La tendenza alla guerra e gli insegnamenti della Rivoluzione d’Ottobre
“Editoriale” da Antitesi n.04 – pag.4
Il carattere reazionario di questa guerra, l’impudente menzogna della borghesia di tutti i paesi, che maschera i propri scopi di rapina con un’ideologia “nazionale”, tutto ciò, sul terreno di una situazione obiettivamente rivoluzionaria, crea inevitabilmente nelle masse degli stati d’animo rivoluzionari. È nostro dovere contribuire a rendere coscienti questi stati d’animo, approfondirli e precisarli. Questo compito è espresso in modo giusto soltanto dalla parola d’ordine di trasformare la guerra imperialista in guerra civile; ed ogni lotta di classe conseguente in tempo di guerra, ogni tattica di “azione di massa” seriamente applicata, conduce inevitabilmente a questo […] in ogni caso è nostro preciso dovere lavorare sistematicamente e con perseveranza proprio in questa direzione.
Lenin, Il socialismo e la guerra
Sotto i nostri occhi la crisi da sovraccumulazione di capitali spinge le potenze imperialistiche ad una nuova corsa al saccheggio a danno di popoli e nazioni. I fronti sui quali le potenze imperialiste si scontrano aumentano costantemente. Libia, Siria, Ucraina e penisola coreana sono alcuni dei teatri nei quali le frazioni del capitale monopolistico multinazionale cercano con “altri mezzi” di accaparrarsi e/o difendere le proprie “aree di influenza” e i propri “giardini di casa”. Con l’obiettivo strategico di appropriarsi di quote sempre maggiori di plusvalore ed estendere i mercati nei quali realizzarle.
Questo scontro non si è ancora sviluppato in una guerra inter-imperialista aperta e dispiegata, come avvenuto per la prima volta quasi un secolo fa con la prima carneficina mondiale, ma trova dei momenti di confronto interimperialistico, ad esempio gli accordi di Minsk per l’Ucraina, nei quali le potenze capitalizzano e consolidano i rapporti di forza in vista dei successivi scontri.
D’altra parte, lo sviluppo delle guerre di colonizzazione-ricolonizzazione e delle guerre per procura traccia l’aggravarsi della contraddizione tra blocchi imperialisti, profilando all’orizzonte la terza guerra mondiale come possibile approdo.
Lo Stato italiano non è al di fuori di questa contesa. Il nostro paese è parte attiva nella corsa al saccheggio. E la guerra non si dispiega unicamente verso l’“esterno” dei paesi che la provocano e dirigono a danno esclusivo delle popolazioni che la subiscono, ma anche verso l’“interno”. La guerra è una realtà materiale e concreta che subiamo costantemente con le politiche che lo stato deve necessariamente attuare dirigendo parte della finanza pubblica verso le spese militari a discapito di sanità, scuola e servizi e delle condizioni salariali della classe operaia.
Non solo, come mostra il recente decreto Minniti-Orlando sulla “sicurezza”, vengono attuate politiche repressive di guerra nei confronti di ogni possibile opposizione ad essa ed alle politiche che la sostengono. E viene dato impulso alla mobilitazione reazionaria indirizzando ideologicamente le masse non solo con le leggi e le campagne anti-immigrati, ma anche con l’incentivazione di politiche attive nelle scuole e nell’università dove, ad esempio, attraverso l’alternanza scuola-lavoro già si sono siglati fior fiore di progetti con i comandi di esercito, marina e aeronautica militari. Questo per incrementare il consenso tra le masse poiché la borghesia sa che non può condurre per lungo tempo una guerra senza di esso. Il Vietnam insegna, anche al nemico di classe.
La guerra e la contesa tra potenze imperialiste spinte dalla crisi, se da un lato rappresentano un polo della contraddizione, esse determinano anche le condizioni materiali per lo sviluppo dell’altro polo: la guerra civile e la rivoluzione proletaria come possibilità di fermare la guerra stessa abbattendo il sistema e il modo di produzione che l’ha generata attraverso la presa del potere e l’instaurazione del socialismo. Questo principio sintetizzato nel celebre slogan “trasformare la guerra imperialista in rivoluzione proletaria” fu la massima attorno alla quale Lenin sviluppò la teoria che armò ideologicamente il proletariato russo di fronte alla prima guerra mondiale.
Nell’attuale fase imperialista, con la sua guerra dispiegata e le sue implicazioni sui fronti “interni” ed “esterni”, gli insegnamenti di chi ha saputo fermare la guerra trasformandola in rivoluzione possono darci delle indicazioni valide per elaborare una teoria rivoluzionaria all’altezza della fase che stiamo vivendo.
Un secolo è passato da quando per la prima volta nella storia dell’umanità gli sfruttati, organizzati nel partito comunista, strappavano il potere politico dalle mani dei loro sfruttatori. La Rivoluzione d’Ottobre ha segnato un salto: quello che divide l’epoca delle rivoluzioni guidate dalla borghesia dall’epoca delle rivoluzioni guidate dal proletariato.
Dal novembre del 1917 l’incendio iniziato a San Pietroburgo si propagò da un capo all’altro del mondo divenendo faro di liberazione per milioni di oppressi. La Rivoluzione d’Ottobre diede un impulso straordinario allo sviluppo del movimento comunista e operaio internazionale, dimostrando non solo la possibilità della conquista e del mantenimento del potere, ma anche come la vittoria del proletariato in un singolo paese diventasse forza motrice per gli oppressi di tutto il pianeta.
È importante sottolineare il contenuto internazionale che ebbe la Rivoluzione bolscevica. Questo valse sia per la parte più avanzata dei proletari dei paesi imperialisti, che videro nei comunisti e nel leninismo una guida corretta contro il tradimento dei socialdemocratici, sia per i popoli in lotta contro l’oppressione coloniale che videro nel socialismo e nell’Urss un punto di riferimento contro l’imperialismo, per saldare la liberazione nazionale alla liberazione sociale.
Lo “spettro che si aggira per l’Europa” divenuto carne e ossa mostrò ai proletari di tutto il mondo che si poteva vincere e presentò il conto alla borghesia e ai suoi servi divenendo il suo peggior incubo. Un anno dopo la Rivoluzione, Winston Churchill sentenziava: “bisogna soffocare il bambino finché è ancora nella culla”, dichiarando così gli intenti controrivoluzionari della borghesia imperialista internazionale. Ma i suoi sforzi fallirono, quattordici paesi aggredirono la Rivoluzione tra il 1917 e il 1920 con l’appoggio della borghesia e dell’aristocrazia russa che organizzarono le Guardie Bianche, ma la salda direzione dei bolscevichi e la ferrea determinazione delle masse operaie e contadine soffocarono tutti i tentativi controrivoluzionari. Un’aggressione che venne ripetuta anni dopo con l’invasione della Germania nazista e che, anche allora, vide il fallimento degli imperialisti e delle forze controrivoluzionarie. Questi fallimenti dimostrarono che il socialismo poteva crollare solo espugnandolo dall’interno con il revisionismo e foraggiando la degenerazione della classe dirigente. La Rivoluzione bolscevica, pur avendo perso il suo corpo con il ritorno del capitalismo nei paesi dell’Urss, continua ancora oggi ad aggirarsi come uno spettro
Il capitalismo, nell’attuale fase di crisi, può garantire sempre meno briciole ai proletari, i quali vedono e vivono un continuo peggioramento delle proprie condizioni di vita e di lavoro. Il sistema dominante, ormai ridotto a vecchio cadavere putrescente, non può più essere presentato agli occhi delle masse come “il migliore dei mondi possibili”, ma viene imposto come “l’unico dei mondi possibili”. Questo tentativo passa necessariamente per il continuo attacco alle esperienze rivoluzionarie socialiste, in primis quella sovietica.
In questi mesi tutti i giornali borghesi hanno curato inserti speciali o articoli sulla Rivoluzione bolscevica nei quali si sprecava l’opera di infangamento: dal definirla come “il colpo di stato di un élite” ad attribuire a Lenin il ruolo di agente al soldo della borghesia imperialista tedesca.
Ma, se da un lato la borghesia mette in campo le proprie armi ideologiche contro la memoria storica del proletariato, dall’altro sono le stesse condizioni oggettive odierne a rendere questa ricorrenza preziosa ai fini di un ragionamento sul ruolo dei comunisti nella fase attuale.
Gli elementi che ci interessa sottolineare sono essenzialmente tre: la linea strategica rivoluzionaria, la centralità della linea di massa e il ruolo del partito.
Alla base del leninismo c’é la questione del potere politico e la distruzione della macchina statale borghese. Attorno a questo indirizzo strategico ruota la questione degli strumenti politici necessari al suo raggiungimento e alla dialettica con le masse. Memore dell’esito fallimentare della Comune di Parigi, Lenin, individuò nei Soviet gli organismi alla base del nuovo potere politico. I Soviet erano nati con i tentativi rivoluzionari del 1905 come assemblee di democrazia diretta costituiti da operai, contadini e soldati, in alternativa al parlamento zarista. Distrutti dalla repressione, presero nuovamente vita nel 1917 con alcune formazioni spontanee e altre sotto il controllo del Post.
Nella parola d’ordine “Tutto il potere ai soviet!” è sintetizzato l’indirizzo strategico per la presa del potere. I bolscevichi spinsero perché i Soviet da organismi di massa si trasformassero in organismo di potere politico e base del nuovo governo rivoluzionario. Forti di questa linea i bolscevichi furono in grado di isolare la destra piccolo-borghese interna alle masse che reclamava al governo la convocazione dell’Assemblea Costituente, riconoscendo di fatto l’apparato statale borghese. All’interno dei Soviet le masse eleggevano i propri deputati, i quali rappresentavano gli interessi per cui esse lottavano: la questione agraria, la lotta per le 8 ore, la condizione delle nazioni oppresse. I bolscevichi seppero unire le istanze particolari alla prospettiva generale di presa del potere politico. In questo risiede il secondo elemento che abbiamo prima citato, la linea di massa che permette di unire il piano strategico al piano immediato-tattico determinando le condizioni per l’avanzamento del piano generale e dando a quest’ultimo solide fondamenta tra le masse in lotta. La linea di massa è una guida per i comunisti, è lo strumento tramite il quale comprendere la direzione da intraprendere, citando Lenin “il marxismo impara, per così dire, dall’esperienza pratica delle masse, ed è alieno dal pretendere di insegnare alle masse forme di lotta escogitate a tavolino dai «sistematici»”. [3] Ciò che Lenin ha teorizzato e applicato fu poi successivamente elaborato in maniera sistematica da Mao tse Tung.
La Rivoluzione d’Ottobre riuscì a costruire una giusta dialettica partito-masse grazie alla capacità dei suoi dirigenti di rapportarsi ad ogni contraddizione particolare con un metodo corretto, da un lato senza mai accodarsi alle masse e, dall’altro, senza auto isolarsi da esse.
Ma strategia e linea di massa sono stati possibili solo costruendo lo strumento necessario alla loro attuazione: il partito. Il partito leninista fu il primo partito a porsi il problema del lavoro illegale per formare le avanguardie in funzione della presa del potere politico come ci ricorda il passaggio di Lenin in aperta polemica con i “liquidatori” del lavoro illegale “quelli che parlano di “adattare” l’organizzazione clandestina al movimento legale danno un’idea assolutamente sbagliata di questo cambiamento delle forme dell’organizzazione clandestina. Non ci siamo proprio. Le organizzazioni legali sono punti di appoggio che permettono di far penetrare tra le masse le idee delle cellule clandestine. Questo significa che noi cambiamo la forma in cui esercitiamo la nostra influenza per dare a questa influenza una direzione clandestina. […] Quello che è clandestino non è solo il Partito socialdemocratico “nel suo insieme”, ma ognuna delle sue cellule e – e qui sta la questione essenziale – tutto il contenuto del suo lavoro che è teso a promuovere e a preparare la rivoluzione.” [2]
L’esperienza rivoluzionaria sovietica ha fondato nella pratica la validità della teoria marxista-leninista, confermata anche dal maoismo sul ruolo d’avanguardia del partito comunista. Un partito di tipo nuovo, organizzato con il centralismo democratico, cresciuto e maturato nella battaglia ideologica contro gli “economicisti”, le forze riformiste e social-traditrici della Seconda Internazionale che negli anni ha costruito stretti legami con le masse tali da poterle dirigere nella guerra civile.
La Rivoluzione d’Ottobre viene ricordata principalmente nell’insurrezione culminata con la presa del Palazzo d’Inverno, in qualche misura fotografando un avvenimento, se non l’apice, di un processo di costruzione e di accumulazione di forza rivoluzionaria iniziato vent’anni prima e conclusosi solo anni dopo il novembre del 1917.
Questo per dire che la Rivoluzione è stata un processo lungo nel quale il partito bolscevico si è formato attraversando diverse fasi nella costruzione di uno stato maggiore del proletariato russo che unì attorno a sé gli elementi più combattivi, più determinati e devoti alla causa del socialismo. La vittoria della Rivoluzione fu data dalla capacità del partito bolscevico di farsi interprete e dirigente degli interessi delle masse popolari russe.
La Rivoluzione Bolscevica ci insegna quale sia il compito dei comunisti: strappare il potere politico dalle mani della borghesia, distruggere la macchina statale borghese e instaurare la dittatura del proletariato. Oggi questi termini a molti sembrano obsoleti e “vetero”, ma l’esperienza storica fin qui accumulata mostra che a questa concezione strategica non vi è stata altra alternativa concreta.
Il socialismo, senza il ruolo dirigente della classe operaia e la dittatura del proletariato, i “comuni ribelli”, il contro-potere senza prendere il potere, hanno dimostrato e dimostrano ogni giorno quanto siano più utopistiche e fallimentari queste visioni rispetto agli insegnamenti della Rivoluzione d’Ottobre. Alcune perché non espropriando i padroni ed eliminando la sovrastruttura borghese si scontrano inesorabilmente con la controrivoluzione, altri perché, eludendo la questione della presa del potere politico, diventano di fatto una stampella riformista del capitalismo moribondo venendo pian piano recuperati.
Gli insegnamenti della Rivoluzione d’Ottobre sono per noi base essenziale di qualsivoglia dibattito sul ruolo dei comunisti oggi. Abbiamo intitolato questi due numeri “Comunisti: imparare dal passato, agire nel presente, trasformare il futuro” con l’obiettivo di contribuire positivamente ad una riflessione sui nostri compiti attuali. Solo leggendo le esperienze che ci hanno preceduto e capendo quali siano gli insegnamenti generali che queste esprimono possiamo dotarci degli strumenti ideologici per intervenire politicamente nella fase attuale. Una fase nella quale si presentano le condizioni materiali favorevoli alla rivoluzione. La crisi ha spazzato via la visione del “capitalismo dal volto umano” e la borghesia può uscire da essa solo con ulteriori guerre e attacchi alle condizioni di vita delle masse popolari. Questo è il dato oggettivo dal quale partire per costruire le condizioni soggettive politiche che pongano la questione del potere ed il suo raggiungimento nel nostro paese.
Note
[1] L’insurrezione del 7 – 8 novembre del 1917 nella quale il proletariato di Pietrogrado strappa il potere dalle mani del governo Kerenskij rinchiuso nel Palazzo d’Inverno è avvenuta per il calendario giuliano, in vigore prima della rivoluzione, tra il 24 e il 25 ottobre. Per questo motivo si parla di Rivoluzione d’Ottobre pur celebrando l’anniversario a novembre secondo la data del calendario gregoriano.
[2] Lenin, Lavoro clandestino e lavoro legale, http://www.nuovopci.it/classic/lenin/pilleg.htm
[3] Lenin, La guerra partigiana, http://www.resistenze.org/sito/ma/di/cl/mdcl5c26.htm