La lotta rivoluzionaria in Turchia e Kurdistan
“Imperialismo e guerra” da Antitesi n.02 – pag.51
Cenni sul ruolo attuale della Turchia
Da decenni la Turchia gioca un ruolo fondamentale all’interno delle contraddizioni presenti nello scacchiere mediorientale: essa, infatti, pur essendo parte integrante della Nato dal 1952, ha rivendicato con sempre maggior insistenza un’autonomia strategica per garantire un’espansione del proprio capitalismo nazionale a livello regionale. Tale necessità l’ha portata in alcune circostanze ad avvicinarsi ai cosiddetti “Stati canaglia”, invisi all’imperialismo Usa e delle potenze europee, ma anche al regime sionista. Alla fine degli anni novanta, infatti, Ankara stringeva accordi energetici con paesi tradizionalmente rivali come la Siria o l’Iran tanto da far diventare quest’ultimo, nel 2010, potenzialmente garante, in termini di forniture energetiche, della sua poderosa crescita industriale ed economica (stimata allora, secondo gli indicatori internazionali, con un’ascesa tendenziale del Pil superiore all’8% annuo). Un “idillio”, tuttavia, destinato a rompersi molto presto.
Per sfamare la propria crescita capitalistica interna, infatti, Erdogan trovava una nuova occasione di espansione a livello regionale schierandosi al fianco della rivolta contro Assad in Siria. La Turchia, quindi, stringeva accordi con le petromonarchie del Golfo, prima con il Qatar e poi con l’Arabia Saudita, insieme alle quali appoggiava e finanziava i gruppi dell’insorgenza sunnita, tra cui lo stesso Stato Islamico, con l’evidente obiettivo di soffiare sul fuoco della balcanizzazione dell’area per poterla meglio dominare, allargando su di essa la propria influenza. La linea assunta da Erdogan in Siria, tuttavia, non risponde solo all’ottica di diventare il principale referente per i movimenti islamisti e il modello egemone per tutta l’area, ma anche alla necessità di liquidare definitivamente la questione curda, storica contraddizione per Ankara, colpendo in particolare i curdi siriani, sia attraverso il proprio esercito, sia mediante l’appoggio economico, logistico e militare allo Stato Islamico.
Erdogan, l’Akp e Gezi Park
Le mire espansionistiche della classe dominante turca sono rappresentate politicamente in primis dal neo-ottomanesimo di Erdogan. Capo del partito islamico sunnita “Giustizia e Sviluppo” (Akp), diventava presidente della Turchia nel 2002 e, da allora, continuò a mantenere il potere, fondando la sua politica sulla convergenza tra islamismo e “neoliberismo” che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni: riforme strutturali (mercato del lavoro, privatizzazioni, liberalizzazioni), forte attrazione di investimenti dall’estero e politica estera aggressiva.
Il tutto in un quadro interno di crescente autoritarismo, rappresentato ad esempio dalla famigerata “legge bavaglio”, varata nella primavera 2015, che consente alle forze di polizia di usare armi durante le manifestazioni, eseguire in modo arbitrario perquisizioni, intercettazioni e detenzioni fino a 48 ore senza l’autorizzazione di un magistrato. La stretta repressiva nei confronti dell’opposizione si è via via intensificata, dalla chiusura di giornali e social network, alla caccia all’uomo durante le manifestazioni con centinaia di arresti arbitrari. Nonostante la parvenza di democrazia, Erdogan si colloca quindi nel solco della tradizione fascista che contraddistingue il paese anatolico.
La repressione, scagliata principalmente contro la guerriglia nel Kurdistan, miete vittime anche all’interno delle stesse città turche, orientata a terrorizzare gli oppositori politici e la popolazione che, con frequenza, sono scesi in piazza contro il regime dell’Akp.
Il punto più alto delle mobilitazione di massa è stata la rivolta del giugno 2013, più conosciuta come rivolta di Gezi Park o di Piazza Taskim, con più di un milione di persone scese in piazza in diverse città turche.
Un movimento, quello di Piazza Taksim, costituito da anime diversissime: dai nazionalisti laici al Partito Repubblicano fino agli anarchici, ai partiti curdi e alle organizzazioni comuniste rivoluzionarie, con la partecipazione decisiva della minoranza religiosa degli aleviti. Esso ha rappresentato la convergenza un lungo ciclo di lotte contro le “riforme” antipopolari degli anni duemila.
Una delle “gocce” che fece traboccare il vaso della protesta, infatti, fu il divieto di celebrare il Primo Maggio del 2014 e del 2015 proprio in Piazza Taksim, simbolo storico della lotta di classe, della sua tradizione ed esperienza. A fine maggio, la rivolta prendeva il via contro l’ennesimo progetto di speculazione immobiliare, che prevedeva l’abbattimento di Gezi Park per far spazio a un centro commerciale. Pur repressa nel sangue da parte del governo, questo moto di massa rappresentò il rinnovarsi della tendenza alla lotta di classe nel paese anatolico, che ha una lunga e solida tradizione, sviluppatasi in lunghi decenni nelle mobilitazioni popolari, ma soprattutto in scontri feroci con il potere dell’oligarchia capitalista e fascista e con i suoi apparati controrivoluzionari, determinando una lunga scia di sangue e migliaia di compagni caduti.
Una storia di eroismo che con questo articolo vogliamo brevemente ripercorrere per esporre quali sono oggi le forze rivoluzionarie in campo in Anatolia e quali insegnamenti da esse possiamo trarre come internazionalisti e comunisti.
Le principali formazioni rivoluzionarie turche e curde
Per grande capacità d’azione, all’interno del campo della sinistra di classe turca e curda, si distingue il Partito – Fronte di Liberazione del Popolo Rivoluzionario (Dhkc-p), un’organizzazione marxista-leninista che nasceva formalmente il 30 marzo del 1994, con l’annuncio del programma del partito, frutto di un lavoro collettivo che ha coinvolto non solo i militanti, ma tutta la base e i simpatizzanti. Un lavoro che affondava le sue radici quasi trent’anni prima; il Dhkc-p è infatti il prodotto di un lungo processo di lotta che un gruppo di compagni comincia nel 1968 e che affronterà molte tappe, tra cui la costituzione del gruppo Devrimci Sol (Sinistra Rivoluzionaria), nato alla metà degli anni settanta, forgiatosi durante la guerra civile contro i nazionalisti (di cui i Lupi Grigi sono l’emanazione più famosa) e maturato negli anni del colpo di stato del generale Evren.
Dal programma del Dhkc-p leggiamo: “Noi lottiamo per la liberazione dei nostri popoli, della nazione turca e kurda e di tutte le altre nazionalità, per la giustizia, l’uguaglianza e una vita in condizioni degne degli esseri umani”. L’obiettivo finale è la creazione di una società senza classi, attraverso l’instaurazione del potere rivoluzionario del popolo, ovvero il potere di tutte le forze che si oppongono all’oligarchia e all’imperialismo. Il carattere della rivoluzione, anticapitalista e antioligarchico, si basa sull’analisi della realtà turca: un paese capitalistico, formatosi però come prodotto della dipendenza dall’imperialismo, il quale ha come principale alleato la classe dominante nazionale. La natura dello Stato è definita fascista e la strategia per trasformarne il carattere è quella della guerra popolare sotto la guida del partito e del fronte rivoluzionario: “La guerra popolare crescerà nelle campagne e nelle città in seguito alla propaganda armata e si svilupperà fino al livello di guerra di guerriglia e alla formazione di un esercito guerrigliero. Insieme alla crescita del movimento popolare e delle insurrezioni locali, si formerà un esercito popolare che porterà alla distruzione dello stato oligarchico con un’insurrezione generale, instaurando il potere rivoluzionario del popolo”.
La base della lotta rivoluzionaria è quindi la guerriglia nelle campagne e nelle città. I militanti del partito “si muovono” da esercito, scortando e difendendo cortei di lavoratori e studenti, come ad esempio durante le manifestazioni il Primo Maggio o durante gli scioperi, arrivando a rappresentare una sorta di milizia popolare, attiva anche durante le grandi mobilitazioni a Gezi Park del 2013.
Per il partito, le classi sociali che possono condurre la guerra popolare sono la classe operaia, i contadini poveri, gli altri lavoratori, la piccola borghesia, gli studenti e gli intellettuali e tutti coloro che sono contro lo sfruttamento e l’oppressione. Il Dhkc-p sottolinea che “la nostra rivoluzione significa rivoluzione nel Medio Oriente e nei Balcani; quindi i nostri alleati e amici stanno soprattutto nel proletariato e nel popolo di quest’area. I nostri nemici: l’imperialismo USA e tutte le forze imperialiste, le loro basi militari, economiche e politiche e tutte le loro strutture; i monopolisti, i grandi commercianti, gli usurai, i grandi proprietari terrieri e le loro milizie private; i politici e i funzionari dello Stato; la macchina repressiva dello Stato; tutte le istituzioni pubbliche o private che appoggiano l’imperialismo e l’oligarchia; tutte le spie, i traditori, i provocatori e le organizzazioni utilizzate dal regime per impedire la guerra rivoluzionaria”.
Dalla sua fondazione, l’organizzazione ha compiuto più di 2500 azioni diversificate contro obiettivi legati all’imperialismo e al potere fascista turco: dall’uccisione di contractors statunitensi durante la Guerra del Golfo, al ferimento di un ufficiale dell’aviazione, ad attentati dinamitardi contro oltre 20 obiettivi a stelle e strisce tra cui ricordiamo l’attacco all’ambasciata statunitense ad Ankara nel 2013. Ma la giustizia proletaria del Dhkc-p si è rivolta anche contro gli uomini dell’apparato controrivoluzionario dello Stato: l’ultima, eclatante azione, in ordine di tempo, ha visto il sequestro il 31 marzo 2015, all’interno del Palazzo di Giustizia, da parte di due militanti dell’organizzazione, di Mehmet Selim Kiraz, procuratore responsabile dell’indagine sul caso del giovane Berkin Elvan. Questo ragazzino di 15 anni, colpito da un proiettile sparato da un poliziotto durante la rivolta del giugno 2013, morì dopo un coma durato quasi un anno senza alcun colpevole, nonostante tutti i tentativi di chiarimenti a riguardo da parte della famiglia e delle organizzazioni democratiche popolari. L’azione si è purtroppo conclusa con l’assassinio dei due compagni da parte delle forze speciali turche.
Il Dhkc-p è inoltre un’organizzazione con una rete internazionale che conta centinaia di militanti, figli della diaspora turca in Europa, contro cui si sono scagliate ondate repressive in diversi paesi europei, come ad esempio l’operazione nel 2004 che ha portato a 53 arresti in cinque paesi, tra cui due compagni in Italia, attivi nella denuncia dei crimini dello Stato turco contro i prigionieri rivoluzionari. Negli anni precedenti, quest’ultimi, appartenenti a varie organizzazioni tra cui lo stesso Dhkc-p, si erano resi protagonisti di una lunga lotta contro le celle di isolamento di tipo F, veri e propri loculi di annientamento psico-fisico, represse brutalmente dai secondini e dalle squadre anti-sommossa. Clamorosi furono i casi delle sanguinose sommosse negli anni ’95, ’96 e ’99, costate la vita a molti detenuti, e il ferimento di altre centinaia, che furono mutilati, stuprati, torturati, resi irriconoscibili, fino a raggiungere la carneficina del 19 dicembre 2000, quando lo Stato fascista turco assaltò con migliaia di soldati, armati con più di 20 mila bombe lacrimogene e con gas chimico (napalm, fosforo bianco…), diverse carceri turche, dove i prigionieri avevano cominciato uno sciopero della fame contro l’isolamento. Il bilancio fu di 28 compagni bruciati vivi, carbonizzati nelle loro celle.
La battaglia contro le celle di tipo F non si è però fermata, continuando con lo sciopero della fame fino alla morte, forma di lotta che ha inizialmente coinvolto diverse organizzazioni rivoluzionarie, tra cui alcuni militanti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk)1 e il Partito Comunista Turco Marxista-Leninista (Tkp-ml) di cui parleremo, insieme a molti altri gruppi della sinistra di classe. Tra il 2001 e il 2002, questa lotta è proseguita solamente da parte del Dhkc-p, sia all’interno delle carceri, sia all’esterno, da parte dei loro familiari e compagni. Nel 2007, il governo Erdogan ha dovuto ammettere che vi erano stati omicidi di Stato e torture e si è arrivati a una riduzione delle ore di isolamento. Il prezzo che il movimento rivoluzionario ha dovuto pagare per questo risultato è stato altissimo: 122 compagni sono morti, alcuni caduti sotto il piombo del regime, molti a causa dello sciopero della fame fino alla morte.
Dicevamo che anche il Partito Comunista Turco Marxista-Leninista (Tkp-ml) ha avuto un ruolo importante nella lotta dei prigionieri contro le celle di tipo F. Esso rappresenta un’altra organizzazione comunista turca clandestina che ha come obiettivo il rovesciamento del governo turco e l’instaurazione della dittatura del proletariato. È stato fondato nel 1972 da Ibrahim Kaypakkaya (1949-1973), straordinario teorico e dirigente comunista turco, sostenitore del maoismo e della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria Cinese in opposizione al revisionismo moderno delle forze filosovietiche, assassinato a soli 24 anni in prigione.
Ibrahim Kaypakkaya, che approfondì molto la questione curda, sosteneva che le classi dominanti locali, in primis la borghesia compradora e i grandi proprietari terrieri, praticavano una politica razzista, utilizzata in modo strumentale dall’imperialismo per i propri fini di dominio. Perciò il movimento nazionale curdo doveva essere considerato come il movimento di una nazione oppressa contro le classi dominanti di una nazione dominante. L’unità degli oppressi turchi e curdi veniva e viene vista come fondamentale, per questo bisogna combattere e rifiutare le influenze del nazionalismo tra gli operai e i contadini turchi e sostenere il diritto all’autodeterminazione del popolo kurdo. Per il Tkp-ml, a differenza di buona parte della sinistra turca, il kemalismo, da cui nasce la Turchia moderna, corrisponde al fascismo. Considera che esso sia stato una “rivoluzione” guidata dalla borghesia commerciale turca, dai grandi proprietari terrieri e dalla piccola borghesia, che ha prodotto un paese semicolonizzato e semifeudale, asservito all’imperialismo Usa. La repubblica borghese che ha rimpiazzato la monarchia ottomana ha dato una parvenza progressista, ma la natura dello Stato è, da allora, intrinsecamente fascista.
L’apparato controrivoluzionario turco smantellò già nei primi anni Settanta l’intera organizzazione che però riuscì a riorganizzarsi nel 1978 con il primo congresso. Il gruppo è sopravvissuto a molteplici scissioni, frutto di intense lotte ideologiche, e ha riconosciuto nel maoismo la terza tappa di sviluppo del marxismo.
Il braccio armato del Partito è l’Armata di Liberazione Turca degli Operai e dei Contadini (Tikko), il cui obiettivo è quello di guidare la guerra popolare creando le basi rosse, zone liberate nelle aree rurali. All’interno del Tikko hanno militato anche compagni internazionalisti di altri paesi, come la militante comunista svizzera Barbara Kistler, uccisa dalle forze controrivoluzionarie nella provincia di Tunceli, nel 19932.
Il 20 luglio 2015 un attentato kamikaze faceva una strage nel piazzale antistante il centro culturale Amara a Suruc, una cittadina a pochi chilometri dal confine siriano, uccidendo 32 giovani e ferendone in modo grave un centinaio. Sono giovani curdi e turchi, riuniti per partecipare a una missione di ricostruzione di Kobane, nel Rojava siriano. In risposta a tale barbarie, oltre alla grande manifestazione di piazza che punta il dito sull’Akp di Erdogan, il Tikko, unito in un fronte con altre organizzazioni come il Dhkc-p e il Partito Comunista Marxista-Leninista – Turchia-Nord Kurdistan (Mlkp), annunciava l’avvio di una campagna armata contro le forze di sicurezza turche accusate di collaborazione e connivenza con gli assassini di Suruc.
In poche ore militanti del Dhkc-p mitragliavano un commissariato nel quartiere di Gazi a Istanbul, mentre militanti del Tikko assaltavano una caserma dell’esercito. La risposta dell’apparato controrivoluzionario turco fu una vasta operazione “antiterrorismo” formalmente definita “contro cellule di sinistra, simpatizzanti della guerriglia curda e reti jihadiste”, ma rivolta soprattutto contro il nemico interno, i rivoluzionari e i progressisti: circa cinquemila agenti di polizia, dei quali duemila delle Forze di Intervento Rapido e con il sostegno dei corpi speciali realizzarono una maxi retata contemporaneamente in ventisei diversi quartieri di Istanbul e in altre tredici province del paese, arrestando più di 250 persone e perquisendo 140 abitazioni e locali solo nella metropoli sul Bosforo. Operazione che portò all’assassinio di una compagna, Gunay Özarslan, militante del Dhkc-p, crivellata da ben 15 pallottole dagli agenti che fecero irruzione della sua casa nel quartiere Bagcilar di Istanbul. La stessa veglia della martire, partecipata dalle masse all’interno del tempio alevita del quartiere di Gazi, si trasformò in scontri con la polizia e squadristi dell’Akp. Le autorità avevano tentato di impedire che si potessero celebrare i funerali della militante assassinata, puntando addirittura a sequestrare la bara. Nonostante i lacrimogeni, idranti e arresti, i convenuti al funerale eressero barricate attorno al tempio e vi si rifugiarono all’interno, resistendo per molte ore agli assalti dei reparti antisommossa, finché quest’ultimi riuscirono a vincere la resistenza, dilagando nel luogo di culto, con pestaggi e distruzioni.
A partire dal massacro di Suruc, tra la guerriglia del Tikko e le squadre speciali dell’esercito turco si intensificarono gli scontri a fuoco: il 22 ottobre, a Dersim, sotto un pesantissimo bombardamento durato quattro ore, cadevano in combattimento tre combattenti nel villaggio di Sahverdi. La risposta militare dei compagni è immediata: il 31 ottobre il Gruppo di Vendetta dei Martiri di Mercan (Şahverdi) del Tkp-ml – Tikko attaccava l’avamposto della base militare di Amutka, situato a Hozat (Dersim), uccidendo 3 militari. Il Tkp-ml partecipa anche alla lotta del popolo curdo in Siria contro lo Stato Islamico e l’espansionismo turco.
Nel 2002, dal Tkp-ml fuoriescono diversi militanti che fondano il Partito Comunista Maoista- Turchia – Nord Kurdistan (Mkp), rivendicando un’adesione più stretta e coerente con le concezioni del maoismo e nuove analisi nello sviluppo economico e sociale in Turchia. L’Mkp è sopravvissuto come organizzazione al massacro del 16 giugno del 2005, presso la località di Mercan, nella regione di Dersim, nel quale diciassette tra dirigenti e quadri del partito vennero uccisi brutalmente dall’esercito mentre si recavano al secondo congresso dell’organizzazione. Nel gennaio 2014 veniva infatti tenuto il terzo congresso, il cui documento conclusivo recitava: “Con gioia annunciamo che il nostro partito, nonostante attacchi, arresti e repressioni ha tenuto con successo il suo terzo 3° Congresso (…) un passo modesto ma importante nella lotta rivoluzionaria mondiale e una vittoria importante per la lotta rivoluzionaria nel nostro paese (…). Oggi come nel passato la lotta tra le classi è acuta e crudele, prodotto delle contraddizioni antagonistiche tra le classi. Le affermazioni come per esempio: “Le contraddizioni tra le classi sono risolte” si sono rivelate una menzogna (…) Sottovalutare il nemico significa dimenticare il nemico e rinunciare alla lotta attiva. Non combattere significa fuggire dal campo di battaglia (…). Il MKP agisce secondo principi rivoluzionari e lo slogan “il potere politico nasce dalla canna del fucile” è confermato nella sua teoria e nella sua pratica. Il nostro partito con il Manifesto del 1972 ha preso il suo posto in questa lotta in prima linea. Ieri come oggi noi combattiamo per seppellire l’imperialismo, tutti i suoi scagnozzi e ogni dominio fascista nell’ombra della storia (…). Il terzo Congresso del nostro Partito non si è arreso alla pressione regressiva o al dubbio. Il terzo Congresso non si è sottratto alla responsabilità di sviluppare ulteriormente la lotta per il comunismo perché esso si rivolge alla obbiettiva correttezza scientifica. In questo senso, cercheremo qui di seguito di riassumere con alcuni punti le decisioni prese. Il terzo Congresso del nostro partito definisce le condizioni socio-economiche in Turchia come capitalistiche. Di conseguenza, il tipo di rivoluzione è una rivoluzione socialista proletaria e la strategia della rivoluzione è la guerra popolare socialista. Il nostro terzo Congresso ha anche deciso che la lotta armata mantiene sempre ancora la sua validità. Accanto alle unità della guerriglia dell’Esercito di Liberazione del Popolo – Halk Kurtulus Ordusu (HKO) c’è l’altro braccio armato del partito: le forze popolari partigiane – Partizan Halk Gücleri (PHG) nelle città. Con lo slogan “Donne al potere, donne alla direzione” il nostro partito ha fatto nella questione femminile un passo avanti positivo”.
La determinazione rivoluzionaria dell’Mkp, nonostante i continui colpi inferti dalla controrivoluzione, si è resa manifesta anche in un’azione militare che ha giustiziato, il 6 giugno 2015 a Beşiktaş, Istanbul, un famigerato torturatore di compagni. Dal comunicato di rivendicazione del Comitato centrale-ufficio politico: “(…) Il colonnello Fehmi Altinbelik, celebre fascista responsabile delle torture inflitte per lunghi mesi al fondatore e dirigente, İbrahim Kaypakkaya e poi del suo assassinio il 18 Maggio 1973 e dell’assassinio del primo comandante del TIKKO Ali Haydar Yıldız, e del massacro dei nostri compagni di lotte, Kizildere e Mahir, attivo nella JITEM e negli squadroni della morte contro la guerriglia, è stato messo a morte da Partizan Halk Güçleri sotto la guida del nostro partito, in risposta ai suoi crimini e come nemico del popolo.
(…) Abbiamo dimostrato ancora una volta che il proletariato e i lavoratori non sono vulnerabili. È con questa volontà comunista e rivoluzionaria, che abbiamo pagato con i nostri martiri, che abbiamo chiesto conto e ragione ai carnefici sanguinari (…) La rivoluzione risponderà alla violenza contro-rivoluzionaria e vi metterà fine. Non possiamo dimenticare i responsabili delle morti commesse nei massacri dei nostri compagni che lottano per la libertà del popolo, noi continueremo a vendicarli con le nostre azioni rivoluzionarie, che sono parte della nostra lotta comunista.
Ogni nemico del popolo che ha versato il sangue del nostro popolo, del nostro partito o dei nostri compagni, non resterà impunito!”
Il movimento comunista nella Resistenza curda
Tutte le organizzazioni comuniste rivoluzionarie in Turchia, pur con sfumature diverse, concepiscono la questione curda come parte integrante della lotta contro l’imperialismo e i suoi lacchè, da appoggiare come lotta di liberazione nazionale contro lo sciovinismo e il nazionalismo fomentati dalle classi dominanti. Alcune, tuttavia, la includono nella loro stessa definizione, come il già citato Mkp e, soprattutto, il Partito Comunista Marxista-Leninista – Turchia-Nord Kurdistan (Mlkp). Quest’ultima organizzazione, che oggi sostiene la Resistenza Curda armi in pugno, è stata fondata nel 1994 dalla fusione di due partiti, il Partito Comunista della Turchia/marxista-leninista-Hareketi e il Movimento Comunista dei Lavoratori di Turchia. In questa fase il nome del nuovo partito è “fondazione Mlkp” (Mlkp Kuruluş). Nel 1995, durante il primo congresso, avviene la fusione con il Partito Comunista di Turchia/marxista-leninista Nuova Organizzazione Costituente (Tkp/ml Yio) e il nome viene cambiato in quello attuale.
Dal programma del partito si legge che la “libertà politica non può essere raggiunta senza la libertà del popolo curdo e che la libertà della nazione curda rappresenta una delle basi della rivoluzione democratica antimperialista”. L’Mlkp si batte più precisamente per la libertà nazionale curda e per la Federazione Unita dei Soviet degli operai turchi e curdi”.
A partire dal 2012, l’Mlkp ha inviato volontari nel Kurdistan siriano e, in particolare, nella regione di Rojava per combattere nelle milizie promosse dal Partito dell’Unione Democratica, all’interno delle quali essi hanno formato una brigata internazionale comunista sul modello di quelle attive durante la guerra civile spagnola, partecipando anche alla difesa della minoranza yazida di Sinjar, perseguitata dallo Stato Islamico.
L’Mlkp, oltre ad esprimere il proprio sostegno politico e militare alla Resistenza Curda in Siria, valuta in modo molto favorevole tutta l’esperienza della “rivoluzione nel Rojava”, distinguendosi, in questo, da altre organizzazioni, come il Dhkc-p che, invece, hanno posto delle profonde critiche alla direzione della lotta da parte del Pkk-Pyd, in particolare dopo l’invio di armi ai curdi da parte statunitense.
L’appoggio incondizionato per la lotta per l’autodeterminazione del popolo kurdo è manifesto in ogni azione e comunicato del Mlkp, come quello di febbraio 2015, che condanna un massacro di civili: “centinaia di giovani curdi, anziani, donne e combattenti della resistenza sono stati massacrati mediante un utilizzo aggressivo di decine di migliaia di soldati, carri armati, artiglieria, aerei da caccia ed elicotteri da combattimento. Centinaia di civili intrappolati nelle cantine in zone di conflitto, come Cizre e Sur sono stati lasciati faccia a faccia con la morte (…). Ai feriti sono state impedite le cure ospedaliere tramite l’azione di cecchini dell’esercito che cinicamente usavano come bersaglio tutti i veicoli o civili che tentavano di trascinarli in salvo (…). Contro il popolo curdo viene combattuta una sporca guerra senza regole. Lo Stato turco sta utilizzando migliaia di ex detenuti, sadici ultranazionalisti, carnefici e combattenti ISIS insieme con il suo esercito per tormentare il popolo curdo e distruggere le loro terre d’origine (…). E’ evidente che questa sadica campagna politica e militare dello Stato turco oggi serve a vendicare la resistenza del popolo curdo contro lo Stato islamico in Siria (…). Il nostro partito chiama i lavoratori, gli oppressi, le donne, i giovani, i rivoluzionari e i comunisti del mondo ad agire con cortei e manifestazioni in tutto il mondo. Lunga vita alla resistenza in Cizre e Sur! Lunga vita alla solidarietà internazionale!”
Le organizzazioni rivoluzionarie turche e curde, così come gli altri partiti e gruppi comunisti attivi sui fronti di guerra, rappresentano la tendenza allo sviluppo della direzione della classe lavoratrice sui processi di resistenza delle masse, cioè a unire la guerra giusta che esse oppongono alla guerra ingiusta degli imperialisti alla causa della rivoluzione proletaria. Svolgere controinformazione e propaganda sul ruolo di queste avanguardie, così come apprendere e applicare al nostro contesto gli insegnamenti e le indicazioni che derivano dal loro patrimonio di esperienze e di lotta, significa coniugare la generale posizione dell’internazionalismo proletario con lo sviluppo della capacità di azione di ogni reparto nazionale del movimento comunista.
1 Per i rapporti tra Pkk e le altre organizzazioni rivoluzionarie turche e curde vedi p. 77 ss.
2 Vedi Donne nella guerriglia, vita e lotte di Barbara Kilster e Andrea Wolf, a cura di M. Ferrari, edito dai centri di documentazione Nexus di Milano e Ombra Rossa di Padova, 2008.
Fonti.
I crimini del regime turco e il programma del DHKP, Edizioni Aginform, Roma, 1996
www.anfenglish.com
www.eastonline.eu
www.halkinsesi.tv
www.ilpost.it
www.kaypakkayahaber.com
www.mkp-bim.info
www.mlkp.info