termini: la ricerca dell’egemonia come conquista graduale della società in contrapposizione alla rottura rivoluzionaria. Sarà Gramsci stesso a chiarire i suoi pensieri quando scrive che non si deve impiegare violenza contro le altre classi sfruttate, sviluppando il concetto sulla differenza che ci deve essere tra le contraddizioni tra noi e il nemico (che sono antagoniste) e quelle interne al popolo (che sono non antagoniste) e che queste contraddizioni devono essere affrontate con mezzi diversi (anticipando, di fatto, il pensiero maoista sulle contraddizioni).
La seconda riguarda l’agire dei comunisti. Oggi il nostro compito è quello di lavorare e lottare per coniugare la capacità di unire tutte le masse di sfruttati con la capacità di elaborare una concreta strategia rivoluzionaria per la conquista del potere. È ne-cessario che la classe operaia e le sue diverse organizzazioni sappiano realizzare l’egemonia come direzione politica e culturale già all’interno della società borghese e nell’intero processo rivoluzionario, per maturare e costruire una necessità collettiva di cambiamento verso una nuova società.
Populismo
Negli ultimi anni il termine “populista” è stato utilizzato sempre di più nel dibattito politico ufficiale, per indicare, indistintamente, i movimenti politici non allineati all’Unione Europea. Effettivamente, possiamo cogliere il senso di classe di questa etichetta nel riferirla a tutti i movimenti che portano i contenuti e le posizioni tipiche della piccola borghesia, in contrapposizione a quelli del grande capitale, che oggi in Europa è perlopiù stretto attorno al progetto imperialista dell’Ue. Nondimeno, non sono mancati tentativi di movimenti, direttamente legati al grande capitale, di utilizzare la retorica del populismo per guadagnare consensi di massa, come nel caso del Pd renziano. Il “populismo” rivela la sua natura politicamente effimera, in quanto espressione di classi intermedie che non sono in grado di avere autonomia politica strategica, nel momento in cui assumono le leve del potere governativo, diventando sempre guardaspalle o i servi migliori dei “poteri forti” che prima contestavano. Un esempio lampante in Italia è quello della Lega Nord e, sul piano estero, di Syriza in Grecia, entrambi sempre integrati appieno nelle strategie del grande capitale una volta arrivati al potere governativo.
Potremmo intendere come “populismo di sinistra” quelle tendenze, oggi presenti all’interno del movimento comunista e proletario, a subire l’influenza della piccola borghesia nell’elaborazione di visioni e programmi politici. Traspaiono ad esempio nel porre una serie di contenuti e parole d’ordine generali che rivendicano l’opposizione ai progetti, alle istituzioni e alle strategie della borghesia imperialista (l’Ue, l’euro, la cosiddetta austerità…) non sulla base di una visione proletaria e dunque fondata sulla lotta di classe al capitalismo, ma sul recupero in sè di spazi di manovra per il capitalismo nazionale (sovranità) e su ristrutturazioni più o meno radicali dei rapporti finanziari, monetari e interimperialistici (con parole d’ordine del tipo no all’austerità, no alla debitocrazia, no all’euro, non al predominio tedesco…).
Errata corrige sulla voce plusvalore nello scorso numero
Il plusvalore è il valore incorporato dal lavoro compiuto dall’operaio oltre quello che corrisponde al valore del suo salario. Si sintetizza nella formula Pv = L – V dove L è il valore del lavoro necessario alla realizzazione di un determinato prodotto e V è il valore del lavoro necessario alla riproduzione della forza lavoro (salario).